- Per blindare la fusione tra Fca e Peugeot senza irritare Washington, il governo francese favorirà l'uscita di Pechino dal gruppo Psa In cambio negozierebbe un'alleanza tra Renault e Dongfeng, colosso della Repubblica Popolare. Ma agli Usa potrebbe non bastare.
- Le compagnie assicurano: «Nessuna chiusura di stabilimenti». Ma non c'è garanzia su eventuali sforbiciate ai nostri lavoratori.
Per blindare la fusione tra Fca e Peugeot senza irritare Washington, il governo francese favorirà l'uscita di Pechino dal gruppo Psa In cambio negozierebbe un'alleanza tra Renault e Dongfeng, colosso della Repubblica Popolare. Ma agli Usa potrebbe non bastare.Le compagnie assicurano: «Nessuna chiusura di stabilimenti». Ma non c'è garanzia su eventuali sforbiciate ai nostri lavoratori.Lo speciale contiene due articoliÈ fatta. L'accordo per la fusione tra Fca e Psa è stato formalmente annunciato nella giornata di ieri. Il nuovo gruppo, destinato a diventare il quarto costruttore automobilistico al mondo, avrà sede olandese e sarà controllato per metà da Fca e per metà da Psa, mentre si stimano «sinergie annuali a breve termine in circa 3,7 miliardi di euro, senza chiusure di stabilimenti». Il nascituro colosso dovrebbe essere in grado di produrre ricavi congiunti per quasi 170 miliardi di euro, oltre a un utile operativo corrente superiore agli 11 miliardi. Prima che l'operazione venga perfezionata, Fca sarebbe intenzionata a distribuire ai propri azionisti un dividendo speciale di 5,5 miliardi di euro e la propria partecipazione in Comau. Peugeot, dal canto suo, distribuirebbe ai propri azionisti la partecipazione del 46% in Faurecia. John Elkann sarà presidente, mentre a Carlos Tavares andrà il ruolo di amministratore delegato. Opposte reazioni sono state registrate in Borsa, dopo l'annuncio di ieri. Se le azioni di Fca hanno infatti ottenuto un forte rialzo, quelle di Psa hanno subito un brusco crollo. Il governo francese ha comunque espresso una cauta soddisfazione sull'operazione in corso, con il ministro dell'economia, Bruno Le Maire, che ha accolto favorevolmente il progetto di fusione.Al di là delle dinamiche di natura tecnica, sullo sfondo continua a stagliarsi un'ingombrante incognita di carattere geopolitico: il ruolo della Cina. Non bisogna infatti dimenticare che, insieme allo Stato francese e alla famiglia Peugeot, tra gli azionisti di riferimento di Psa figuri anche il colosso automobilistico Dongfeng, in mano al governo cinese. Un elemento non di poco conto, soprattutto se si analizza la situazione dal versante statunitense. La Casa Bianca è notoriamente nel mezzo di una guerra tariffaria con Pechino e - nonostante alcuni segnali di distensione nelle ultime settimane - un accordo (anche parziale) tra le due parti non è ancora stato raggiunto. Sebbene lo scorso agosto Dongfeng avesse mostrato l'intenzione di uscire dal capitale di Psa (in cui è entrata nel 2014), il passo indietro ancora non si è verificato. E questo elemento potrebbe determinare non poca irritazione dalle parti della Casa Bianca. Del resto, Donfgeng non intrattiene legami soltanto con Psa in Francia. Alla fine del 2013, il colosso cinese aveva infatti siglato un'alleanza con Renault dal valore complessivo di 1,27 miliardi di dollari. Nell'agosto del 2017, poi, Dongfeng ha creato una nuova joint venture con Renault-Nissan, denominata eGT New energy automotive, di cui i cinesi detengono il 50%, mentre Renault e Nissan rispettivamente il 25%. Nel dettaglio, questo progetto è finalizzato a sviluppare e vendere veicoli elettrici sul mercato cinese, a partire proprio dal 2019.Da tutto questo si comprende come i legami tra Pechino e Parigi nel settore dell'automotive risultino di natura strutturale. Si tratta del resto di un orientamento che Parigi ha già esplicitato nei mesi scorsi. Sotto questo aspetto è infatti particolarmente istruttiva la scheda informativa dedicata al sesto dialogo economico e finanziario di alto livello tra Cina e Francia, redatta dal ministero dell'Economia francese e datata 7 dicembre 2018. Vi si legge: «L'industria automobilistica svolge un ruolo importante nel rafforzamento delle relazioni bilaterali tra Cina e Francia. Entrambe le parti riconoscono l'importanza di principi trasparenti ed equi nell'attuazione della politica industriale. Sulla base della reciprocità e in accordo con le legislazioni cinese, francese ed europea, entrambe le parti concordano nel facilitare l'attuazione delle soluzioni tecniche, sviluppate dalle aziende cinesi e francesi in questi campi». Il settore automotive sembra quindi giocare un ruolo fondamentale nei rapporti tra Parigi e Pechino: rapporti che si estendono comunque anche da altri ambiti. Basti pensare che, in occasione della visita di Xi Jinping in Francia lo scorso marzo, i due Paesi hanno siglato svariati accordi nel settore energetico e finanziario. Alla luce di tutto questo, non è allora escludibile che l'Eliseo possa plaudire all'eventuale uscita Dongfeng da Psa - favorendo così il benestare alla fusione da parte della Casa Bianca - e al contempo blindare l'alleanza dei cinesi con Renault, per non compromettere i rapporti tra la Francia e la Repubblica Popolare. Sarà un caso, ma non dobbiamo trascurare che Emmanuel Macron andrà in visita in Cina all'inizio della prossima settimana. È quindi possibile che - anche grazie all'automotive - il presidente francese stia cercando di attuare un complesso equilibrismo, che gli consenta di oscillare tra Washington e Pechino. Una strategia a cui lo Zio Sam potrebbe tuttavia guardare con sospetto, temendo pesanti «infiltrazioni» cinesi nello scacchiere dell'Europa occidentale.Stefano Graziosi<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/sulle-auto-leliseo-fa-lequilibrista-con-la-cina-2641178071.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="il-rebus-occupazione-sulle-nozze-fiat-psa-rischio-tagli-in-italia" data-post-id="2641178071" data-published-at="1757965580" data-use-pagination="False"> Il rebus occupazione sulle nozze Fiat-Psa Rischio tagli in Italia Con il matrimonio tra Fca e Psa alle porte, ora il tema che più preoccupa i lavoratori è quello occupazionale. Ieri il premier Giuseppe Conte ha detto che si tratta di una «un'operazione di mercato, non posso giudicare l'accordo ma quello che preme al governo è che sia assicurato il livello di produzione e quello di occupazione in Italia e quindi la continuità aziendale». Dal canto suo, il ministro francese dell'Economia, Bruno Le Maire, ha fatto sapere di accogliere «favorevolmente» il progetto di fusione tra Psa e Fca, ma lo Stato francese, azionista di Psa al 12%, resterà «particolarmente vigile» sulla tutela dell'apparato industriale in Francia, ha spiegato in una nota diffusa dal ministero francese. Tra gli obiettivi del nuovo colosso automobilistico, spiegano da Fca e Psa, ci sarebbe l'intenzione di dare il via a «sinergie annuali a breve termine stimate in circa 3,7 miliardi di euro, senza chiusure di stabilimenti». Non chiudere gli stabilimenti, però, non è per forza garanzia di occupazione. Il timore dei lavoratori è infatti che il numero di stabilimenti resti inalterato, ma non il numero di posti di lavoro. La paura maggiore, poi, è che i tagli a livello occupazionale finiscano per essere attuati più in Italia che non in Francia, Paese dove storicamente il governo, che è anche socio di Psa, è sempre attento a non perdere posti di lavoro. Al momento il Lingotto ha nove impianti sparsi sul territorio europeo che si occupano di produrre automobili (a questi si devono aggiungere molti altri stabilimenti che producono componentistica). Psa, che ha di recente comprato la tedesca Opel, conta invece su 14 siti produttivi da cui escono macchine. Le due aziende coinvolte nel sodalizio hanno fabbriche gestite in maniera diametralmente opposta. Fca è un gruppo che semmai soffre di sovracapacità produttiva cronica, soprattutto negli stabilimenti italiani, dove il ricorso alla cassa integrazione non è più un provvedimento straordinario ma, con il tempo, sempre più abituale. Lo stabilimento di Mirafiori, per fare un esempio, lavora a metà della sua capacità. Per intendersi, un buon impianto lavora ad almeno l'80%. Gli ingredienti, dunque, perché la Francia si tenga i suoi posti di lavoro a scapito dell'Italia, ci sono tutti. Inoltre, l'ad del gruppo Psa, Carlos Tavares - l'uomo che guiderà il nuovo colosso italofrancese - ha rimesso in sesto Psa nel 2014 e Opel nel 2017 tagliando i costi (e le teste), semplificando le linee produttive e facendo salire i prezzi in listino. Perciò la sua «ricetta» per risanare le aziende è ben nota. A questo si aggiunga che Psa ha già annunciato l'intenzione di portare il tasso di utilizzo delle sue fabbriche entro il 2022 all'85%, attraverso il rimpatrio di modelli costruiti altrove o da altre case automobilistiche partner. Anche in questo caso, più produzione in Francia e meno all'estero Il problema, dunque, è tutto di natura politica. La Francia, come azionista di Psa, avrà tutto l'interesse a spingere perché venga garantita il più possibile l'occupazione entro i confini transalpini e tutto questo potrebbe avere importanti ripercussioni sull'occupazione degli stabilimenti italiani e non solo di Fca. «È ancora presto per capire cosa succederà sul piano occupazionale. Il nostro vantaggio», spiega alla Verità un portavoce della Federazione italiana metalmeccanici Fim Cisl, «è che le fabbriche Fca sono state rinnovate tutte più di recente rispetto a quelle Psa». Un'arma a doppio taglio, spesso gli stabilimenti più moderni sono anche quelli che vanno avanti con il minor numero possibile di dipendenti. «È probabile però che ci saranno problemi sul piano occupazionale per le aziende del gruppo Fca che non si occupano strettamente di automotive come ad esempio Comau», che produce impianti di automazione industriale. «In quel caso bisogna capire come intendano muoversi i due gruppi in questione. La soluzione al problema può essere solo di natura politica. Il punto è che mentre il governo francese è già al lavoro per evitare che ci siano ripercussioni sul piano occupazione, in Italia le istituzioni non si sono ancora mosse davvero». Un altro esperto contattato dalla Verità, Gian Primo Quagliano, presidente del Centro studi Promotor, istituto di ricerca indipendente sull'economia del settore automotive e professore all'Università di Bologna, spiega che «l'unico modo per evitare problemi sul piano occupazionale è quello di lavorare a modelli che non siano sovrapponibili». Alla base del sodalizio tra Fca e Psa c'è «l'utilizzo di piattaforme comuni. Quello è il segreto: utilizzare la stessa piattaforma per produrre modelli il più possibile diversi e che non si facciano concorrenza tra loro». La verità è che, per salvare il posto dei dipendenti Fca, serve che il governo faccia «muro contro muro» con l'esecutivo francese. Se non si fa nulla e Parigi avrà la meglio, per il mercato del lavoro italiano saranno guai. Gianluca Baldini
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Sempre più risparmiatori scelgono i Piani di accumulo del capitale in fondi scambiati in borsa per costruire un capitale con costi chiari e trasparenti. A differenza dei fondi tradizionali, dove le commissioni erodono i rendimenti, gli Etf offrono efficienza e diversificazione nel lungo periodo.
Il risparmio gestito non è più un lusso per pochi, ma una realtà accessibile a un numero crescente di investitori. In Europa si sta assistendo a una vera e propria rivoluzione, con milioni di risparmiatori che scelgono di investire attraverso i Piani di accumulo del capitale (Pac). Questi piani permettono di mettere da parte piccole somme di denaro a intervalli regolari e il Pac si sta affermando come uno strumento essenziale per chiunque voglia crearsi una "pensione di scorta" in modo semplice e trasparente, con costi chiari e sotto controllo.
«Oggi il risparmio gestito è alla portata di tutti, e i numeri lo dimostrano: in Europa, gli investitori privati detengono circa 266 miliardi di euro in etf. E si prevede che entro la fine del 2028 questa cifra supererà i 650 miliardi di euro», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert SCF. Questo dato conferma la fiducia crescente in strumenti come gli etf, che rappresentano l'ossatura perfetta per un PAC che ha visto in questi anni soprattutto dalla Germania il boom di questa formula. Si stima che quasi 11 milioni di piani di risparmio in Etf, con un volume di circa 17,6 miliardi di euro, siano già attivi, e si prevede che entro il 2028 si arriverà a 32 milioni di piani.
Uno degli aspetti più cruciali di un investimento a lungo termine è il costo. Spesso sottovalutato, può erodere gran parte dei rendimenti nel tempo. La scelta tra un fondo con costi elevati e un Etf a costi ridotti può fare la differenza tra il successo e il fallimento del proprio piano di accumulo.
«I nostri studi, e il buon senso, ci dicono che i costi contano. La maggior parte dei fondi comuni, infatti, fallisce nel battere il proprio indice di riferimento proprio a causa dei costi elevati. Siamo di fronte a una realtà dove oltre il 90% dei fondi tradizionali non riesce a superare i propri benchmark nel lungo periodo, a causa delle alte commissioni di gestione, che spesso superano il 2% annuo, oltre a costi di performance, ingresso e uscita», sottolinea Gaziano.
Gli Etf, al contrario, sono noti per la loro trasparenza e i costi di gestione (Ter) che spesso non superano lo 0,3% annuo. Per fare un esempio pratico che dimostra il potere dei costi, ipotizziamo di investire 200 euro al mese per 30 anni, con un rendimento annuo ipotizzato del 7%. Due gli scenari. Il primo (fondo con costi elevati): con un costo di gestione annuo del 2%, il capitale finale si aggirerebbe intorno ai 167.000 euro (al netto dei costi). Il secondo (etf a costi ridotti): Con una spesa dello 0,3%, il capitale finale supererebbe i 231.000 euro (al netto dei costi).
Una differenza di quasi 64.000 euro che dimostra in modo lampante come i costi incidano profondamente sul risultato finale del nostro Pac. «È fondamentale, quando si valuta un investimento, guardare non solo al rendimento potenziale, ma anche e soprattutto ai costi. È la variabile più facile da controllare», afferma Salvatore Gaziano.
Un altro vantaggio degli Etf è la loro naturale diversificazione. Un singolo etf può raggruppare centinaia o migliaia di titoli di diverse aziende, settori e Paesi, garantendo una ripartizione del rischio senza dover acquistare decine di strumenti diversi. Questo evita di concentrare il proprio capitale su settori «di moda» o troppo specifici, che possono essere molto volatili.
Per un Pac, che per sua natura è un investimento a lungo termine, è fondamentale investire in un paniere il più possibile ampio e diversificato, che non risenta dei cicli di mercato di un singolo settore o di un singolo Paese. Gli Etf globali, ad esempio, che replicano indici come l'Msci World, offrono proprio questa caratteristica, riducendo il rischio di entrare sul mercato "al momento sbagliato" e permettendo di beneficiare della crescita economica mondiale.
La crescente domanda di Pac in Etf ha spinto banche e broker a competere offrendo soluzioni sempre più convenienti. Oggi, è possibile costruire un piano di accumulo con commissioni di acquisto molto basse, o addirittura azzerate. Alcuni esempi? Directa: È stata pioniera in Italia offrendo un Pac automatico in Etf con zero costi di esecuzione su una vasta lista di strumenti convenzionati. È una soluzione ideale per chi vuole avere il pieno controllo e agire in autonomia. Fineco: Con il servizio Piano Replay, permette di creare un Pac su Etf con la possibilità di ribilanciamento automatico. L'offerta è particolarmente vantaggiosa per gli under 30, che possono usufruire del servizio gratuitamente. Moneyfarm: Ha recentemente lanciato il suo Pac in Etf automatico, che si aggiunge al servizio di gestione patrimoniale. Con versamenti a partire da 10 euro e commissioni di acquisto azzerate, si posiziona come una valida alternativa per chi cerca semplicità e automazione.
Ma sono sempre più numerose le banche e le piattaforme (Trade Republic, Scalable, Revolut…) che offrono la possibilità di sottoscrivere dei Pac in etf o comunque tutte consentono di negoziare gli etf e naturalmente un aspetto importante prima di sottoscrivere un pac è valutare i costi sia dello strumento sottostante che quelli diretti e indiretti come spese fisse o di negoziazione.
La scelta della piattaforma dipende dalle esigenze di ciascuno, ma il punto fermo rimane l'importanza di investire in strumenti diversificati e con costi contenuti. Per un investimento di lungo periodo, è fondamentale scegliere un paniere che non sia troppo tematico o «alla moda» secondo SoldiExpert SCF ma che rifletta una diversificazione ampia a livello di settori e Paesi. Questo è il miglior antidoto contro la volatilità e le mode del momento.
«Come consulenti finanziari indipendenti ovvero soggetti iscritti all’Albo Ocf (obbligatorio per chi in Italia fornisce consigli di investimento)», spiega Gaziano, «forniamo un’ampia consulenza senza conflitti di interesse (siamo pagati solo a parcella e non riceviamo commissioni sui prodotti o strumenti consigliati) a piccoli e grandi investitore e supportiamo i clienti nella scelta del Pac migliore a partire dalla scelta dell’intermediario e poi degli strumenti migliori o valutiamo se già sono stati attivati dei Pac magari in fondi di investimento se superano la valutazione costi-benefici».
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