2022-09-16
«Sul gender c’è una cappa mediatica. Così oscurano i manifesti pro life»
Nel riquadro, Maria Rachele Ruiu
La candidata per Fdi nel Lazio ed ex attivista Maria Rachele Ruiu: «Approccio da derby sulla questione».In Italia pare ormai vietato soltanto invitare a non confondere l’identità sessuale dei bambini. Altrimenti non si spiegherebbe come mai, per l’ennesima volta, dei manifesti dell’associazione Pro Vita & Famiglia siano, in queste ore, oggetto di censure e rimozioni da parte delle amministrazioni comunali di Torino, Milano e Roma a causa della «natura del messaggio veicolato», in violazione di una norma inserita nel Codice della strada della quale, però, a oggi mancano i decreti attuativi dalla stessa previsti. Chi non sembra troppo sorpresa di ciò che sta avvenendo è Maria Rachele Ruiu, moglie, mamma di due bambini, laureata in psicologia e, soprattutto, volto noto di Pro Vita & Famiglia ma ora autosospesasi dall’associazione in quanto candidata con Fratelli d’Italia nel Lazio.Dottoressa Ruiu, che idea si è fatta di questa battaglia ai manifesti? «Non si tratta di una novità, nel senso che episodi simili sono già avvenuti. Personalmente, sono abbastanza interdetta».Perché? «Perché intanto, ancora una volta, mi piacerebbe capire chi esattamente ha chiesto la rimozione di tali manifesti. In secondo luogo, rilevo come ancora una volta venga utilizzato un approccio da derby in un argomento importantissimo che è quello della disforia di genere, e quindi dell’identità sessuale dei nostri figli. Ora, senza entrare nella querelle, sottolineo solo come l’approccio affermativo - quello che cioè intende assecondare l’identità di genere percepita da chi ha problemi legati alla propria identità - si sta rilevando un grande esperimento fallito».In che senso? «Nel senso che tutti i pionieri di tale prospettiva la stanno abbandonando, a causa dei numerosi casi di ragazzi e ragazze che decidono di tornare poi indietro, rispetto al percorso di riassegnazione sessuale intrapreso e che spesso non possono più farlo perché menomati o feriti, restando spesso impossibilitati anche ad avere rapporti sessuali e, quindi, con anche difficoltà nei rapporti affettivi. Basta vedere la strada intrapresa, su tali temi, da Paesi anche molto diversi tra loro come Finlandia - che su questo ha rivisto le proprie linee guida - e l’Arkansas, che ha reso illegale la prescrizione di farmaci che bloccano la pubertà per i minorenni».Ma allora perché in Italia si fatica a mettere in discussione l’approccio affermativo sul tema transgender, prendendosela perfino con dei cartelloni? «Perché c’è una cappa anzitutto mediatica su questi temi. Basti vedere il caso della Tavistock Clinic di Londra, l’unico centro medico pubblico del Regno Unito riservato esclusivamente ai problemi di genere per i minori sotto i 17 anni di età, la cui chiusura è stata uno scandalo internazionale. Eppure c’è chi ha avuto il coraggio di raccontare che, in realtà, quel centro è stato chiuso perché funzionava così bene che, allora, andava decentrato. Siamo alla follia. Ci sono, non a caso, sigle di genitori i cui figli hanno problemi con l’identità di genere e non vogliono che loro vengano spinti a fare la transizione sessuale da minorenni».Se eletta alla Camera, si occuperà quindi anche di questi temi e della libertà di educazione? «Certamente. Tutto l’impegno che mi ha visto in prima linea nell’associazionismo pro life in questi anni intendo portarlo in Parlamento, ma per il bene non di una parte ma di tutti. Visto che la sperimentazione internazionale dell’approccio affermativo rispetto all’identità di genere è fallita, vogliamo evitare di portarla anche in Italia?».