
«Il Colle striglia le toghe», recitava in coro ieri la stampa italiana. Secondo il giornale unico nazionale, il capo dello Stato avrebbe richiamato duramente all'ordine i magistrati per lo squallido commercio delle carriere, quello - per intenderci - scoperchiato dalla Verità. «Basta scandali, giudici meritatevi la fiducia». «Gravi distorsioni nelle nomine fatte». «Il Quirinale sconcertato dalla modestia etica del Csm». Questi i titoli che campeggiavano sui principali quotidiani. Peccato che mentre da un lato Sergio Mattarella diceva ciò e invitava le toghe a cambiare registro, (...)
(...) le correnti che da sempre si spartiscono le nomine procedevano a designare il nuovo procuratore capo di Perugia, cioè il titolare dell'ufficio giudiziario che si occupa del ribollente scandalo del Csm e ha competenza sulla magistratura della Capitale, la più importante del Paese. Sì, il presidente della Repubblica celebrava i magistrati vittime della mafia e del terrorismo, e al Consiglio superiore della magistratura, di cui sia detto per inciso il capo dello Stato è pure presidente, si procedeva con i consueti metodi: un posto a te, uno a me e un terzo che piace a tutti e due i gruppi che comandano. In pratica, si faceva quello che si è fatto fino a ieri, cioè nominare un magistrato in base a un accordo che di regola prevede una spartizione fra le correnti.
A Perugia è finito Raffaele Cantone, una toga prestigiosa, che nel passato ha combattuto contro il clan dei Casalesi, ma anche un pm che nel corso degli anni è stato scelto da una certa parte politica, ossia la sinistra, per guidare un organismo voluto dalla politica. Cantone venne infatti nominato da Matteo Renzi alla guida dell'Anac, l'agenzia nazionale anti corruzione. E a un certo punto era stato addirittura indicato come possibile ministro o presidente del Consiglio del governo giallorosso, cioè in quota 5 stelle e Pd. Insomma, un uomo competente, ma non certo esente da sfumature in una Procura, quella umbra, che invece richiederebbe esperienza, ma anche, visto il grosso guaio di cui si dovrà occupare, un profilo senza sfumature. Proprio questo ha indotto Nino Di Matteo, il pm della trattativa Stato-mafia ma soprattutto il magistrato che da giorni chiede di fare chiarezza sulle pressioni dei boss e sulla loro scarcerazione (cose di cui Mattarella non pare essersi accorto), a dichiarare inopportuna la nomina di Cantone, dicendo che il nuovo procuratore capo avrebbe «una fortissima connotazione politica», dal momento che ha ricoperto un ruolo di nomina politica e la politica del suo nome fa un gran uso. Spedirlo a guidare un ufficio giudiziario che in questo momento si occupa proprio dei rapporti fra magistratura e politica, cioè delle trame di parte del Pd per orientare le nomine, non è il miglior segnale di un cambiamento di clima.
Tuttavia, il capo dello Stato che si è detto sconcertato «dalla modestia etica di molte toghe», pur essendo appunto il presidente del Csm, non ha sentito il dovere di intervenire. No, Mattarella si è limitato al fervorino di prammatica, esaltando i giudici morti e invitando quelli vivi a rispettare le regole, ma nulla di più. Nessuna censura, nessuna moral suasion per indurre il Consiglio alle dimissioni e a un vero rinnovamento. La reprimenda dell'uomo del Colle si è fermata alle dichiarazioni ufficiali. E dire che Mattarella sa bene che questo Csm, quello che lui presiede, è delegittimato in quanto frutto di un accordo spartitorio. Perché è a conoscenza delle molte intercettazioni che La Verità ha pubblicato e in cui si sentono alcune autorevoli toghe mettersi d'accordo per dividersi le Procure o per colpire una parte politica che a loro non è cara, ovvero quella leghista. Eppure, dopo aver parlato di un «dilagante malcostume», aver sollecitato la necessità di recuperare «autorevolezza e prestigio», dal Quirinale arriva lo stop a qualsiasi iniziativa.
La responsabilità del cambiamento spetta ai magistrati. Come dire che se finora c'è stata una degenerazione delle correnti, un intreccio di manovre, scambi, trame, guerre per bande, favori ai partiti, smanie di carriera, beh non è la politica che ci deve mettere mano e tanto meno il presidente della Repubblica. Tocca ai magistrati autoregolamentarsi. Un po' come dire che se domani si scoprisse che ci sono politici abituati ad aggirare le regole, raccomandando gli amici e nominando le persone non per merito ma per appartenenza a questo o a quel partito, tocca agli stessi politici autoriformarsi. Certo, come no. La partitocrazia riformerà i partiti e allo stesso modo chiederemo ai burocrati di eliminare la burocrazia.
Ci dispiace doverlo constatare, ma il discorso del capo dello Stato è partito bene ed è finito male, andando ad aggiungersi alle tante prediche inutili che siamo costretti a registrare. Il solo modo per risolvere il problema, nonostante l'uomo del Colle non voglia sentire, vedere e ascoltare, continua a essere lo scioglimento di questo Csm e la riforma, questa volta vera, dei meccanismi di nomina del Consiglio. L'unica possibilità di sottrarre l'amministrazione della giustizia al potere delle correnti è togliere potere alle correnti. Il resto è aria fritta.






