Berlino ha praticamente raddoppiato il suo disavanzo commerciale, noi l’abbiamo aumentato del 35%. Il modello tutto export e input energetici a basso costo non c’è più. E ad avvantaggiarsene è l’Asia.C’era una volta un tempo felice nella Ue e in Germania. Quando i tedeschi macinavano avanzi di bilancia commerciale nell’ordine dei 200 miliardi all’anno e l’Italia seguiva a ruota con la non trascurabile cifra di circa 50 miliardi (in media 4/5 miliardi al mese). Allo stesso tempo, l’inflazione restava ben al di sotto della soglia-obiettivo del 2% ed il cambio euro-dollaro sembrava non potesse mai scendere al di sotto di 1,10 che, per la Germania, era un livello relativamente sottovalutato.Ormai da qualche mese, ben prima degli eventi bellici in Ucraina, quei dati sembravano ormai appartenenti ad un passato difficilmente replicabile. Da quando ieri pomeriggio è uscito il dato di giugno sull’inflazione negli Usa (9,1% su anno precedente e 1,3% su maggio scorso), ben superiore alle attese, possiamo consegnare quei numeri ad un’altra era geologica. Quell’inflazione spinge ancor più convintamente gli Usa su un sentiero di aumento dei tassi che in Ue non ci possiamo permettere.È sufficiente un confronto tra i dati del primo quadrimestre 2022 e 2021 della bilancia commerciale per avere evidenza del ribaltamento della realtà. Si è praticamente liquefatto come neve al sole l’avanzo della Germania verso il resto del mondo che scende da 70 a 22 miliardi, con l’Italia che segue a ruota, scendendo da 17 a -10,7 miliardi. Il nostro Paese è stabilmente in disavanzo di bilancia commerciale ormai da dicembre 2021. Numeri che non vedevamo da circa un decennio.La causa è facilmente individuabile nell’esplosione del valore dell’import, soprattutto di prodotti energetici come gas e petrolio. Solo per quest’ultima categoria di prodotti, la Germania ha praticamente raddoppiato il disavanzo commerciale e l’Italia lo ha aumentato del 35%. All’improvviso, abbiamo scoperto che la Germania era un gigante con i piedi «saldamente» ancorati nell’argilla di un modello di approvvigionamento energetico concentrato su alcune fonti e su alcuni fornitori.A proposito dei fornitori, desta impressione osservare l’andamento della bilancia commerciale con la Russia. Includendo tutti i prodotti, la Ue passa da -14,7 a -62,6 miliardi, la Germania da -0,4 a -7,7 e l’Italia da -2 a -9 miliardi. Se qualcuno volesse sapere dove è finito il nostro avanzo commerciale, la risposta è che in buona parte giace sotto le mura del Cremlino che specularmente continua, mese dopo mese, ad impilare avanzi commerciali record. Restringendo l’analisi ai soli prodotti petroliferi grezzi e raffinati, risulta evidente il ruolo preponderante recitato da questi prodotti nel determinare il risultato complessivo.Il modello tedesco, tutto export e input energetici a basso costo, non c’è più e ora la domanda è quanto possa resistere la Germania, e la stessa Eurozona, fuori dal suo brodo di coltura. Proprio ieri su Bloomberg l’Italia è stata indicata come il miglior Paese in termini di riduzione della dipendenza dal gas russo, sceso dal 40% di inizio anno al 25%, facendo affidamento su maggiori forniture dall’Algeria. Invece la Germania ha minori possibilità di diversificazione ed è tuttora ferma al 35%.I principali giornali tedeschi da giorni hanno titoli soltanto per le prevedibili restrizioni nei consumi industriali e privati di gas che conseguiranno alla temuta chiusura definitiva delle forniture di Mosca e gli industriali tedeschi, stanno nemmeno troppo velatamente, incrinando il fronte atlantista cercando di far capire all’opinione pubblica che la Germania e, con essa la Ue, non è strutturalmente concepita per funzionare con un’inflazione all’8% ed i costi di gas e petrolio attestati sui livelli attuali. Si sta quindi molto rapidamente avvicinando per Berlino il momento della scelta di campo definitiva: o lottano disperatamente per conservare il modello a trazione russa (per indicare il ruolo decisivo delle materie prime di Mosca) o capitolano e manifestano piena adesione al fronte atlantista che ha deciso di escludere a lungo termine la Russia dal circuito economico occidentale. In questa disputa, che mette in discussione equilibri che duravano da almeno 20 anni, l’Italia è vaso di coccio ed è legata a doppio filo alla Germania. Con Berlino abbiamo un interscambio molto rilevante (nel 2021 import per 75 miliardi ed export per 66 miliardi) e, soprattutto dopo il 2011, il nostro avanzo commerciale con l’estero è stato ottenuto sfruttando la stessa leva dei tedeschi: moderazione salariale comunque in grado, pur in presenza di modesti incrementi di produttività, di ridurre il costo del lavoro per unità di prodottoChi per anni ha avversato il modello intrinsecamente deflazionistico della Germania e dell’eurozona avrebbe motivo per auspicare l’isolamento della Russia ed il ridimensionamento della sua economia, attraverso l’adozione di fonti energetiche alternative.Però ciò avverrebbe con costi di breve termine molto elevati sia per la Germania che per l’Italia, già leggibili nei dati qui riportati. Per fare male a Mosca, Berlino dovrà fare molto più male a sé stessa, smontando un modello ventennale. Allora la sfida sarà sul fronte della capacità di resistenza a lungo termine tra Germania e Russia. I precedenti storici offrono qualche interessante indizio.
Ansa
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Sempre più risparmiatori scelgono i Piani di accumulo del capitale in fondi scambiati in borsa per costruire un capitale con costi chiari e trasparenti. A differenza dei fondi tradizionali, dove le commissioni erodono i rendimenti, gli Etf offrono efficienza e diversificazione nel lungo periodo.
Il risparmio gestito non è più un lusso per pochi, ma una realtà accessibile a un numero crescente di investitori. In Europa si sta assistendo a una vera e propria rivoluzione, con milioni di risparmiatori che scelgono di investire attraverso i Piani di accumulo del capitale (Pac). Questi piani permettono di mettere da parte piccole somme di denaro a intervalli regolari e il Pac si sta affermando come uno strumento essenziale per chiunque voglia crearsi una "pensione di scorta" in modo semplice e trasparente, con costi chiari e sotto controllo.
«Oggi il risparmio gestito è alla portata di tutti, e i numeri lo dimostrano: in Europa, gli investitori privati detengono circa 266 miliardi di euro in etf. E si prevede che entro la fine del 2028 questa cifra supererà i 650 miliardi di euro», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert SCF. Questo dato conferma la fiducia crescente in strumenti come gli etf, che rappresentano l'ossatura perfetta per un PAC che ha visto in questi anni soprattutto dalla Germania il boom di questa formula. Si stima che quasi 11 milioni di piani di risparmio in Etf, con un volume di circa 17,6 miliardi di euro, siano già attivi, e si prevede che entro il 2028 si arriverà a 32 milioni di piani.
Uno degli aspetti più cruciali di un investimento a lungo termine è il costo. Spesso sottovalutato, può erodere gran parte dei rendimenti nel tempo. La scelta tra un fondo con costi elevati e un Etf a costi ridotti può fare la differenza tra il successo e il fallimento del proprio piano di accumulo.
«I nostri studi, e il buon senso, ci dicono che i costi contano. La maggior parte dei fondi comuni, infatti, fallisce nel battere il proprio indice di riferimento proprio a causa dei costi elevati. Siamo di fronte a una realtà dove oltre il 90% dei fondi tradizionali non riesce a superare i propri benchmark nel lungo periodo, a causa delle alte commissioni di gestione, che spesso superano il 2% annuo, oltre a costi di performance, ingresso e uscita», sottolinea Gaziano.
Gli Etf, al contrario, sono noti per la loro trasparenza e i costi di gestione (Ter) che spesso non superano lo 0,3% annuo. Per fare un esempio pratico che dimostra il potere dei costi, ipotizziamo di investire 200 euro al mese per 30 anni, con un rendimento annuo ipotizzato del 7%. Due gli scenari. Il primo (fondo con costi elevati): con un costo di gestione annuo del 2%, il capitale finale si aggirerebbe intorno ai 167.000 euro (al netto dei costi). Il secondo (etf a costi ridotti): Con una spesa dello 0,3%, il capitale finale supererebbe i 231.000 euro (al netto dei costi).
Una differenza di quasi 64.000 euro che dimostra in modo lampante come i costi incidano profondamente sul risultato finale del nostro Pac. «È fondamentale, quando si valuta un investimento, guardare non solo al rendimento potenziale, ma anche e soprattutto ai costi. È la variabile più facile da controllare», afferma Salvatore Gaziano.
Un altro vantaggio degli Etf è la loro naturale diversificazione. Un singolo etf può raggruppare centinaia o migliaia di titoli di diverse aziende, settori e Paesi, garantendo una ripartizione del rischio senza dover acquistare decine di strumenti diversi. Questo evita di concentrare il proprio capitale su settori «di moda» o troppo specifici, che possono essere molto volatili.
Per un Pac, che per sua natura è un investimento a lungo termine, è fondamentale investire in un paniere il più possibile ampio e diversificato, che non risenta dei cicli di mercato di un singolo settore o di un singolo Paese. Gli Etf globali, ad esempio, che replicano indici come l'Msci World, offrono proprio questa caratteristica, riducendo il rischio di entrare sul mercato "al momento sbagliato" e permettendo di beneficiare della crescita economica mondiale.
La crescente domanda di Pac in Etf ha spinto banche e broker a competere offrendo soluzioni sempre più convenienti. Oggi, è possibile costruire un piano di accumulo con commissioni di acquisto molto basse, o addirittura azzerate. Alcuni esempi? Directa: È stata pioniera in Italia offrendo un Pac automatico in Etf con zero costi di esecuzione su una vasta lista di strumenti convenzionati. È una soluzione ideale per chi vuole avere il pieno controllo e agire in autonomia. Fineco: Con il servizio Piano Replay, permette di creare un Pac su Etf con la possibilità di ribilanciamento automatico. L'offerta è particolarmente vantaggiosa per gli under 30, che possono usufruire del servizio gratuitamente. Moneyfarm: Ha recentemente lanciato il suo Pac in Etf automatico, che si aggiunge al servizio di gestione patrimoniale. Con versamenti a partire da 10 euro e commissioni di acquisto azzerate, si posiziona come una valida alternativa per chi cerca semplicità e automazione.
Ma sono sempre più numerose le banche e le piattaforme (Trade Republic, Scalable, Revolut…) che offrono la possibilità di sottoscrivere dei Pac in etf o comunque tutte consentono di negoziare gli etf e naturalmente un aspetto importante prima di sottoscrivere un pac è valutare i costi sia dello strumento sottostante che quelli diretti e indiretti come spese fisse o di negoziazione.
La scelta della piattaforma dipende dalle esigenze di ciascuno, ma il punto fermo rimane l'importanza di investire in strumenti diversificati e con costi contenuti. Per un investimento di lungo periodo, è fondamentale scegliere un paniere che non sia troppo tematico o «alla moda» secondo SoldiExpert SCF ma che rifletta una diversificazione ampia a livello di settori e Paesi. Questo è il miglior antidoto contro la volatilità e le mode del momento.
«Come consulenti finanziari indipendenti ovvero soggetti iscritti all’Albo Ocf (obbligatorio per chi in Italia fornisce consigli di investimento)», spiega Gaziano, «forniamo un’ampia consulenza senza conflitti di interesse (siamo pagati solo a parcella e non riceviamo commissioni sui prodotti o strumenti consigliati) a piccoli e grandi investitore e supportiamo i clienti nella scelta del Pac migliore a partire dalla scelta dell’intermediario e poi degli strumenti migliori o valutiamo se già sono stati attivati dei Pac magari in fondi di investimento se superano la valutazione costi-benefici».
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