L’Ue lancia il ministero della verità. «Fondiamo un centro anti-bufale»
La Commissione europea si prepara a sferrare un attacco frontale contro quella che definisce «disinformazione» e «ingerenza straniera», ma i suoi piani sollevano gravi interrogativi sulla libertà di espressione dell’Unione. L’iniziativa, presentata come il nuovo «Scudo europeo per la democrazia» (Democracy shield), viene lanciata oggi a Bruxelles. Al centro di questo piano c’è la proposta di istituire una nuova struttura, il Centro europeo per la resilienza democratica, presentata come un polo per coordinare gli sforzi tra l’Ue e i Paesi membri contro attacchi ibridi di disinformazione provenienti, in particolare, da attori stranieri come la Russia.
Oggi, dopo la riunione mattutina del Collegio dei commissari, terranno una conferenza stampa la finlandese Henna Virkkunen, commissario a Sovranità tecnologica, sicurezza e democrazia, e l’irlandese Michael McGrath, commissario a Democrazia, giustizia, Stato di diritto e tutela dei consumatori. Tra le iniziative previste figurano il sostegno allo sviluppo di strumenti per rilevare i deepfake e il potenziamento del fact checking attraverso una rete europea indipendente.
Già l’aggettivo «indipendente» solleva molti dubbi: chi decide e come che un fact checker è indipendente? Soprattutto, chi ha delegato a Bruxelles il potere di decidere cosa è vero e cosa è falso?
Proprio in questi giorni assistiamo (non sorpresi) alla gravissima vicenda della Bbc, pescata dal Daily Telegraph con le mani nella marmellata di una manipolazione di un discorso di Donald Trump. Attraverso il montaggio, la Bbc fece sembrare che Trump incitasse esplicitamente all’assalto a Capitol Hill il 6 gennaio 2021, promettendo ai sostenitori che avrebbe marciato con loro per «combattere con tutte le nostre forze». In realtà, Trump aveva esortato i suoi sostenitori a «far sentire la propria voce in modo pacifico e patriottico», una parte che il montaggio aveva omesso.Tim Davie, direttore generale di Bbc, e Deborah Turness, amministratore delegato di Bbc News, si sono dimessi, ma il gioco è scoperto e la fiducia (per chi ancora ce l’aveva) compromessa.
La Commissione europea vuole vigilare sulla disinformazione, ma si può dubitare che la vagheggiata rete di fact checker «indipendenti» avrebbe intercettato la fake news anti Trump diffusa dalla osannata Bbc. Lo scoop del Daily Telegraph è un perfetto esempio di come si combattono le fake news: con i giornalisti che fanno il proprio mestiere.
L’ipocrisia di Bruxelles raggiunge l’apice se si considera che l’Unione europea gestisce un vasto sistema di finanziamento ai media che, lungi dal sostenere il giornalismo indipendente, alimenta la propria macchina di propaganda. Ne ha parlato questo giornale il 5 giugno scorso, citando un rapporto di Thomas Fazi che mette in luce come la Commissione abbia erogato negli ultimi anni quasi 80 milioni di euro ai media che accettano di diffondere la narrazione europeista. Fondi che premiano organizzazioni che producono contenuti allineati alle politiche Ue, ma finanziano anche progetti esplicitamente mirati a «promuovere l’integrazione europea», «demistificare l’Unione europea» e persino a combattere i «movimenti nazionali estremisti». Questa dipendenza finanziaria crea un incentivo strutturale per i media a produrre una copertura favorevole a Bruxelles, minando la capacità del giornalismo di chiedere conto alle istituzioni. L’Unione sta di fatto pagando i mezzi di informazione per farsi pubblicità, trasformando la stampa in un partner della sua strategia di comunicazione.
Se questo sembrasse ancora poco, veniamo al problema centrale della vicenda, che risiede nel potere che la Commissione si arroga. Sulla base di quale legittimità l’esecutivo di Bruxelles (da nessuno eletto) pretende di definire cosa sia disinformazione e cosa no? L’intera operazione si nasconde dietro un vocabolario che vuole essere rassicurante - «alfabetizzazione mediatica», «valori europei», «lotta alla disinformazione» - ma che in realtà sembra più mirato a plasmare il dibattito pubblico e marginalizzare il dissenso.
Quando le organizzazioni di fact checking sono esse stesse approvate e finanziate da organi politici con un interesse a promuovere la propria narrativa, l’autorità di etichettare un punto di vista come disinformazione rischia di diventare un meccanismo di mera censura. Come è possibile che un’iniziativa sia neutrale quando coinvolge una stretta cooperazione con istituzioni politiche che la finanziano? Quand’anche fossero davvero neutrali i fact checker (mera ipotesi di scuola) non si può pensare che questo li autorizzi a giudicare sulla verità di affermazioni altrui. La libertà di espressione è un diritto garantito a livello costituzionale, così come per converso esiste giuridicamente una responsabilità su ciò che si dice in pubblico o sui social. Questo è già nelle leggi degli ordinamenti europei.
L’iniziativa Democracy shield è presentata come una difesa contro la guerra ibrida, ma i documentati metodi di finanziamento e di influenza sui media suggeriscono che i veri attacchi in corso siano quelli della Commissione contro la libertà di informazione e la libertà di espressione dei suoi stessi cittadini. Il paternalismo della Commissione, che pensa che i cittadini debbano essere protetti dall’informazione in quanto incapaci di distinguere il vero dal falso, è un clamoroso autogol nel momento in cui essa finanzia la narrazione a sé favorevole. Il tutto proprio mentre a Londra si scoprono gli altarini delle corazzate dell’informazione.






