
Grideranno al colpo di Stato contabile, ma hanno la voce fioca. Perché, com’è già successo con la cancellazione del reato di abuso d’ufficio, sindaci e assessori del Pd e dei 5s non vedevano l’ora di scrollarsi di dosso il fantasma dei giudici contabili. È passata al Senato in via definitiva con 93 sì, 51 contrari e cinque astenuti - Italia viva - la cosiddetta riforma della Corte dei Conti - primo firmatario il ministro per gli affari europei e il Pnrr Tommaso Foti - che non intacca le prerogative dei giudici contabili, anzi le rafforza in tema di parere preventivo sulle spese pubbliche, ma manda in pensione la presunzione di colpevolezza di amministratori e funzionari pubblici.
Il senatore del Pd Antonio Misiani accusa: «Altro che riforma, è un attacco frontale ai controlli di legalità e all’equilibro die poteri. Alla Corte dei Conti imputano il no al Ponte sullo Stretto». È lo stesso Misiani che definì «paradossale e assurda» la richiesta da parte dei giudici contabili di licenziamento di un professore lombardo multato perché aveva fatto la pipì in un cespuglio a bordo strada. Ha ragione il relatore di maggioranza Pierantonio Zanettin (Forza Italia) a dire: «Con questo provvedimento, che trae spunto da una sentenza della Corte Costituzionale, vogliamo evitare la stasi degli uffici pubblici. È un obiettivo condiviso dalla maggioranza degli amministratori a prescindere dal colore politico».
Eppure dai pentastellati si alzano alti lai. Roberto Cataldi a Palazzo Madama grida: «Date il via libera a qualsiasi forma di illegalità; questa legge è incostituzionale: vìola l’articolo 100 della Carta che vuole la Corte dei Conti indipendente». Chissà che ne pensano le professoresse di Venezia condannate perché hanno rottamato gli inutili banchi a rotelle comprati dal ministro Lucia Azzolina ai tempi del Covid su cui indaga la Corte dei Conti europea, ma la nostra tace. Quanto alla Costituzione l’articolo 100 sancisce: «La Corte dei Conti partecipa nei casi e nelle forme stabilite dalla legge al controllo sulla gestione finanziaria degli enti a cui lo Stato contribuisce». Dunque la legge può modificarne l’attività a piacimento.
L’opposizione però racconta che si fa pagare all’organo di cui è presidente Guido Carlino, assai vicino a Sergio Mattarella, lo sgarbo sul Ponte di Messina a cui i giudici contabili hanno negato la legittimità. Peccato che Franco Bassini, l’ispiratore di tutte le riforme amministrative targate prima Pci e poi Pdi, abbia candidamente ammesso: «Dal Ponte sullo Stretto al caso Milano la Corte deve controllare la legittimità, non sostituirsi al decisore politico valutando il merito delle scelte, questa riforma va nella giusta direzione».
E qual è? Lo spiega il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano: «Vi è stata una costante interlocuzione con rappresentanti della Corte dei Conti che ha permesso di modificare più di una delle norme e non c’è nessuna vendetta per il Ponte. Il pronunciamento dei giudici è di un mese fa, la riforma è partita nel 2023. Si tratta di decidere se essere ipocriti o meno; siamo stati abituati ad accertamenti contabili stratosferici, il cui solo limite era di non andare mai a compimento se non per minime parti».
E qui c’è il merito delle norme. Si limita al 30% del danno accertato il rimborso, al massimo è possibile lasciare il funzionario senza stipendio per due anni e si punisce solo il dolo non la colpa grave, ma si obbligano gli amministratori a stipulare un’assicurazione che li copre in caso di condanna e rende certo l’incasso per lo Stato.
In cambio, ai giudici viene ampliata la competenza consultiva e preventiva sugli atti. E per dirla col ministro Foti: «La riforma per sconfiggere la paura della firma che di fatto blocca il lavoro della pubblica amministrazione. Da oggi lo Stato vigila, non paralizza».






