2021-10-14
Sui preavvisi e i controlli del pass l’esecutivo è ancora nel pallone
A 24 ore dall’obbligo per i lavoratori, fallisce il tavolo tecnico con i sindacati per sciogliere gli ultimi dubbi Cisl: «Incontro interlocutorio». La richiesta della carta 48 ore prima potrebbe saltare. Oggi ennesimo verticeBenvenuti sul pianeta del green caos: l’Italia tra 24 ore si troverà a fare i conti con la più annunciata delle disfatte. Domani mattina circa 23 milioni di italiani, tra dipendenti pubblici, privati e autonomi, saranno obbligati a mostrare il pass per accedere al posto di lavoro. Per circa 3 milioni di essi, che non hanno ancora ricevuto neanche una dose di vaccino, sarà obbligatorio, per evitare le sanzioni, sottoporsi a un tampone ogni due giorni. Uno stravolgimento epocale dell’organizzazione del mondo del lavoro e delle abitudini di un intero popolo, l’unico sul pianeta Terra, a dover fare i conti con questo gigantesco problema. Eppure, il governo dei «migliori» arriva a questo appuntamento impreparato, sfilacciato e in imperdonabile ritardo. Le previsioni pessimistiche dei pochi osservatori che avvertivano del pericolo incombente si stanno avverando. «Ci troviamo», dice alla Verità una fonte di governo, «nel momento più difficile dalla nascita dell’esecutivo. Abbiamo pochissimo tempo e una serie di difficoltà enormi da superare. Si ragiona sull’allungamento della validità del tampone, da 48 a 72 ore», aggiunge la nostra fonte, «ma potrebbe non bastare. Siamo tutti estremamente preoccupati. Speranza punta ad arrivare a dicembre per poi eliminare l’obbligo, ma il quadro è complesso». La necessità di garantire che i lavoratori non vaccinati non siano discriminati ma abbiano la possibilità, come prescrive la legge, di recarsi al lavoro effettuando il tampone, è uno dei nodi più intricati. Il governo si è accorto, solo ora, che siamo di fronte a numeri stratosferici. Stimando in 3 milioni la platea dei lavoratori non vaccinati, serviranno circa 10 milioni di tamponi a settimana, cinque volte i 2 milioni a settimana processati oggi. Calcolo puramente teorico: le farmacie non sono assolutamente in grado di fronteggiare questa richiesta. Caos totale anche sui controlli: il dpcm firmato dal premier, Mario Draghi, prevede che per esigenze organizzative il datore di lavoro possa chiedere il pass ai dipendenti anche 48 ore prima dell’ingresso in azienda. Non è chiaro come possa questa indicazione tradursi in pratica. Proteste anche sulla previsione di controlli a campione sul luogo di lavoro, oltre alla verifica del possesso del green pass all’ingresso. Incredibile ma vero, ieri mattina, a meno di 48 ore dal via a questo meccanismo infernale, si è riunito un tavolo tecnico al quale hanno partecipato i sindacati, il ministero del Lavoro e quello della Salute. Risultati: zero. Anche dai sindacati arrivano tardivi segnali di allarme: «Nella mattinata di oggi (ieri, ndr)», afferma in una nota il segretario confederale della Cisl, Angelo Colombini, «si è svolto l’incontro, purtroppo ancora interlocutorio, con il ministero del Lavoro del ministero della Salute per affrontare i nodi interpretativi e applicativi in merito all’obbligo del green pass nei luoghi di lavoro a partire dal 15 ottobre. Sul tavolo del confronto ministeriale sono state poste numerose questioni: la posizione ambigua del governo, tra quanto sostenuto e confermato dal ministro Speranza e dal ministro Orlando sulla non gratuità dei tamponi per i non vaccinati», aggiunge Colombini, «e sulla concessione prevista dal ministro Lamorgese nei riguardi del settore portuale». Colombini elenca un numero impressionante di questioni ancora aperte: come interpretare e applicare la possibilità prevista in capo al datore di lavoro di ricevere comunicazione dal lavoratore, con un preavviso necessario a soddisfare le esigenze organizzative, in merito al possesso del green pass; come avviene la registrazione da parte del datore di lavoro della comunicazione ricevuta dal lavoratore in merito al possesso del green pass e della sua eventuale validità. I sindacati chiedono tra l’altro di modificare le norme in merito ai lavoratori somministrati; di prevedere l’obbligo di tampone (comunque gratuito) per gli esenti dalla vaccinazione; di eliminare i controlli a campione durante l’arco della giornata o del turno, limitandoli solo all’accesso al luogo di lavoro; di precisare cosa si intende per «emolumenti» in caso di assenza ingiustificata e conseguente interruzione della retribuzione. «Accolte complessivamente tutte le nostre richieste di chiarimento», conclude Colombini, «nelle prossime ore si andrà a lavorare congiuntamente con i ministeri competenti per delineare indicazioni chiare e risolutive ai problemi evidenziati». Se non ci fosse da piangere, verrebbe da ridere: in 24 ore il governo e i sindacati dovranno affrontare e tentare di risolvere problemi giganteschi. Secondo l’Adnkronos, il governo avrebbe comunicato ai sindacati l’intenzione di eliminare il preavviso di 48 ore, mentre sarebbe allo studio anche la validazione di altri vaccini, quello russo e quello cinese, per andare incontro alle esigenze degli autotrasportatori che arrivano dai Paesi dell’Est. I vaccini russi e cinesi, ricordiamolo sempre, non sono stati autorizzati né dall’Ema, l’Agenzia europea del farmaco, né dall’Aifa, quella italiana. La sensazione è che l’Italia si trovi di fronte a un burrone: «È un passaggio complesso», ammette il ministro del Lavoro, Andrea Orlando, «che può avere anche problemi di carattere applicativo ma con il dialogo sociale sono convinto che costruiremo risposte alle domande che emergono». Intanto, Draghi ha convocato a Palazzo Chigi, questa mattina alle 9.30, i segretari generali di Cgil, Cisl e Uil, Maurizio Landini, Luigi Sbarra e Pierpaolo Bombardieri. Un vertice che si tiene meno di 24 ore prima dell’entrata in vigore dell’obbligo. Più che un accordo, per evitare la catastrofe servirebbe un miracolo.