2019-02-03
Su fiscalità, moneta e banche di Stato siamo ancora liberi dal cappio dell’Ue
I trattati lasciano spazi di sovranità per ripensare le aste dei Btp, agire sul credito alle imprese e difenderci dal ricatto dello spread.Quando Mario Draghi sostiene che uno Stato con un debito troppo alto perde la propria sovranità, dice una cosa vera. Ma il suo allarme vale per un Paese già privato di quella declinazione della sovranità che va sotto il nome di «monetaria». Uno Stato «normale», dotato di una propria moneta domestica e di una Banca centrale, non può tecnicamente fallire né farsi ricattare dallo spread, a prescindere della mole del proprio debito. E allora, che fare? Una risposta è: passi in avanti, ci vuole più Europa. I «sovranisti radicali» invece esortano: solo fuori dai trattati c'è vita indipendente. Entrambi i fronti, dopotutto, concordano su un punto: l'Italia non è più sovrana. Ma è vero? In realtà il processo di spolpamento, dall'interno, della sovranità italiana, pur iniziato, non è stato ancora portato a compimento. Secondo l'articolo 4 del trattato di Maastricht («Qualsiasi competenza non attribuita all'Unione nei trattati appartiene agli Stati membri») e degli articoli 3, 4 e 5 del trattato di Lisbona, l'Italia ha, ad oggi, ceduto la competenza esclusiva in materia di «politica monetaria» alla Bce, ma non ha ceduto né la sovranità e la competenza in ambito fiscale, né la competenza economica né la competenza di creare e usare banche pubbliche. Non ha ceduto neppure la competenza esclusiva di disciplinare, per via amministrativa, le modalità di funzionamento delle aste primarie dei titoli del debito pubblico. Infine, non ha ceduto, a stretto rigore, neppure la propria sovranità monetaria. Tra «competenza» monetaria e «sovranità» monetaria corre una significativa differenza. L'Unione europea, come detto, ha l'esclusiva solo in materia di «politica monetaria» relativa alle banconote dette euro. Lo Stato Italiano, tuttavia, conserva, ai sensi dell'articolo 117 della nostra Costituzione, legislazione esclusiva, e quindi piena sovranità, in materia di «moneta». Un sistema giuridico statuale può veder coesistere, al proprio interno, la politica monetaria esclusiva - nella emissione di «banconote» - di una Banca centrale «indipendente» e la sovranità monetaria dello Stato relativamente alla produzione di biglietti di Stato. In Italia, ciò è accaduto quantomeno fino al D. Lgs nr. 43 del 10.03.98 abrogativo della legge 31.03.66 numero 171 che aveva disciplinato la possibilità, per lo Stato Italiano, senza previa autorizzazione di Bankitalia, di stampare biglietti di Stato da 500 lire. Convivevano, pertanto, banconote da 500 lire emesse dalla Banca centrale nazionale titolare esclusiva della politica monetaria (e prodotte con il classico format della moneta a debito) con i biglietti di Stato da 500 lire diffusi dal ministero del Tesoro. Ciò, in linea di principio, potrebbe valere anche oggi: una «civile convivenza» tra banconote in euro «made in Bce» e valide su tutto il territorio dell'Unione e biglietti di Stato, sempre in euro, griffati dallo Stato Italiano e spendibili solo entro i nostri confini. Basterebbe licenziare una legge analoga a quella del 1966. Un'idea siffatta era stata abbozzata, salvo poi derubricarla al rango di battuta, persino da Silvio Berlusconi nel 2012. Ma anche a prescindere dall'impiego di tale (mai perduta, benché dibattuta) declinazione della nostra sovranità monetaria, possiamo mettere in campo tutta una serie di iniziative di carattere fiscale, amministrativo e bancario in grado di pompare liquidità nel sistema e di renderci immuni dal ricatto dello spread: dall'introduzione di una moneta fiscale parallela, e legittima, all'impiego, con le stesse finalità, dei miniBot; da una riforma intelligente del sistema delle aste dei titoli di Stato, ampliando il numero degli operatori autorizzati e eliminando il sistema autolesionistico delle aste marginali, all'uso di banche pubbliche - eventualmente di nuova creazione - che si approvvigionino di denaro presso la Bce per poi prestarlo a tassi bassissimi allo Stato (come consentito, a chiare lettere, dall'articolo 123 del trattato di Lisbona). In altri termini siamo ancora perfettamente in grado, rebus sic stantibus, e senza uscire dal seminato dei trattati, di immunizzarci dal ricatto dello spread e immettere nel tessuto sociale ed economico del Paese nuovo ossigeno per l'economia. Ossigeno alternativo a quello spacciato, a piccolissime dosi e sotto forma di decimali di deficit, dai «pusher» di Bruxelles. Sia chiaro, tutto ciò si può ancora fare solo a patto di non ascoltare il richiamo verso più Europa e più Unione. Bisogna restare «fermi», rifiutandosi di firmare qualsivoglia altro trattato che dovesse palesarsi come una ulteriore limitazione o, peggio, cessione della nostra sovranità. Se tornare indietro è complicatissimo, restare fermi è la cosa più semplice del mondo, magari con qualche ritocco qua e là. Cominciamo con l'abrogazione degli articoli costituzionali (81, 97 e 118) sul pareggio di bilancio. Poi infiliamoci, con creatività italica, tra le maglie della rete di regole vigenti per dimostrare che, al contrario di quanto credono i feticisti dell'euro, non siamo ancora arrivati a un punto di non ritorno. Non abbiamo perduto la nostra sovranità e non siamo ancora, né giuridicamente, né economicamente né, soprattutto, psicologicamente uno Stato suscettibile di fallire, né tanto meno destinato a fallire, a causa del proprio debito pubblico.www.francescocarraro.com