2023-07-13
Studenti peggiorati dopo la Dad. Ma gli ultrà dei diktat fischiettano
I test Invalsi rivelano un calo dell’apprendimento pure alle elementari e la crescita del divario tra Nord e Sud. È l’ovvio strascico delle inutili chiusure della scuola, eppure gli artefici dei divieti e i media si fingono sorpresi.Puntuali, assieme al caldo di luglio arrivano i risultati delle prove Invalsi. Acronimo di Sistema nazionale per la valutazione del sistema dell’istruzione, sono test standardizzati per la rilevazione degli apprendimenti. Quest’anno hanno coinvolto 2,7 milioni di studenti tra primaria, secondaria di I grado e secondaria di II grado, in un’operazione costata 7 milioni di euro e che non sembra aver fornito un quadro esaltante della formazione scolastica nel nostro Paese. Quello che sconcerta maggiormente però, è che nessuna testata giornalistica online abbia colto l’assurdità di una dichiarazione del presidente di Invalsi, Roberto Ricci, a commento del calo di rendimento. «È giusto dire che assistiamo a un effetto “long Covid”», ha detto, perché «gli apprendimenti sono un continuum, se si inseriscono discontinuità questo finisce per avere un peso». La maggior parte delle testate ha ripreso quelle parole, addirittura utilizzandole come titolo, come ha fatto il sito del Corriere della Sera. Altro che effetto Covid che si protrae nel tempo, queste sono le conseguenze di chiusure, di applicazione della didattica a distanza in ogni scuola di ordine e grado. Per diverso tempo, i segni di quella mancata frequentazione si faranno sentire sotto forma di disagio fisico, mentale, di caduta dell’interesse e della concentrazione, di scarso rendimento. Come si può giocare sull’equivoco «long Covid», sindrome di cui soffrono diverse persone guarite dalla malattia (ma anche i vaccinati), attribuendo all’infezione anche la scarsa performance dei nostri studenti? Bisognava pensarci prima, all’effetto pesantissimo che avrebbero avuto le chiusure scolastiche, decise più volte e in diversi periodi senza ascoltare le proteste dei genitori e ignorando l’allarme lanciato da (pochi) psicologi e insegnanti. Adesso, tutti a sottolineare che solo il 51% degli studenti delle superiori ha raggiunto il livello di base in italiano, in matematica il 50% mentre per l’inglese oscillano tra il 46 e il 59%, e che dopo 13 anni di scuola hanno livelli di competenza non adeguati ad affrontare le successive tappe di vita, nella formazione come nel lavoro. A lasciarli più impreparati avranno contribuito non poco le forzate assenze, imposte durante lo stato d’emergenza. Ricordiamoci che lo scorso anno, uno studio dell’Istat riportava che con la Dad «il 70,2% degli alunni della scuola secondaria ha trovato più difficile seguire le lezioni, e il 51% ha segnalato frequenti problemi di connessione da casa». I livelli di apprendimento non erano un granché nemmeno prima, alle prove Invalsi 2019 il 65,4% degli studenti al termine della scuola superiore raggiungeva «risultati almeno adeguati in italiano, il 58,2% in matematica». Poi, tre anni di pandemia hanno presentato il conto, ma non per il Covid, è stata la gestione dell’emergenza a penalizzare milioni di bambini e di ragazzi. Inutile sorprendersi, se in seconda elementare i risultati di italiano e di matematica sono più bassi di quelli registrati nel 2019 e nel 2021. In Italiano, circa il 69% (era il 72% nel 2022) raggiunge almeno il livello base, in matematica circa il 64% (era il 70% nel 2022). La differenza è ancora più marcata nella quinta classe. «Sono quelli che durante il lockdown erano in seconda, un anno importante nel percorso scolastico. Nella primaria non dimentichiamo che può aver impattato anche la mancata frequenza, nel periodo pandemico, della scuola dell’infanzia: soprattutto sui figli delle famiglie più fragili o straniere ha pesato», ha ricordato Ricci. Non il Covid, dunque, ma la Dad. «Sul risultato dei più piccoli potrebbe aver inciso il fatto che durante l’emergenza sanitaria molti genitori abbiano preferito non mandarli all’asilo, per evitare rischi per loro, per sé e magari anche per i nonni», osserva Il Corriere della Sera e possiamo immaginare la rabbia che proveranno le mamme e i papà a leggere una simile interpretazione delle chiusure imposte alle famiglie. Alle medie, si è fermato il calo degli apprendimenti in italiano e matematica riscontrato tra il 2019 e il 2021 e migliora l’apprendimento dell’inglese. I test hanno confermato i divari tra Nord e Sud, con diverse regioni del Mezzogiorno dove gli studenti non raggiungono nemmeno un livello base (3). Certo, la politica scolastica degli ultimi anni non ha contribuito a eliminare le differenze territoriali. Meno pesante, però, sono i dati relativi alla dispersione scolastica. Dei 553.626 studenti che nel 2018 avevano sostenuto la terza media, solo 400.571 (il 72,3%) è arrivato alla maturità, perché bocciato e quindi ripetente o perché ha cambiato indirizzo scolastico o ha lasciato il Paese, ma alla fine i «dispersi» sono pari al 10,4%, una quota «molto vicina al traguardo posto dal Pnrr che lo fissa al 10,2%», ha commentato Ricci.Meglio occuparsi di quanti ancora studiano, mettendoli nelle condizioni migliori per recuperare quanto è stato loro tolto da una dissennata politica sanitaria e scolastica.
Nel riquadro, il chirurgo Ludwig Rehn (IStock)
Non c’era più tempo per il dottor Ludwig Rehn. Il paziente stava per morire dissanguato davanti ai suoi occhi. Era il 7 settembre 1896 e il medico tedesco era allora il primario di chirurgia dell’ospedale civile di Francoforte quando fu chiamato d’urgenza per un giovane giardiniere di 22 anni accoltellato nel pomeriggio e trovato da un passante soltanto ore più tardi in condizioni disperate. Arrivò di fronte al dottor Rehn solo dopo le 3 del mattino. Da questo fatto di cronaca, nascerà il primo intervento a cuore aperto della storia della medicina e della cardiochirurgia.
Il paziente presentava una ferita da taglio al quarto spazio intercostale, appariva pallido e febbricitante con tachicardia, polso debole, aritmia e grave affanno respiratorio (68 atti al minuto quando la norma sarebbe 18-20) aggravato dallo sviluppo di uno pneumotorace sinistro. Condizioni che la mattina successiva peggiorarono rapidamente.
Senza gli strumenti diagnostici odierni, localizzare il danno era estremamente difficile, se non impossibile. Il dottor Rehn riuscì tuttavia ad ipotizzare la posizione del danno mediante semplice auscultazione. La ferita aveva centrato il cuore. Senza esitare, decise di intervenire con un tamponamento cardiaco diretto, un’operazione mai provata precedentemente. Rehn praticò un’incisione di 14 cm all’altezza del quinto intercostale e scoprì la presenza di sangue scuro. Esplorò il pericardio con le mani, quindi lo aprì, esponendo per la prima volta nella storia della medicina un cuore attivo e pulsante, seppur gravemente compromesso e sanguinante. Tra i coaguli e l’emorragia Rehn individuò la ferita da taglio all’altezza del ventricolo destro. Il chirurgo operò una rapida sutura della ferita al cuore con un filo in seta, approfittando della fase di diastole prolungata a causa della sofferenza cardiaca. La sutura fu ripetuta tre volte fino a che l’emorragia si fermò del tutto e dopo un sussulto del cuore, questo riprese a battere più vigoroso e regolare. Prima di richiudere il torace, lavò il cuore ed il pericardio con soluzione idrosalina. Gli atti respiratori scesero repentinamente da 76 a 48, la febbre di conseguenza diminuì. Fu posto un drenaggio toracico che nel decorso postoperatorio rivelò una fase critica a causa di un’infezione, che Rehn riuscì tuttavia a controllare per l’efficacia del drenaggio stesso. Sei mesi dopo l’intervento il medico tedesco dichiarava: «Sono oggi nella fortunata posizione di potervi dichiarare che il paziente è ritornato in buona salute. Oggi è occupato in piccole attività lavorative, in quanto non gli ho al momento permesso nessuno sforzo fisico. Il paziente mostra ottime prospettive di conservazione di un buono stato di salute generale».
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