2020-10-22
Disfatta totale
dell’Azzolina. La scuola passa a distanza
Il mondo della scuola protesta contro i provvedimenti restrittivi adottati dalle Regioni. Da lunedì in Lombardia ricomincia la didattica a distanza per le superiori. Un pastrocchio creato da un governo inerte che ha perso tempo con i banchi a rotelle.Per mesi abbiamo sentito ripetere che la scuola era «una priorità», che bisognava garantire un sostegno adeguato ai ragazzi, che non si potevano affidare ai soli pc le menti delle giovani generazioni. Ma puntualmente ci siamo arrivati: la didattica a distanza che nessuno (a parole) voleva, a partire dal ministro dell'Istruzione, è già diventata realtà. Prima c'è stato il balzo in avanti della Campania, che in seguito ha annunciato la riapertura delle elementari, salvo poi cambiare nuovamente idea. A stretto giro ecco le altre regioni: Valle d'Aosta, Piemonte, Lombardia, Liguria, Veneto e Umbria hanno già messo in atto provvedimenti restrittivi. Non si tratta ovunque di didattica a distanza vera e propria, ma spesso di una sorta di didattica mista, che pone ancora più problemi. L'ordinanza del Piemonte stabilisce che gli studenti delle superiori «dovranno alternare la didattica digitale a quella in presenza per una quota non inferiore al 50 per cento in tutte le classi del ciclo, ad eccezione delle prime». In Lombardia le superiori, da lunedì, dovranno «assicurare il pieno svolgimento mediante la didattica digitale integrata», mentre alle altre scuola è richiesto di creare le condizioni per attuarla «nel più breve tempo possibile».Un bel pastrocchio, non c'è che dire. E infatti gli animi si stanno già infiammando. Ieri, a Torino, circa 150 studenti del Carlo Levi di via Madonna delle Salette hanno organizzato un picchetto di protesta. «Vogliamo veder garantito il nostro diritto alla salute e il nostro diritto allo studio, non vogliamo tornare in didattica a distanza», hanno detto gli organizzatori alla Stampa. Oggi andranno in piazza gli studenti delle superiori dell'Umbria, anch'essi contrari alle lezioni digitali. Qualche giorno fa hanno protestato pure genitori, docenti e studenti di sinistra del movimento Priorità alla scuola, che ha messo in piedi flash mob in 13 città: «La chiusura delle scuole e il passaggio alla didattica a distanza sarebbero accettabili solo in caso di un lockdown totale del Paese», hanno ripetuto i manifestanti ai giornalisti. Certo, alcune di queste proteste nascono in ambiente progressista, e prendono di mira i governatori di centrodestra. Tuttavia le rimostranze hanno più di un fondamento, anche quando si concentrano sull'obiettivo sbagliato. Le regioni, in fondo, non fanno altro che tentare di attutire il colpo. Sulle loro spalle sono state scaricate le responsabilità maggiori, e non c'è dubbio che i governatori verranno inchiodati a ogni pur minimo errore. Il governo che gridava «scuole aperte senza se e senza ma», invece, è rimasto inerte, non ha fatto nulla per garantire a ragazzi e ragazze il famigerato «diritto allo studio». Per mesi si è discusso di banchi a rotelle e scemenze a pedali, ma sulla messa in sicurezza degli edifici, ad esempio, vuoto assoluto. Il risultato è che adesso siamo due volte impreparati: non possiamo garantire la totale incolumità degli studenti, ma non possiamo nemmeno sostenerli decentemente nella didattica a distanza. Ieri il Garante dell'infanzia e dell'adolescenza del Lazio, Jacopo Marzetti, ha inviato una lettera alle autorità regionali mettendo sul tavolo una serie di problemi e chiedendo maggiori investimenti: «Molte famiglie non hanno la possibilità di acquistare tablet o pc», spiega, «per questo chiediamo alla Regione di sostenerle con lo stanziamento di ulteriori finanziamenti finalizzati all'acquisto di dispositivi informatici e al potenziamento della rete internet, laddove il collegamento risulti lento o inesistente». Ovviamente di questi investimenti si vedrà al massimo l'ombra, forse nemmeno quella. Il che renderà ancora più dannosa una soluzione che già causa guai. Praticamente tutti gli osservatori sono concordi nell'affermare che la didattica a distanza è un enorme fattore di stress. Lo ha notato persino una ricerca realizzata in estate da Microsoft Italia in collaborazione con Perlab e Wattajob. Il colosso informatico avrebbe tutto l'interesse a difendere l'insegnamento digitale eppure non ha potuto non notarne gli effetti negativi. «Stanchezza e stress», si legge nello studio, «sono le prime due emozioni negative legate all'uso della tecnologia che accomunano docenti e studenti, conferma che questa modalità di apprendimento sia stata introdotta in questa sua forma per far fronte all'emergenza e non possa sostituirsi completamente alla didattica in presenza che resta fondamentale e necessaria». Niente male. Sarebbe bastato che i «competenti» al governo dessero ascolto a qualche esperto per rendersi conto dei danni prodotti dalla scuola online. Il celebre pedagogista Daniele Novara, ad esempio, ha appena pubblicato un libro intitolato I bambini sono sempre gli ultimi (Rizzoli) in cui spiega: «La didattica a distanza, ovvero la scuola dietro un monitor, non consentendo la formazione di una vera comunità di apprendimento che permetta il confronto in carne e ossa (l'assenza dei corpi impedisce quell'osmosi sociale alla base di tutti gli apprendimenti scolastici), non può essere la soluzione ai tanti dilemmi della scuola». Ora, tutto questo si sapeva da tempo. Però siamo di nuovo al punto di partenza: insegnanti chiamati a controllare 20 o 25 persone affastellate su uno schermo, ragazzi che non hanno gli strumenti adeguati e faticano a concentrarsi, per non parlare dei disabili e delle difficoltà a cui vanno incontro. Ecco come un governo di bambocci danneggia i ragazzi.