2025-02-15
Gli stranieri fanno stragi? Colpa nostra
Sulla «Stampa» il politologo Ian Bremmer, considerato tra i più autorevoli, rasenta il giustificazionismo dei massacri: «Ci odiano a causa del vento anti immigrazione».«Il vento anti-migranti in Europa aumenta l’odio dei lupi solitari». Ora, se a dirlo fosse Ilaria Salis, che di salis in zucca ce ne ha poco, non ci meraviglieremmo. Il problema è che questa tesi è stata sostenuta ieri, in un’intervista su La Stampa, da uno dei politologi che va per la maggiore, tale Ian Bremmer, portato in palmo di mano su tutti i giornali progressisti. A controprova illuminante della sua capacità di produrre pensieri irricevibili, il fatto che è molto citato da Letta (Enrico). E tanto a noi basta. Questo genio, in buona sostanza, sostiene che si moltiplicano gli attentati di matrice islamica (su questo sorvola) perché gli immigrati sono irritati per il sentimento antimmigrazione che pervade l’Europa e gli Stati Uniti. Non lo sfiora neanche come una piuma l’idea che, forse, è vero il contrario: la gente ce l’ha con gli immigrati anche e proprio perché, di quando in quando, fanno scorrere qualche fiala di sangue qua e là. Questo, l’eminente Ian (che è l’acronimo di idee anti neuroni), lo ha affermato il giorno dopo l’attentato di Monaco dove questo signore afgano, di 24 anni, ha investito con la macchina una folla lasciando trentasei feriti e un bambino in fin di vita. Quando lo hanno catturato ha invocato il nome di Allah ma questo, per Bremmer, evidentemente, non conta. La colpa è nostra perché avremmo dovuto trattare bene questo «signore» che è sbarcato in Italia nel 2016 e dall’Italia è passato per raggiungere Monaco e compiere quello che ha compiuto. Secondo Bremmer, evidentemente, dovremmo essere molto più garbati nei confronti degli immigrati se vogliamo che non ci facciano attentati così di frequente. È una tesi uscita dalla bocca di un politologo che va per la maggiore e che - pensate voi - è fondatore di Eurasia Group che è la principale società di consulenza mondiale sui rischi geopolitici. Sarebbe come mettere uno che non ha mai alzato gli occhi al cielo a dirigere un osservatorio astronomico. Infatti, Bremmer, evidentemente, non ha mai messo gli occhi sulla terra per vedere come vanno veramente le cose. Nell’intervista concessa a Francesco Semprini, questo concentrato di intelligenza, ha sostenuto che «il tutto sullo sfondo di un senso di vendetta che trae linfa vitale dal risentimento nei confronti degli immigrati. E su cui, poi, viene apposto un marchio come l’Isis funzionale a una certa strategia terroristica». Il politologo, che evidentemente ritiene di parlare a degli animali decerebrati, ha sostenuto anche che «quando si parla di jihadismo nel mondo si parla di persone che provengono da una serie di Paesi di origine, tra cui l’Afghanistan, ma che non sono riuscite a integrarsi nei Paesi dove risiedono». Non so se è una modalità di ragionamento propria di questo Bremmer, però mi viene in mente che ragiona come facevano i filosofi e i teologi del Medioevo, cioè partendo con il ragionamento cosiddetto a contrariis, cioè dal contrario di quello che è l’evidente realtà ma con una differenza fondamentale: i grandi pensatori del Medioevo partivano dal contrario di ciò che ritentavano vero per dimostrare poi la verità del contrario di quello che avevano detto; invece Bremmer parte dal contrario e lì rimane. Gli manca un passaggio. Gli consigliamo la lettura di un libro di Étienne Gilson, Storia della filosofia medioevale. È un libro lungo e complesso come complesso è il pensiero medioevale, quindi, dubitiamo che il signor Bremmer arrivi a comprenderlo da solo. Nel caso gli consiglieremo qualche medievista americano che lo potrà aiutare nella lettura.Questo intelligentone ha detto anche qualcos’altro e qui ha rasentato il ridicolo, anzi, ci è passato dentro: «C’è in comune, inoltre, il fattore algoritmico, ovvero la facilità di radicalizzazione islamica online che sta tornando a essere un fattore devastante come lo è stato alla metà del decennio scorso». A parte la totale banalità dell’asserto, lo sa chiunque che internet è uno strumento di diffusione e incoraggiamento alla radicalizzazione islamica, solo che lui lo ha chiamato «fattore algoritmico» che sarebbe come spiegare cos’è un uovo parlando del culo della gallina. In tutta l’intervista non c’è traccia di alcuni concetti che caratterizzano la civiltà giuridica occidentale. Ad esempio: la libertà, la responsabilità e la volontà di compiere determinate azioni che è tipica di ogni uomo, ivi compresi i terroristi islamici. Sembra quasi che, per Bremmer, questi siano atti dovuti e indotti, non atti voluti e messi in pratica. Il fenomeno terroristico in sé scompare dalle parole di Bremmer. In altri termini, non c’è un problema terroristico nel senso che ci sono terroristi capaci di intendere e di volere che compiono delle azioni terroristiche. No, ci sono delle persone che, per la poca cura che di loro si prendono le società occidentali, sono legittimate a fare il cazzo che vogliono. Se questo è un politologo io, da domani mattina, mi proclamerò astrofisico. Almeno io le stelle qualche volta le guardo, Bremmer la realtà non la guarda. E, peggio ancora, se la guarda non la vede.
La maxi operazione nella favela di Rio de Janeiro. Nel riquadro, Gaetano Trivelli (Ansa)
Nicolas Maduro e Hugo Chavez nel 2012. Maduro è stato ministro degli Esteri dal 2006 al 2013 (Ansa)
Un disegno che ricostruisce i 16 mulini in serie del sito industriale di Barbegal, nel Sud della Francia (Getty Images)
Situato a circa 8 km a nord di Arelate (odierna Arles), il sito archeologico di Barbegal ha riportato alla luce una fabbrica per la macinazione del grano che, secondo gli studiosi, era in grado di servire una popolazione di circa 25.000 persone. Ma la vera meraviglia è la tecnica applicata allo stabilimento, dove le macine erano mosse da 16 mulini ad acqua in serie. Il sito di Barbegal, costruito si ritiene attorno al 2° secolo dC, si trova ai piedi di una collina rocciosa piuttosto ripida, con un gradiente del 30% circa. Le grandi ruote erano disposte all’esterno degli edifici di fabbrica centrali, 8 per lato. Erano alimentate da due acquedotti che convergevano in un canale la cui portata era regolata da chiuse che permettevano di controllare il flusso idraulico.
Gli studi sui resti degli edifici, i cui muri perimetrali sono oggi ben visibili, hanno stabilito che l’impianto ha funzionato per almeno un secolo. La datazione è stata resa possibile dall’analisi dei resti delle ruote e dei canali di legno che portavano l’acqua alle pale. Anche questi ultimi erano stati perfettamente studiati, con la possibilità di regolarne l’inclinazione per ottimizzare la forza idraulica sulle ruote. La fabbrica era lunga 61 metri e larga 20, con una scala di passaggio tra un mulino e l’altro che la attraversava nel mezzo. Secondo le ipotesi a cui gli archeologi sono giunti studiando i resti dei mulini, il complesso di Barbegal avrebbe funzionato ciclicamente, con un’interruzione tra la fine dell’estate e l’autunno. Il fatto che questo periodo coincidesse con le partenze delle navi mercantili, ha fatto ritenere possibile che la produzione dei 16 mulini fosse dedicata alle derrate alimentari per i naviganti, che in quel periodo rifornivano le navi con scorte di pane a lunga conservazione per affrontare i lunghi mesi della navigazione commerciale.
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Viktor Orbán durante la visita a Roma dove ha incontrato Giorgia Meloni (Ansa)