2019-01-28
Stone agita le campagne elettorali dai tempi di Reagan. Ma la storia dell'impeachment non sta in piedi
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«Il cerchio si stringe». È a questa logora espressione che si ricorre ogni volta che viene diffuso un presunto scoop sul Russiagate. Sono due anni che si susseguono rivelazioni secondo cui la pistola fumante sarebbe a un passo dall'essere trovata. Rivelazioni che puntualmente promettono di inchiodare Donald Trump. E che puntualmente si risolvono tuttavia in una bolla di sapone. L'inchiesta, nonostante l'arresto del consigliere politico, sa proprio di caccia alle streghe.L'ultima, in ordine di tempo, riguarda l'arresto di Roger Stone: consigliere informale (e amico di vecchia data) del miliardario newyorchese, cui è stato contestato – tra le altre cose – di aver intrecciato opachi legami con i russi ai tempi della campagna elettorale del 2016 con lo scopo di reperire informazioni compromettenti sul conto dell'allora candidata democratica, Hillary Clinton. Un elemento che, agli occhi del procuratore speciale, Robert Mueller, proverebbe l'interferenza del Cremlino nelle presidenziali americane di due anni fa. Stone, dal canto suo, si è dichiarato non colpevole. Vedremo quello che succederà nelle prossime settimane. Eppure, già da oggi, ci sono fattori che lasciano abbastanza perplessi. E che forse avvalorano un tantino l'idea di Trump, secondo cui questa inchiesta altro non sia se non una «caccia alle streghe». Il grande punto interrogativo che sorge dall'arresto di Stone riguarda proprio la sua attività. In altre parole, quale sarebbe esattamente la sua colpa? Se guardiamo alla storia dei comitati elettorali statunitensi, è infatti sempre accaduto che vi fossero figure delegate a raccogliere informazioni (vere o fasulle), in grado di screditare un candidato concorrente. In America li chiamano dirty tricks (scherzi sporchi) e – per quanto eticamente discutibili – si rivelano talvolta decisivi per orientare l'esito di una campagna elettorale. Ecco: Stone ha sempre svolto proprio questo tipo di ruolo. E non è ovviamente l'unico nell'ambito dell'agone politico americano. Certo: si dirà che Mueller non stia contestando l'attività in sé ma il fatto che il consulente abbia intrattenuto dei rapporti con i russi. Quegli stessi russi che avrebbero hackerato i server del Partito democratico nel 2016 ,per danneggiare – attraverso WikiLeaks – Hillary Clinton. Eppure anche qui bisogna fare una certa attenzione. Innanzitutto non va mai dimenticato che quelle informazioni fossero vere: in particolare, resero evidente che – durante le primarie democratiche del 2016 – le alte sfere dell'Asinello avevano messo i bastoni tra le ruote al candidato socialista, Bernie Sanders, per favorire la vittoria dell'ex first lady. Una rivelazione che scosse il Partito democratico in profondità: tanto che l'allora sua presidentessa, la clintoniana Debbie Wasserman Schultz, fu costretta alle dimissioni. In secondo luogo, venendo più specificamente all'accusa contro Stone, bisognerebbe essere un poco più precisi. In questi due anni, l'inchiesta di Mueller si è caratterizzata per un'essenza aleatoria e a tratti confusa. Si ripete assai spesso che il procuratore starebbe indagando su una eventuale "collusione" tra il comitato elettorale di Trump e il Cremlino: senza tuttavia specificare che cosa si voglia intendere esattamente con il termine "collusione" e – soprattutto – senza specificare esattamente quale sia il reato ipotizzato. Lo stesso avvocato di Trump, Rudy Giuliani, ha in passato contestato la genericità del termine "collusione". E' chiaro che, sullo sfondo, si intravede la volontà di accusare l'attuale presidente di "tradimento": uno dei pochi reati per cui la Costituzione prevede esplicitamente l'impeachment. Tuttavia, stando almeno al caso Stone, la differenza risulta lampante: un conto è intrattenere rapporti con enti stranieri su preciso mandato di una potenza nemica, altro conto è intrecciare relazioni con delle fonti in grado di fornire informazioni compromettenti su un candidato avversario. Pratica – ripetiamolo – sicuramente sporca ma che, nelle campagne elettorali americane, è sempre stata all'ordine del giorno. Se dunque nel primo caso si potrebbe effettivamente parlare di tradimento, nel secondo la situazione appare ben diversa. Anche perché va comunque ricordato che la premessa da cui ha sempre preso le mosse Russiagate – la premessa che vorrebbe cioè Trump russofilo e Hillary anti-russa – non è assolutamente fondata, visti i legami abbastanza opachi intrattenuti dall'ex first lady (quando era segretario di Stato) proprio con il Cremlino. Che dunque Vladimir Putin nutrisse tutto questo odio verso Hillary nel 2016 è un assioma dato forse troppo spesso per scontato. Inoltre, non bisogna dimenticare che anche buona parte dell'attuale establishment repubblicano (quello che – per capirci – non si risparmia nel fare la guerra a Trump) abbia usufruito dei servigi di Stone. E' dagli anni Settanta infatti che questa figura si muove, con non poca abilità, nel variegato universo del mondo del Grand Old Party. Nixoniano di ferro, ai tempi delle presidenziali del 1972, Stone infiltrò un consulente nel comitato elettorale del candidato democratico, George McGovern, per poi passare – quattro anni dopo – al servizio di Ronald Reagan. Anche i Bush (adesso acerrimi nemici di Trump e strenui difensori del politically correct) hanno fatto ricorso ai suoi servigi. Non soltanto Stone lavorò per George W. Bush durante la campagna elettorale del 1988 (una delle più laide che la Storia americana ricordi) ma – nel Duemila – fu assunto da George W. Bush come consulente per sovrintendere al riconteggio dei voti in Florida. Verso la fine degli anni Novanta, dopo aver collaborato con l'allora candidato repubblicano Bob Dole – Stone si avvicinò alla figura di Donald Trump. Un personaggio di cui è diventato amico e di cui nutre forte ammirazione. Secondo il consulente, il magnate newyorchese replicherebbe almeno in parte le virtù che furono del suo idolo, Richard Nixon: resilienza, foga nella battaglia, indisponibilità alla resa e – soprattutto – aspra polemica verso le élites. «La ragione per cui sono un nixoniano – ebbe a dire una volta – è a causa della sua indistruttibilità e capacità di resilienza. Non si è mai arreso. Tutta la sua carriera è stata costruita attorno al suo personale risentimento per l'élitarismo». Era la sindrome del "povero me". John F. Kennedy ebbe un padre che gli comprò un seggio alla Camera, uno al Senato e la Presidenza. Nessuno ha mai comprato nulla a Nixon.Che sia forse questo spirito di rivalsa che i sostenitori odierni del Russiagate non hanno capito della vittoria di Trump nel 2016?
Ecco #DimmiLaVerità del 31 ottobre 2025. Ospite il senatore di FdI Guido Castelli. L'argomento del giorno è: " I dettagli della ricostruzione post terremoto in Italia Centrale"
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La XVIII edizione del Forum Economico Eurasiatico di Verona si terrà il 30 e 31 ottobre 2025 al Çırağan Palace di Istanbul. Tema: «Nuova energia per nuove realtà economiche». Attesi relatori internazionali per rafforzare la cooperazione tra Europa ed Eurasia.
Il Forum Economico Eurasiatico di Verona si sposta quest’anno a Istanbul, dove il 30 e 31 ottobre 2025 si terrà la sua diciottesima edizione al Çırağan Palace. L’evento, promosso dall’Associazione Conoscere Eurasia in collaborazione con la Roscongress Foundation, avrà come tema Nuova energia per nuove realtà economiche e riunirà rappresentanti del mondo politico, economico e imprenditoriale da decine di Paesi.
Dopo quattordici edizioni a Verona e tre tappe internazionali — a Baku, Samarcanda e Ras al-Khaimah — il Forum prosegue il suo percorso itinerante, scegliendo la Turchia come nuova sede di confronto tra Europa e spazio eurasiatico. L’obiettivo è favorire il dialogo e le opportunità di business in un contesto geopolitico sempre più complesso, rafforzando la cooperazione tra Occidente e Grande Eurasia.
Tra le novità di questa edizione, un’area collettiva dedicata alle imprese, pensata come piattaforma di incontro tra aziende italiane, turche e russe. Lo spazio offrirà l’occasione di presentare progetti, valorizzare il made in Italy, il made in Turkey e il made in Russia, e creare nuove partnership strategiche.
La Turchia, ponte tra Est e Ovest
Con un PIL di circa 1.320 miliardi di dollari nel 2024 e una crescita stimata al +3,1% nel 2025, la Turchia è oggi la 17ª economia mondiale e membro del G20 e dell’OCSE. Il Paese ha acquisito un ruolo crescente nella sicurezza e nell’economia globale, anche grazie alla sua industria della difesa e alla posizione strategica nel Mar Nero.
I rapporti con l’Italia restano solidi: nel 2024 l’interscambio commerciale tra i due Paesi ha toccato 29,7 miliardi di euro, con un saldo positivo per l’Italia di oltre 5,5 miliardi. L’Italia è il quarto mercato di destinazione per l’export turco e il decimo mercato di sbocco per quello italiano, con oltre 430 imprese italiane già attive in Turchia.
Nove sessioni per raccontare la nuova economia globale
Il programma del Forum si aprirà con una sessione dedicata al ruolo della Turchia nell’economia mondiale e proseguirà con nove panel tematici: energia e sostenibilità, cambiamento globale, rilancio del manifatturiero, trasporti e logistica, turismo, finanza e innovazione digitale, produzione alimentare e crescita sostenibile.
I lavori si svolgeranno in italiano, inglese, russo e turco, con partecipazione gratuita previa registrazione su forumverona.com, dove sarà disponibile anche la diretta streaming. Il percorso di avvicinamento all’evento sarà raccontato dal magazine Pluralia.
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