2024-11-27
Stellantis vuol delocalizzare? Trump annuncia dazi al 25% sui beni da Messico e Canada
Donald Trump (Getty Images)
Il tycoon li attiverà appena s’insedierà. Prevista pure la tassa del 10% sul made in Cina. Il gruppo chiude la fabbrica di Luton (Uk), crolla la produzione in Francia. Ko in Borsa.Donald Trump ha intenzione di rispolverare la linea dura nel suo approccio commerciale. E lo vuole fare sia per contrastare l’immigrazione clandestina sia per impedire, con un occhio soprattutto a Stellantis, la delocalizzazione della produzione automobilistica. È vero: a prima vista si tratta di due dossier totalmente differenti. Ma non è così. Per Trump, l’immigrazione clandestina non rappresenta soltanto un tema di ordine pubblico ma anche, se non soprattutto, una questione dai risvolti socioeconomici. L’idea di base, in altre parole, è quella di impedire una concorrenza tra poveri che favorisca i ribassi salariali. Il collante che tiene uniti i due dossier è quindi uno soltanto: la tutela della working class.Lunedì sera, il presidente americano in pectore ha annunciato che, il giorno stesso dell’insediamento, imporrà dazi del 25% a tutti i prodotti importati da Canada e Messico: due Paesi che, secondo il tycoon, non stanno facendo abbastanza per impedire ai clandestini di entrare in territorio statunitense. Non solo. Ha anche annunciato un incremento del 10% delle tariffe già in vigore contro Pechino «Ho avuto molti colloqui con la Cina sulle enormi quantità di droga, in particolare di Fentanyl, inviate negli Stati Uniti, ma senza alcun risultato», ha dichiarato. Con ogni probabilità, queste minacce tariffarie puntano a esercitare pressioni nell’ottica di una strategia negoziale. Ed è qui che arriviamo ai due obiettivi: impedire a Stellantis di delocalizzare e aumentare la deterrenza nei confronti dei migranti irregolari.Mettendo sotto pressione Stellantis, il tycoon strizza l’occhio ai colletti blu della Rust belt. Ricordiamo che, negli ultimi mesi, la casa automobilistica ha annunciato licenziamenti in Ohio e in Michigan, irritando notevolmente il sindacato dei metalmeccanici. Tutto questo, mentre vari parlamentari americani hanno lamentato l’assenza di adeguati investimenti. A finire nell’occhio del ciclone è stato soprattutto il progetto, accarezzato da Stellantis, di espandere l’impianto produttivo di Saltillo, in Messico. Non a caso, pochi giorni prima delle elezioni, Trump aveva minacciato la casa automobilistica con dazi del 100% qualora avesse delocalizzato la produzione in territorio messicano. E infatti ieri, a seguito delle minacce tariffarie del tycoon, i titoli del settore automobilistico sono andati piuttosto male in Borsa, con Stellantis che, in particolare, ha ceduto il 4%.D’altronde, è verosimile che il gruppo si stesse già preparando allo scossone. Secondo quanto riferito da Bnn Bloomberg la settimana scorsa, la responsabile del marchio di pick-up Ram di Stellantis Nv, Chris Feuell, aveva fatto sapere che «la casa automobilistica è aperta a rivedere la sua espansione nei Paesi a basso costo, tra cui il Messico, qualora il presidente in pectore Donald Trump imponesse nuovi dazi al settore». Ricordiamo che, secondo Reuters, «Stellantis gestisce due impianti di assemblaggio che producono veicoli ad alto margine in Messico: Saltillo, che produce pick-up e furgoni Ram, e Toluca, per il Suv Jeep Compass di medie dimensioni».Tra l’altro, al di là del Messico, non è escluso che Trump si ricordi bene di quando, a maggio, Carlos Tavares aveva criticato l’amministrazione Biden per i dazi alle auto elettriche cinesi. Al tycoon non è probabilmente neppure sfuggito il fatto che John Elkann abbia di recente accompagnato Sergio Mattarella in Cina. Senza contare che Stellantis ha appena annunciato la chiusura dello stabilimento di Luton, nel Regno Unito: il che certifica il riposizionamento geopolitico (non certo filo-occidentale) della ditta automobilistica. Il gruppo ha anche rivisto al ribasso le previsioni di produzione per i suoi siti francesi per il 2024: dalle fabbriche usciranno solo 605.000 veicoli quest’anno, rispetto ai 766.000 inizialmente previsti, con un calo del 20%.Questo ci fa capire per quale motivo, al di là della pur cruciale questione del Fentanyl, Trump abbia minacciato nuovi dazi contro Pechino. Il tema è anche commerciale e geopolitico. D’altronde, le nomine di falchi anticinesi nei posti chiave della nuova amministrazione americana parlano da sé.Ma Stellantis non è l’unica a essere finita sotto pressione. Il New York Times ha riportato che, subito dopo le minacce tariffarie, il premier canadese, Justin Trudeau, ha chiesto e ottenuto un colloquio telefonico con Trump: la conversazione sarebbe stata «produttiva» e avrebbe avuto al proprio centro le questioni del commercio e dell’immigrazione. Insomma, appaiono ormai lontani i tempi del summit Nato di Londra, quando - a dicembre 2019 - Trudeau fu intercettato dai giornalisti mentre prendeva in giro Trump. Il premier canadese, oggi, non ride più, anche perché teme che i rimpatri di massa promessi dal tycoon possano mettere sotto pressione il confine meridionale del Canada. Non a caso, Ottawa ha aumentato il numero di forze dell’ordine e centri di accoglienza alla frontiera. «Dobbiamo fare tutto il possibile per evitare dazi del 25% su tutti i prodotti che esportiamo negli Stati Uniti. L’integrità delle frontiere deve essere la priorità del governo federale», ha dichiarato il premier del Québec, Francois Legault.Dal canto suo, la presidentessa messicana, Claudia Sheinbaum, ha lasciato intendere che potrebbe ricorrere a dei dazi ritorsivi, sostenendo che il suo Paese starebbe già da tempo lavorando per bloccare le carovane di migranti dirette verso il confine statunitense. Una versione che, tuttavia, difficilmente convincerà Trump. Il tycoon non è granché soddisfatto del Messico in materia migratoria. E punta a metterlo sotto pressione affinché attui una stretta capace di tutelare maggiormente la frontiera meridionale degli Stati Uniti.
Nella prima mattinata del 28 ottobre 2025 la Guardia di Finanza e la Polizia di Stato hanno eseguito numerose perquisizioni domiciliari in tutta Italia ed effettuato il sequestro preventivo d’urgenza del portale www.voltaiko.com, con contestuale blocco di 95 conti correnti riconducibili all’omonimo gruppo societario.
Si tratta del risultato di una complessa indagine condotta dal Nucleo Operativo Metropolitano della Guardia di Finanza di Bologna e dal Centro Operativo per la Sicurezza Cibernetica per l’Emilia-Romagna, sotto la direzione del Pubblico Ministero Marco Imperato della Procura della Repubblica di Bologna.
Un’azione coordinata che ha visto impegnate in prima linea anche le Sezioni Operative Sicurezza Cibernetica delle varie Regioni e gli altri reparti territoriali della Fiamme Gialle nelle province di Bologna, Rimini, Modena, Milano, Varese, Arezzo, Frosinone, Teramo, Pescara, Ragusa.
L’operazione ha permesso di ricostruire il modus operandi di un gruppo criminale transnazionale con struttura piramidale tipica del «network marketing multi level» dedito ad un numero indeterminato di truffe, perpetrate a danno anche di persone fragili, secondo il cosiddetto schema Ponzi (modello di truffa che promette forti guadagni ai primi investitori, a discapito di nuovi investitori, a loro volta vittime del meccanismo di vendita).
La proposta green di investimenti nel settore delle energie rinnovabili non prevedeva l’installazione di impianti fisici presso le proprie abitazioni, bensì il noleggio di pannelli fotovoltaici collocati in Paesi ad alta produttività energetica, in realtà inesistenti, con allettanti rendimenti mensili o trimestrali in energy point. Le somme investite erano tuttavia vincolate per tre anni, consentendo così di allargare enormemente la leva finanziaria.
Si stima che siano circa 6.000 le persone offese sul territorio nazionale che venivano persuase dai numerosi procacciatori ad investire sul portale, generando un volume di investimenti stimato in circa 80 milioni di euro.
La Procura della Repubblica di Bologna ha disposto in via d’urgenza il sequestro preventivo del portale www.voltaiko.com e di tutti i rapporti finanziari riconducibili alle società coinvolte e agli indagati, da ritenersi innocenti fino a sentenza definitiva.
Nel corso delle perquisizioni è stato possibile rinvenire e sottoporre a sequestro criptovalute, dispositivi elettronici, beni di lusso, lingotti d’oro e documentazione di rilevante interesse investigativo.
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