2025-01-04
Stellantis produce come nel 1956: meno di mezzo milione di veicoli
Neanche nel 2025 si vede la ripresa. E in Norvegia è già stop alle auto tradizionali.Comincia con le peggiori condizioni, l’anno, per Stellantis. Avevamo lasciato il gruppo, prima della pausa natalizia, al tavolo del ministero del Made in Italy, con le parole di impegno a non chiudere alcuno stabilimento e ad aumentare la produzione oltre alla conferma per il 2025 di 2 miliardi di investimenti e di 6 miliardi di acquisti ai fornitori italiani. Ma continuano ad arrivare dati che prefigurano un altro anno in salita. Uno studio della Fim, il sindacato dei metalmeccanici della Cisl, riassume la situazione nell’anno appena trascorso. Ovvero la produzione è scesa ai livelli del 1956, sotto i 500.000 veicoli (tra autovetture e furgoni commerciali è di 475.090 unità, cioè -36,8% contro le 751.384 del 2023). Solo le auto sono giù a quota 283.090 pari a -45,7% e tutti gli stabilimenti hanno un segno negativo. I veicoli commerciali con 192.000 unità (-16,6%) hanno avuto una flessione più contenuta in termini percentuali, anche se in termini di volumi l’impatto è consistente pari ad oltre 38.000 unità. È stato un continuo peggioramento dall’inizio del 2024, con cali produttivi nelle auto dal 21% al 70%.Per far fronte a questa situazione il gruppo ha dovuto far ricorso, a mani basse, agli ammortizzatori sociali e alle chiusure anticipate di fine anno, coinvolgendo quasi 20.000 lavoratori. Come affermato dal responsabile Europa di Stellantis, Jean Philipe Imparato, nell’ultimo incontro del 17 dicembre scorso, la situazione in termini di volumi non subirà significative modifiche nel corso del 2025, in quanto i nuovi lanci produttivi nel corso del corrente anno di Melfi, Cassino e Mirafiori impatteranno nel 2026, dove ipotizzano di raggiungere le produzioni di 750.000 unità riscontrate nel 2023. È vero che il gruppo ha confermato l'obiettivo di 1 milione di veicoli entro il 2030, ma è altrettanto vero che lo ha subordinato alle risposte del mercato. No domanda, no produzione. Rispetto al piano industriale precedente, dal sindacato giudicato insufficiente, è stata aggiunta la nuova piattaforma small con i due nuovi modelli compatti a Pomigliano dal 2028. La nuova 500e a Mirafiori in aggiunta alla 500 ibrida. Vengono ibridizzate le auto previste nelle versioni elettriche tra il 2025 e 2026 a Melfi, portando l’offerta a sette modelli. Mancano ancora risposte importanti sulla Gigafactory e sul rilancio di Maserati. Sulla carta quindi la traiettoria per una ripresa è segnata, solo che manca il fattore numero uno: la risposta dei consumatori. Una variabile dirimente. Fino ad ora non ci sono segnali di un cambio di passo: conclusi gli incentivi pubblici, le elettriche proprio non sfondano e l’unica concessione al nuovo è rappresentato dalla ibride.Non si vedono trend di segno contrario nel resto dell’Europa. Anzi la conferma da parte della Commissione Ue delle scadenze della transizione energetica e la chiusura alla proposta caldeggiata soprattutto dall’Italia (e seguita dai principali Paesi europei), di anticipare al 2025, la verifica del stato di attuazione del passaggio alle vetture elettriche, non fanno altro che peggiorare la situazione. All’intransigenza di Bruxelles si sommano le difficoltà sul fronte energetico con l’aumento del costo del gas e dell’elettricità a causa del blocco dei rifornimenti russi in transito dall’Ucraina. Una tempesta perfetta che ha portato la Fim-Cisl insieme a tutte le organizzazioni sindacali europee di Industria All Europe ad indire una manifestazione il 5 febbraio 2025 a Bruxelles, che vedrà la partecipazione dei lavoratori metalmeccanici di tutta Europa. Intanto in Italia, il ministero del Made in Italy ha convocato un tavolo per il 7 gennaio, su De Vizia, l’azienda che ha l’appalto di servizi e pulizie presso il sito Stellantis di Cassino. Il 31 dicembre è stata prorogata di un mese la commessa per scongiurare i licenziamenti che sarebbero scattati il 7 gennaio.Non tutta l’Europa però piange. C’è chi ha intenzione di intestarsi il distintivo di campione ecologico e a fare da apripista mostrandosi come un modello da seguire. La Norvegia dopo anni di incentivi e aiuti statali, è arrivata alla stretta finale con un’operazione dirigista. Dal primo gennaio 2025 non è più possibile immatricolare un’auto benzina o diesel. L'obiettivo è raggiungere la neutralità climatica entro il 2035. Lo scorso settembre le rilevazioni della Federazione norvegese delle strade faceva sapere che le auto elettriche in circolazione superavano quelle a benzina. È il primo Paese al mondo ad attuare una decisione così drastica anche se circa il 90% delle nuove auto è già alimentato a batteria. Uno scenario impensabile fino a qualche anno fa. Eppure nonostante i risultati del mercato, il governo ha voluto imporre la svolta. Un caso che non ha eguali nemmeno in Cina dove per il 2025 ci si attende il sorpasso delle vendite di veicoli elettrici sulle vetture tradizionali. La decisione di Oslo potrebbe rappresentare un precedente pericoloso per il resto dell’Europa. Come dire che se qualcuno ce l’ha fatta, il traguardo non è poi così impossibile e alle strette si può anche intervenire imponendo al mercato la scelta dell’elettrico.
La maxi operazione nella favela di Rio de Janeiro. Nel riquadro, Gaetano Trivelli (Ansa)
Nicolas Maduro e Hugo Chavez nel 2012. Maduro è stato ministro degli Esteri dal 2006 al 2013 (Ansa)
Un disegno che ricostruisce i 16 mulini in serie del sito industriale di Barbegal, nel Sud della Francia (Getty Images)
Situato a circa 8 km a nord di Arelate (odierna Arles), il sito archeologico di Barbegal ha riportato alla luce una fabbrica per la macinazione del grano che, secondo gli studiosi, era in grado di servire una popolazione di circa 25.000 persone. Ma la vera meraviglia è la tecnica applicata allo stabilimento, dove le macine erano mosse da 16 mulini ad acqua in serie. Il sito di Barbegal, costruito si ritiene attorno al 2° secolo dC, si trova ai piedi di una collina rocciosa piuttosto ripida, con un gradiente del 30% circa. Le grandi ruote erano disposte all’esterno degli edifici di fabbrica centrali, 8 per lato. Erano alimentate da due acquedotti che convergevano in un canale la cui portata era regolata da chiuse che permettevano di controllare il flusso idraulico.
Gli studi sui resti degli edifici, i cui muri perimetrali sono oggi ben visibili, hanno stabilito che l’impianto ha funzionato per almeno un secolo. La datazione è stata resa possibile dall’analisi dei resti delle ruote e dei canali di legno che portavano l’acqua alle pale. Anche questi ultimi erano stati perfettamente studiati, con la possibilità di regolarne l’inclinazione per ottimizzare la forza idraulica sulle ruote. La fabbrica era lunga 61 metri e larga 20, con una scala di passaggio tra un mulino e l’altro che la attraversava nel mezzo. Secondo le ipotesi a cui gli archeologi sono giunti studiando i resti dei mulini, il complesso di Barbegal avrebbe funzionato ciclicamente, con un’interruzione tra la fine dell’estate e l’autunno. Il fatto che questo periodo coincidesse con le partenze delle navi mercantili, ha fatto ritenere possibile che la produzione dei 16 mulini fosse dedicata alle derrate alimentari per i naviganti, che in quel periodo rifornivano le navi con scorte di pane a lunga conservazione per affrontare i lunghi mesi della navigazione commerciale.
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Viktor Orbán durante la visita a Roma dove ha incontrato Giorgia Meloni (Ansa)