
Il segretario del Partito Liberaldemocratico Luigi Marattin: «La manovra non aiuta i ricchi, anzi il ceto medio resta troppo tartassato. Per abbassare la pressione fiscale serve più coraggio».Il riformismo? Il ceto medio? La corsa al centro. Sono come l’araba fenice, che ci sia ognun lo dice dove sia nessuno lo sa. O forse quasi nessuno, visto che Luigi Marattin ha tentato la via del riformismo dentro il Pd per poi seguire Matteo Renzi in Italia Viva e ora si batte per un’ idea liberale. Da giugno è segretario del Partito Liberaldemocratico di cui è esponente di spicco un altro ex renziano, il senatore fu Pd Andrea Marcucci. In questi giorni, da economista, Marattin ha sparato a zero sulle proposte di patrimoniale avanzate da Elly Schlein e Maurizio Landini. Onorevole Marattin, lei è stato molto critico con Bankitalia e Istat sull’affermazione che la manovra del governo dà ai ricchi per togliere ai poveri: qual è la verità di questi aggiustamenti fiscali?«Bankitalia e Istat si sono limitati a ribadire l’ovvio, non potevano non farlo. E cioè, per fare un esempio, che il 2% di 1.000 (cioè 20) è in valore assoluto maggiore del 2% di 100 (cioè 2). E che quindi in un qualsiasi sistema fiscale se tagli un’aliquota i benefici, se misurati in valori assoluto, sono matematicamente maggiori per i redditi più alti, che a fare la manovra sia Mamdani, Karl Marx o Trump. Il problema è stato che un certo giornalismo – co-responsabile di una certa politica nel determinare il declino del Paese – ha pensato bene di “sbattere il mostro in prima pagina” dicendo che la manovra favorisce i ricchi, e da lì è partito il solito circolo. La verità è diversa: le stesse audizioni dimostrano che le manovre di questi anni sull’Irpef (da quella Draghi del 2021 in poi) hanno nel complesso aumentato la progressività e la redistribuzione, favorendo i redditi bassi. Che è il motivo per cui noi del Partito Liberaldemocratico siamo contrari alla mossa del governo, ma per il motivo opposto a quello che si è letto: oggi ad essere massacrati dal fisco – anche dopo questa manovra – non sono i redditi bassi, ma il ceto medio».Eppure Maurizio Landini insiste con lo sciopero generale per il 12 dicembre con l’idea che il governo affama il Paese. Che ne pensa? La Cgil non sta travestendo un’opposizione politica al governo da rivendicazione sindacale? E non si rischia di banalizzare uno strumento un tempo sacro per i sindacati: lo sciopero generale?«Fermo restando che in una società liberaldemocratica i lavoratori possono scioperare – nel rispetto delle leggi – quando lo ritengono opportuno, considero le motivazioni di tutti gli scioperi fatti dalla Cgil in materia economica negli ultimi dieci anni totalmente inconsistenti, quando non del tutto false (come fu nel caso dello sciopero generale contro la riforma Irpef del governo Draghi)».Lei ha militato lungamente a fianco di Matteo Renzi, che ne pensa oggi di un Pd guidato da Elly Schlein che sembra molto appiattito sulle posizioni della Cgil?«Il Pd di Renzi, ma anche quello di Veltroni del 2008, era una cosa completamente e radicalmente diversa dal Pd della Schlein. Quest’ultimo ha scelto, legittimamente, di diventare cardine di un’offerta politica di sinistra tradizionale, radicale e movimentista. Cose che combattevo quando militavo in quello schieramento, figuriamoci ora che – da più di sei anni – ne sono uscito. Sul perché alcuni insistano ad illudersi che sia possibile “moderare” quelle posizioni, non ho risposte intelligenti da dare. Se non che il Paese continua a perseverare nell’errore di pensare che si possano fare coalizioni tenute insieme dal solo obiettivo di non far vincere l’avversario. Ma non si fa politica per non fare vincere qualcuno, bensì per affermare una visione coerente di Paese».Forse lei non condivide la famosa curva di Laffer, ma appare abbastanza evidente che il Paese abbia bisogno di un rilancio della domanda interna per generare crescita. Non è ora di cambiare il fisco e anche il sistema di welfare? E non sarebbe una battaglia di sinistra quella di generare benessere? «Abbiamo un problema di pressione fiscale, che continua a salire anche con questo governo. Che non solo è alta, ma è allocata sulla parte più produttiva del Paese. Ma è impossibile tagliare davvero le tasse senza toccare la spesa. Il Partito Liberaldemocratico si presenterà alle prossime elezioni con l’impegno di tagliare 3 punti di Pil di spesa pubblica (circa 70 miliardi) nell’arco della prossima legislatura, da destinare integralmente alla riduzione di pressione fiscale, in primis abolizione dell’Irap e massiccia riduzione dell’Irpef sul ceto medio. Tutti sanno che la spesa pubblica italiana è fuori controllo: semplicemente manca il coraggio di chiedere agli elettori il mandato democratico per andare a rompere privilegi e rendite di posizione di quel pezzo di Italia che sulle inefficienze della spesa pubblica ci campa».Vincenzo Visco è tornato a insistere sulla necessità di usare il fisco come strumento di redistribuzione. Non è un riflesso del passato? Il fisco non dovrebbe semplicemente servire a finanziare un corretto ed efficiente funzionamento dello Stato? Un fisco ideologica non è nemico della libertà economica?«Nel mio libro (La Missione possibile: la costruzione di un partito liberaldemocratico e riformatore, edito da Rubbettino) ho mostrato che da quando è iniziata la globalizzazione l’Italia è il Paese al mondo che è cresciuto di meno. Bisogna essere imbevuti di ideologia, quindi, per parlare di redistribuzione del reddito nel Paese che non riesce più a produrlo. Tutto il complesso delle politiche (economiche e non solo) deve essere orientato alla crescita: da una rivoluzione di liberalizzazioni e concorrenza alla rimozione degli ostacoli che disincentivano l’abbandono della piccola dimensione di impresa; da una riforma radicale del sistema scolastico ad una riforma del diritto amministrativo che liberi energie e tolga le catene che residuano dal diritto napoleonico». Facciamo un salto in Europa. La Germania ha imboccato la strada del debito per rilanciare la sua economia, la Francia sta messa non bene, la Bce sembra seguire strade consuete ma che non hanno prodotto sin qui stimoli economici. Non è il caso di cominciare a sottoporre a critica l’euronomics?«Che la Germania avesse spazio fiscale disponibile da poter e dover utilizzare era un cardine delle raccomandazioni non solo degli organismi europei, ma anche di quelli del multilateralismo economico mondiale, a cominciare dal Fondo monetario. La Francia è finita nei guai proprio per essere andata in direzione contraria alle raccomandazioni europee, in termini di pensioni e finanza pubblica. E in più, ha dimenticato il caso della Grecia. Un paese che, dopo aver vissuto il baratro, si sta rendendo protagonista di un rilancio ottenuto seguendo esattamente le prescrizioni dell’Europa. Riguardo alla Bce, il suo statuto (a differenza della Fed) prevede solo un compito: evitare l’inflazione. Ed è un compito che è stato portato a termine tutto sommato anche con rapidità ed efficienza. E menomale, perché l’inflazione è la principale nemica proprio dei redditi fissi, soprattutto quando – come in Italia – sono stagnanti da decenni. Quindi le devo dire la verità: no, non vedo nessuna particolare crisi nell’euronomics».Ci avevano detto che i dazi di Trump ci avrebbero ucciso. Per ora non è successo.. «Sui dazi sarei più prudente, gli effetti si vedranno purtroppo nel tempo». Uno dei cavali di battaglia della sinistra è il salario minimo. Che ne pensa e soprattutto come si fa a mettere i soldi in tasca agli italiani?«Il salario minimo si può fare o per legge o tramite contrattazione collettiva. Io preferisco la seconda opzione (che è già realtà in Italia), da accompagnare, finalmente, con una legge sulla rappresentanza sindacale e delle associazioni datoriali. Sui soldi in tasca abbiamo fatto varie proposte: dall’azzerare la tassazione sui premi di produttività (parzialmente accolta dal governo Meloni in legge di bilancio), alla riforma del meccanismo di contrattazione andando oltre l’accordo del 1993, passando per gli incentivi fiscali alla fusione delle micro-imprese e ovviamente la massiccia riduzione fiscale sul ceto medio».Veniamo al Partito Liberaldemocratico: che orizzonte di azione e di alleanze vi date? Sembra che nel Pd si affacci un nuovo riformismo, Ernesto Maria Ruffini, e torniamo al partito delle tasse!, sembra intenzionato a rivitalizzare l’Ulivo. Voi, che pure avete avuto una stagione in cui pensavate di costruire il centro riformatore con Azione e Italia Viva, come vi ponete in questo scenario?«Siamo lontani da tutti coloro i quali si illudono di far vivere i valori liberali e riformatori nel centrosinistra: si tratta di una “missione impossibile”, quello schieramento è ormai dominato dal radicalismo e movimentismo. E siamo altresì convinti che sia impossibile fare la rivoluzione liberale con la Lega di Salvini, che dal punto di vista economico è un partito di estrema sinistra. Ragion per cui faremo in modo che alle politiche del 2027 gli italiani abbiano anche un’altra opzione, liberaldemocratica e riformatrice, che dia loro la sicurezza che col loro voto non manderanno mai Landini o Vannacci a fare i ministri».Ultima ma decisiva domanda: in Italia ci sono la sensibilità culturale, la competenza economica e il rigore etico necessari perché si radichi un’idea compiutamente liberale che immagina un arretramento dello Stato dall’economia? «Il liberalismo è sempre stato minoranza in Italia, non c’è dubbio. Ce lo dicono le culture politiche tradizionali che hanno animato l’Italia nell’ultimo secolo. Ma c’è un pezzo di Paese – non proprio piccolo – che ha capito che i populismi (di destra e di sinistra) non si moderano: si combattono. Mettendo insieme i non pochi che condividono una impostazione liberale e riformatrice e vedendo quanto pesa nel Paese questa visione di società. Ed è esattamente quello che stiamo facendo e che continueremo a fare».
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All’inizio la società musulmana fu protagonista di varie scoperte. In seguito però il Corano divenne l’unica fonte di verità. Secondo i teologi cattolici Dio ha dotato il creato di regole immutabili, che vanno studiate. Allah invece non è sottomesso alle leggi di natura.
Tra tutti i continenti, quello che maggiormente ha sviluppato il pensiero scientifico è l’Europa cristiana, con la sua piccola minoranza ebraica. Per la verità non solo scienza: anche musica, pittura, scultura, letteratura, architettura, teatro, filosofia, ingegneria meccanica: tutto si sviluppa in maniera incredibile. Qui si sono fusi quattro elementi: la filosofia greca, duttile come l’acqua, il diritto romano, solido e pragmatico come la terra, il furore e il coraggio dei barbari, potenti come il fuoco, e soprattutto la spiritualità biblico evangelica, luminosa come l’aria. Siamo, o forse siamo stati, una società spirituale, duttile, pragmatica e violenta, e noi siamo noi, siamo la nostra storia, siamo la nostra ferocia, siamo la nostra compassione, siamo il continente che nel bene e nel male ha dato conoscenza al mondo.
Mario Adinolfi (Ansa)
Il saggista Mario Adinolfi: «Mamdani filo gay? No, è solo il cavallo di Troia dei musulmani. I cattolici meritano più attenzione dal governo».
Scienziati tedeschi negli Usa durante un test sulle V-2 nel 1946 (Getty Images)
Il 16 novembre 1945 cominciò il trasferimento negli Usa degli scienziati tedeschi del Terzo Reich, che saranno i protagonisti della corsa spaziale dei decenni seguenti.
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Il 16 luglio 1969 il razzo Saturn V portò in viaggio verso il primo allunaggio della storia l’equipaggio della missione Nasa Apollo 11. Il più grande passo per l’Uomo ed il più lungo sogno durato secoli si era avverato. Il successo della missione NASA fu il più grande simbolo di vittoria nella corsa spaziale nella Guerra fredda per Washington. All’origine di questo trionfo epocale vi fu un’operazione di intelligence iniziata esattamente 80 anni fa, nota come «Operation Paperclip». L’intento della missione del novembre 1945 era quella di trasferire negli Stati Uniti centinaia di scienziati che fino a pochi mesi prima erano stati al servizio di Aldolf Hitler e del Terzo Reich nello sviluppo della tecnologia aerospaziale, della chimica e dell’ingegneria naziste.
Nata inizialmente come operazione intesa ad ottenere supporto tecnologico per la tardiva resa del Giappone nei primi mesi del 1945, l’operazione «Paperclip» proseguì una volta che il nuovo nemico cambiò nell’Unione Sovietica, precedente alleato di Guerra. Dopo la caduta del Terzo Reich, migliaia di scienziati che avevano lavorato per la Germania nazista si erano sparsi per tutto il territorio nazionale, molti dei quali per sfuggire alla furia dei sovietici. L’OSS, il servizio segreto militare dal quale nascerà la CIA, si era già preoccupato di stilare un elenco delle figure apicali tra gli ingegneri, i fisici, i chimici e i medici che avrebbero potuto rappresentare un rischio se lasciati nelle mani dell’Urss. Il Terzo Reich, alla fine della guerra, aveva infatti raggiunto un livello molto avanzato nel campo dell’ingegneria aeronautica e dei razzi, uno dei campi di studio principali sin dai tempi della Repubblica di Weimar. I missili teleguidati V-2 e i primi aerei a reazione (Messerschmitt Me-262) rivelarono agli alleati quella che sarebbe stata una gravissima minaccia se solo Berlino fosse riuscita a produrre in serie quelle armi micidiali. Solamente l’efficacia dei potenti bombardamenti sulle principali strutture industriali tedesche ed il taglio dei rifornimenti impedì una situazione che avrebbe potuto cambiare in extremis l’esito del conflitto.
L’Operazione «Paperclip», in italiano graffetta, ebbe questo nome perché si riferiva ai dossier individuali raccolti negli ultimi mesi di guerra sugli scienziati tedeschi, molti dei quali erano inevitabilmente compromessi con il regime nazista. Oltre ad aver sviluppato armi offensive (razzi e armi chimiche) avevano assecondato le drammatiche condizioni del lavoro forzato dei prigionieri dei campi di concentramento, caratterizzate da un tasso di mortalità elevatissimo. L’idea della graffetta simboleggiava il fatto che quei dossier fossero stati ripuliti volontariamente dalle accuse più gravi dai redattori dei servizi segreti americani, al fine di non generare inevitabili proteste nell’opinione pubblica mondiale. Dai mesi precedenti l’inizio dell’operazione, gli scienziati erano stati lungamente interrogati in Germania, prima di essere trasferiti in campi a loro riservati negli Stati Uniti a partire dal 16 novembre 1945.
Tra gli ingegneri aeronautici spiccavano i nomi che avevano progettato le V-2, costruite nel complesso industriale di Peenemünde sul Baltico. Il più importante tra questi era sicuramente Wernehr von Braun, il massimo esperto di razzi a propulsione liquida. Ex ufficiale delle SS, fu trasferito in a Fort Bliss in Texas. Durante i primi anni in America fu usato per testare alcune V-2 bottino di guerra, che von Braun svilupperà nei missili Redstone e Jupiter-C (che lanciarono il primo satellite made in Usa). Dopo la nascita della NASA fu trasferito al Marshall Space Flight Center. Qui nacque il progetto dei razzi Saturn, che in pochi anni di sviluppo portarono gli astronauti americani sulla Luna, determinando la vittoria sulla corsa spaziale con i sovietici e divenendo un eroe nazionale.
Con von Braun lavorò allo sviluppo dei razzi anche Ernst Stuhlinger, grande matematico, che fu estremamente importante nel calcolo delle traiettorie per la rotta dei razzi Saturn. Fu tra i primi a ipotizzare la possibilità di raggiungere Marte in tempi relativamente brevi. Nel team dei tedeschi che lavorarono per la Nasa figurava anche Arthur Rudolph, che sarà uno dei principali specialisti nei motori del Saturn. L’ingegnere tedesco si occupò in particolare del funzionamento del primo stadio del razzo che conquistò la Luna, un compito fondamentale per un corretto decollo dalla rampa di lancio. Rudolph era fortemente compromesso con il Terzo Reich in quanto membro prima del partito nazista e quindi delle SS. Nel 1984 decise di lasciare gli Stati Uniti dopo che nei primi anni ’80 iniziarono una serie di azioni giudiziarie contro quegli scienziati che più si erano esposti nella responsabilità dell’Olocausto. Morirà in Germania nel 1996.
Tra gli ingegneri, fisici e matematici trasferiti con l’operazione Paperclip fu anche Walter Häussermann, esperto in sistemi di guida dei razzi V-2. Figura chiave nel team di von Braun, sviluppò negli anni di collaborazione con la NASA gli accelerometri ed i giroscopi che il razzo vettore del programma Apollo utilizzò per fornire i dati di navigazione al computer di bordo.
In totale, l’operazione Paperclip riuscì a trasferire circa 1.600 scienziati tedeschi negli Stati Uniti. In ossequio alla realpolitik seguita alla corsa spaziale, la loro partecipazione diretta o indiretta alle attività belliche della Germania nazista fu superata dall’enfasi che il successo nella conquista della Luna generò a livello mondiale. Un cammino che dagli ultimi sussulti del Terzo Reich, quando le V-2 colpirono Londra per 1.400 volte, portò al primo fondamentale passo verso la conquista dello Spazio.
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Beppe Sala (Ansa)
Per «Italia Oggi», la città di Mr Expo è prima per reati commessi. Due sentenze della Cassazione riscrivono l’iter per le espulsioni.
Milano torna a guidare la classifica della qualità della vita ma, allo stesso tempo, è diventata la capitale del crimine. E, così, il primato che la vede in cima alle Province italiane svanisce subito quando si scorre la classifica sui reati, dove affonda come un sasso dritta alla posizione numero 107, l’ultima. Fanalino di coda. Peggio del 2024, quando era penultima. Un record di cui nessuno dovrebbe essere fiero. Ma che, anche quest’anno, il sindaco dem Beppe Sala ignorerà, preferendo alle misure per la sicurezza il taglio di nastri e la promozione di aree green. L’indagine è quella di Italia Oggi e Ital Communications, realizzata con l’Università la Sapienza, che ogni anno stila la classifica sulla qualità della vita.













