2025-07-30
Stellantis in rosso. Jaki si consola con Iveco
Il primo semestre 2025 si chiude con una perdita netta di 2,3 miliardi anche per i dazi, che hanno pesato per 300 milioni. Intanto avanzano le trattative per cedere la società specializzata nei camion e nella Difesa. E le azioni fanno un balzo in Borsa.Mentre Stellantis arranca tra i saliscendi del mercato dell’auto e gli sbadigli degli analisti, John Elkann non perde il suo aplomb: compostezza da consiglio d’amministrazione e fiuto da finanziere. I conti dell’auto vanno male? Il titolo crolla? L’utile si trasforma in una buco da 2,3 miliardi a metà anno? Nessun problema: si vendono i gioielli, si spezzetta Iveco e si mette al riparo la vera corona - il patrimonio di Exor, la cassaforte di famiglia.Sì, perché se Stellantis oggi guarda con aria mesta il bilancio semestrale, tra «decisioni difficili», e «segnali evidenti di progresso» come dice Antonio Filosa, neo amministratore delegato, Elkann agisce con chirurgica freddezza: la divisione Difesa di Iveco - quella che produce le autoblindo - è sul punto di passare nelle mani di Leonardo con il sostegno dei tedeschi di Rheinmetall. Il resto del pacchetto? In fase di consegna a Tata, gruppo indiano che possiede Jaguar e Land Rover e intrattiene rapporti storici con la dinastia Agnelli-Elkann.Una stretta di mano tra dinastie globali, mentre i lavoratori italiani contano i giorni che li separano dal vertice del 31 luglio convocato da Adolfo Urso. Non parteciperà l’azienda. Il governo dovrà stabilire se esistono gli estremi per il golden power.Piazza Affari festeggia. Il titolo Iveco vola: +4,84%, a 19 euro. Festa tra i broker. Ma dietro la vertigine dei decimali c’è la lucidità fredda del board Exor: via la Difesa, via i camion, fuori anche gli autobus. Un passo alla volta, ma decisi: prima Idv (la divisione Difesa) valutata 1,7 miliardi per un giro d’affari 2024 da 1,13. Poi, tutto il resto. Complessivamente il gruppo Iveco conta su 19 stabilimenti, 36.000 dipendenti, 14.000 solo in Italia. Tata prende tutto. E Stellantis? Il gruppo nato per «consolidare» il futuro dell’auto europea, oggi si aggrappa alle frasi motivazionali di Antonio Filosa nel corso dell’incontro con gli analisti: «Decisioni difficili ma necessarie» e anche, «energia delle nostre persone», oppure «progressi iniziali ma incoraggianti». La Borsa sembra crederci: inizialmente il titolo arriva a perdere il 4,5%. Poi recupera chiudendo in parità a 8,2 euro. La realtà, però, è tutta in quei 2,3 miliardi di euro di perdita netta in sei mesi. L’anno scorso, c’era un utile di 5,6. I dazi impatteranno meno del previsto. Dai temuti 2,7 miliardi di euro si passa a una più digeribile proiezione da 1,5 miliardi, di cui «solo» 300 milioni già contabilizzati. Ma è una consolazione parziale. Ricavi giù del 13%. Il Nord America, che doveva essere il motore, è in panne. L’Europa? Non pervenuta. A salvarsi, un poco, è il Sud America: ma nessuno si illude che basti qualche pick-up venduto a Porto Alegre per salvare il Titanic.E allora? Allora si torna a dare previsioni - le «guidance» - che a primavera erano state messe in naftalina. Il tono è più sobrio, meno da festa aziendale: si prevede un «miglioramento a una cifra» dei margini, un piccolo aumento dei ricavi e un flusso di cassa «in (lieve) miglioramento». Poca roba per un gruppo che nelle intenzioni doveva rivaleggiare con Toyota e Volkswagen alla testa dell’auto mondiale.Antonio Filosa, ci mette tutta la grinta disponibile nel pacchetto manageriale: parla, spiega, rassicura. Ma Wall Street e Milano non sono anime tenere. I numeri, quando sono brutti, gridano più forte delle buone intenzioni.Il governo si trova ora davanti a un dilemma: usare il golden power o lasciare che anche Iveco segua la via di Magneti Marelli. Un altro pezzo della ex Fiat messa sul mercato e ora in gravissime difficoltà. La risposta non arriverà da Exor. Lì, il messaggio è già stato trasmesso. Si vende a pezzi, con calma, senza strappi. Prima la Difesa, poi il resto. Tutto con il massimo rispetto per «gli stakeholder».In tutto questo, emerge il solito grande paradosso italiano: abbiamo ancora grandi aziende, ma sempre meno padroni disposti a scommetterci davvero. Elkann preferisce mettere i capitali dove il rischio è minore: sanità (vedi Lifenet), moda (Louboutin), servizi. L’auto? Il camion? Il metallo, il grasso e i bulloni? Roba da vecchia industria. Roba che soffre dei dazi di Donald Trump, delle normative europee, della concorrenza cinese. Meglio uscire.E così Stellantis sbanda, ma il vero rischio lo pagano altrove: a Torino, a Brescia, a Suzzara. Elkann no: lui ha già acceso il navigatore. Destinazione: altrove.
Jose Mourinho (Getty Images)