2024-10-01
Stellantis dimezza la produzione e il valore
John Elkann (Gettyimages)
Le proiezioni dei sindacati: nel 2024 difficile raggiungere quota mezzo milione di mezzi. L’anno scorso ne erano stati realizzati 750.000. Stop al lavoro a Melfi e Mirafiori, peggiorano Pomigliano e Atessa.Carlos Tavares taglia le previsioni e le azioni del gruppo perdono il 15%: a marzo valevano il doppio. Pure Renzi rilancia la fusione con i francesi. Ma il problema sono le regole Ue.Lo speciale contiene due articoliPer capire la profondità della crisi che sta affrontando la produzione di auto Stellantis in Italia bisogna partire da un dato: Pomigliano e Atessa (furgoni) sono gli stabilimenti che se la passano meglio, eppure sono in crisi. Mentre negli altri, quelli appunto dove la situazione può essere definita drammatica, sono più i giorni di fermo del lavoro che quello dove gli operai si adoperano per assemblare (aiutati da robot e intelligenza artificiale) scocche e parti meccaniche. Parliamo di Mirafiori e Melfi, ma anche Cassino non scherza. E così nessuna meraviglia se le proiezioni che i sindacati periodicamente elaborano rispetto ai siti della maggior casa automobilistica del Paese siano arrivati a prevedere che molto probabilmente da qui alla fine dell’anno non si raggiungeranno le 500.000 vetture prodotte. Mettendo insieme le auto appunto e ai veicoli commerciali. Le ultime stime parlano di una débâcle epocale, se si pensa che l’obiettivo di cui a ogni vertice con le istituzioni si parla è quello di raggiungere quota 1 milione di automobili prodotte in Italia. E se si pensa ancora che nel 2023 la multinazionale nata dalla fusione di Fca e Peugeot era arrivata a superare l’asticella delle 750.000 unità contro le 685.753 del 2022. Che il crescendo non sarebbe stato confermato nel 2024 era un dato assodato. Meno certo l’ulteriore rallentamento della produzione rispetto ai numeri del primo semestre. Anche se l’andamento era nell’aria. Cause? Dell’errore strategico sull’elettrico (rispetto al quale l’ad Carlos Tavares è uno degli ultimi giapponesi a non accennare dietrofront) si è detto di tutto e di più. Così come non fa bene a Stellantis, ma anche alle altre case automobilistiche, la situazione di incertezza che si respira sull’auto (ma non solo) rispetto alle regole Ue. Cosa succederà con lo stop al termico previsto nel 2035? Verrà confermato? E nel frattempo la revisione dei piani green si realizzerà subito come sta chiedendo a gran forza e con un importante seguito il ministro Adolfo Urso o ci vorrà un po’ di tempo in più? Chiaramente sono in atto trattative per arrivare a una nuova pioggia di sussidi pubblici (soprattutto europei) che foraggino la transizione, ma nel frattempo vista l’incertezza sul futuro dei veicoli tradizionali nessuno si avventura nell’acquisto. E le vendite crollano. In più, Stellantis ha delle peculiarità nel suo rapporto a dir poco complicato con l’Italia. Che gli Elkann, nonostante la storia e i miliardi di «aiuti» ricevuti dai tempi della Fiat, giudichino l’Italia alla stregua di qualsiasi altro Paese è un fatto. Che magari gli interessati non ammetteranno mai. Così come è evidente che gli eredi della famiglia Agnelli non si prendono con il governo Meloni. Il punto è che i dirigenti della casa franco-italiana sembra abbiano colto la palla al balzo per allontanarsi dal Belpaese. E da questo punto di vista la vicenda della gigafactory di Termoli è paradigmatica. Prima annunciata come una svolta storica per il futuro dell’auto elettrica in Italia. E poco mesi dopo ripudiata perché ci si era resi conto che il mercato delle batterie non tirava. Il problema è che qualche giorno fa Stellantis ha confermato che una gigafatory, dopo quella francese, verrà realizzata in Spagna, a Saragozza, in Spagna, grazie a un accordo di partnership con la cinese Catl. Insomma, si può arrivare a capire, ma non a giustificare, una certa preferenza per Parigi (lo Stato francese detiene attualmente il 6,2% di Stellantis, e questa quota che rappresenta il 9,6% dei diritti di voto), ma che Roma venga dopo Madrid è davvero troppo. E veniamo quindi alla situazione dei singoli stabilimenti. Che i casi più complicati si stiano vivendo a Mirafiori e Melfi lo dicono i fermi alla produzione e le conseguenti ore di «riposo forzato» dei dipendenti in cassa integrazione.E quasi sicuramente i dati del terzo trimestre saranno peggiori di quelli già drammatici dei primi 6 mesi del 2024. Secondo l’analisi elaborata dalla Fim Cisl a metà anno, infatti, al sito lucano (500x, Jeep Renegade e Jeep Compass) andava il record di auto «perse» rispetto al 2023. Qui sono state prodotte ben 63.800 unità in meno dell’anno prima. Mentre lo stabilimento torinese si era fermato a quota 19.510 vetture. Anche nel sito piemontese un bel tonfo se lo si confronta con i 53.330 veicoli realizzati solo 12 mesi prima. Bene, come detto, a Torino e Melfi difficilmente si registreranno numeri in crescita, ma il problema è che anche nelle fabbriche che avevano mantenuto con i denti il segno più davanti, Pomigliano e Atessa, le cose sono peggiorate. È di queste ore la notizia di un significativo calo della domanda per la Panda che si produce nel sito campano. La produzione è passata da 395 a 320 vetture per turno. E a causa delle difficoltà sul mercato dei modelli Alfa Romeo Tonale e Dodge Hornet, è prevista una sospensione dell’attività produttiva dal 24 al 31 ottobre. Altra cassa integrazione, la stessa cosa che sta succedendo ad Atessa . Insomma, il primo semestre di Stellantis in Italia si era chiuso con il dato di 303.000 vetture prodotte, che portava la chiusura d’anno leggermente sopra quota 600.000. Se oggi il consuntivo arrivasse a quota mezzo milione, verrebbe considerato un successo. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/stellantis-dimezza-la-produzione-e-il-valore-2669297776.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="titolo-a-fondo-altre-voci-su-renault" data-post-id="2669297776" data-published-at="1727724723" data-use-pagination="False"> Titolo a fondo, altre voci su Renault I nodi arrivano sempre al pettine. Ieri, Stellantis, la casa automobilistica francese che vede come azionista di riferimento la famiglia Elkann, ha chiuso in Borsa quasi con un 15% di perdita. Il titolo vale 12,4 euro, mentre fino allo scorso marzo era più del doppio, arrivando a quotare 26,9 euro. Una mazzata che potrebbe ulteriormente scatenare gli azionisti Usa particolarmente avvezzi alle class action. Il motivo del crollo di ieri è tuttavia molto semplice. I vertici dell’azienda hanno rivisto le guidance, gli obiettivi quantitativi, lasciando intendere al mercato che le strategie sono da rivedere. In sintesi, Stellantis ha rivisto le stime per l’intero 2024 per «problemi di performance in Nord America e deterioramento nelle dinamiche globali del settore». Due terzi della flessione prevista sono dovuti al mercato nordamericano, dove però la casa automobilistica francese ha già preso misure nei mesi scorsi, riducendo il numero di vetture sui piazzali. Stellantis è la sola casa automobilistica europea i cui maggiori problemi sono negli Usa, andando ad aggravare l’attuale esplosione della bolla dell’elettrico nei vari Paesi del Vecchio Continente. Il margine operativo adjusted è atteso tra il 5,5% ed il 7% per l’intero anno, in calo rispetto al precedente a due cifre, mentre il free cash flow industriale è stimato tra i 5 e i 10 miliardi rispetto al precedente «positive». Il gruppo ha spiegato in una nota che «il deterioramento nelle condizioni globali del settore si traduce in una previsione di mercato per il 2024 a un livello inferiore rispetto all’inizio dell’anno mentre le dinamiche competitive si sono intensificate per effetto sia della maggiore offerta sia dell’accresciuta concorrenza cinese». Numeri e relative esternazioni che mettono in una situazione ancor più complessa l’ad Carlos Tavares che fino a due settimane fa dichiarava apertamente la volontà perseguire la strada dell’elettrico, criticando persino l’Acea, l’associazione dei produttori, per aver chiesto a Bruxelles di rivedere subito le ulteriori strette sulle emissioni di CO2. Al di là delle sorti di Tavares che interessano poco ai lettori, il crollo di Stellantis a Piazza Affari non solo ha trascinato al ribasso tutto l’automotive europeo, ma ha rilanciato le speculazioni su una fusione con Renault e nuovi accordi a 360 gradi per resistere alla concorrenza cinese e americana, compreso un possibile coinvolgimento di Bmw. Tutte le case europee stanno indicando la concorrenza cinese e l’obiettivo Ue di dire addio ai motori endotermici entro il 2035 come i principali fattori di crisi, uniti, per Paesi come l’Italia, al fatto che i consumatori non sono interessati all’acquisto delle vetture «full electric» - difficile trovarne a meno di 30.000 euro tra i modelli europei - dal calo del potere di acquisto subito in tutti questi anni. Tra le cause c’è ovviamente il Green deal che adesso le case automobilistiche dicono di subire. Sebbene per anni abbiano abbracciato con fervore la causa della transizione verde. Grazie ai sussidi, si sono abituati a un modello produttivo statalista che però alle holding (a differenza dei fornitori e dei concessionari) ha portato risultati. Nel 2023 il prezzo medio di un’auto (venduta in Italia a privati, aziende e car sharing) si aggirava poco sotto i 29.000 euro. Prima del Covid il prezzo medio era di 21.000 euro. Nel 2013 la cifra era di 18.000. Significa che negli ultimi 4 anni la cifra è cresciuta di circa il 30%. Non a caso il fatturato complessivo (in Italia) è stato di circa 45 miliardi a fronte di 1,6 milioni di nuovi mezzi. Il record di fatturato (46 miliardi) si è registrato 9 anni fa. Ma all’epoca le auto vendute erano state 2,6 milioni. Va detto che nel 2020 e nel 2021 l’effetto lockdown ha portato enormi rincari sulla filiera, ma ciò non basta a giustificare quasi 8.000 euro in più di prezzo medio. Tra il 2022 e il 2023, quando i valori della catena produttiva hanno cominciato ad assestarsi, il prezzo medio dell’auto è comunque salito di 2.000 euro. In un solo anno. Stellantis, ad esempio, per ogni vettura messa sul mercato ha un margine di circa 3.600 euro. Meglio fanno Tesla, Bmw, Mercedes e Ferrari (che però è altra categoria). Peccato che a forza di ridurre il numero delle auto prodotte, scatti poi la necessità di chiudere fabbriche e mettere in cassa integrazione i dipendenti. Cosa che può andare bene a Bruxelles, ma non ai singoli Stati e governi, i quali se sganciano sussidi vogliono almeno mantenere l’occupazione stabile. Altrimenti alle elezioni successive la gente sceglia altro in sede di urna. Sul fronte occupazionale quindi non ci siamo proprio. Se l’industria persegue i profitti, e la Cina punta a esportare e conquistare i mercati, non sono per nulla chiare le strategie del legislatore per contrastare l’impatto devastante sul lavoro causato dalla forte spinta all’elettrificazione voluta dallo stesso legislatore. Il quale, per il timore di finire senza produttori, farebbe bene a non inseguire le sirene di Pechino. E qui torniamo di nuovo alla questione Stellantis. Strana l’uscita di Matteo Renzi che pochi giorni fa ha invocato un colosso Ue per l’ex Fiat. Sa qualcosa che noi non sappiamo su Renault? Ma soprattutto dovremmo sapere che, se non si rivolta la strategia Ue come un calzino, mettere assieme due zoppi non significhi fare un centometrista e nemmeno un maratoneta.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)