2025-08-04
«Con Trump finisce l’era neoliberista»
Stefano Fassina (Imagoeconomica)
L’economista Stefano Fassina: «Il modello globalista, che mette i lavoratori in competizione tra loro, è entrato in crisi nel 2007. L’Europa cambi rotta: l’export non può essere il primo motore di crescita, va sviluppata la domanda interna».Stefano Fassina, se da economista ti chiedessi che cosa pensi dello spot di Sidney Sweeney che fa tanto discutere?«Me lo dovresti descrivere, perché non l’ho visto».Allora parliamo di cose più frivole, tipo i dazi.«Mi trovi più preparato. Non so, però, quanto concorderai».Hai parlato di «resa incondizionata» dell’Ue di fronte a Donald Trump, come se fossi dispiaciuto. Ma quasi assolvi Ursula von der Leyen. Forse per non aver compreso il fatto, aggiungo io!«È venuta meno la favola secondo cui l’economia fa tutto da sola. Racconto prevalente degli ultimi 30 anni. Da quando la politica è tornata a essere protagonista, sono tornati a essere protagonisti gli Stati nazionali. Ursula è una portavoce. Farne il capro espiatorio trovo che sia una facile scorciatoia. Deresponsabilizzante, aggiungo. Ursula ha avuto certamente un atteggiamento imbarazzante e umiliante, ma la responsabilità è dei governi e, nel merito, è una resa incondizionata».Non so se ti dispiaccia o se te ne compiaci.«Analizzo la questione. Se consideri la Russia il tuo nemico esistenziale, se affronti il cambiamento d’epoca in corso come Occidente contro il resto del mondo e se ti affidi per la tua sopravvivenza energetica e geopolitica agli Stati Uniti, alla fine non contratti. Ti abbandoni alla clemenza dell’interlocutore per la tua sopravvivenza. È una questione strutturale».Quindi sostieni che l’Ue sia strutturalmente incapace di navigare nei mari di oggi…«Sostengo che è un’opzione politica. I dazi sono un aspetto. Il tema non è l’atteggiamento di Ursula. Il mondo neoliberista e mercantilista degli ultimi 40 anni, dove gli Stati Uniti hanno fatto il consumatore universale...»«Di ultima istanza», hai scritto…«Quel mondo è finito. E dico anche: per fortuna. Un impianto che sacrificava i lavoratori e le piccole imprese perché fondato sulla svalutazione del lavoro. Al di là del giudizio che ciascuno di noi può dare su quell’impianto, gli Stati Uniti non sono più in condizione strutturale per fare il consumatore di ultima istanza. Non sono più la più grande economia. In termini di parità di potere d’acquisto, sono superati dalla Cina e fra due tre anni pure dall’India. Il surplus commerciale con gli Stati Uniti non può durare in eterno».Colpa o merito di Trump, a seconda dei punti di vista?«Anche Joe Biden ha proseguito sulla rotta tracciata dal Trump 1. Con metodi più sofisticati e meno brutali».Penso all’Inflation reduction act.«Il Trump 2 è l’escalation di una tendenza. E l’Europa dovrebbe cambiare rotta».Cercare altri mercati, dicono alcuni…«Questi nuovi mercati non possono essere il motore della crescita di una delle aree del mondo come siamo noi. La rotta è quella della domanda interna. Tu sai che l’equazione macroeconomica fondamentale porta all’eguaglianza tra il tuo attivo commerciale e il risparmio che esporti. È un’equazione. Non è una valutazione politica. Dobbiamo tornare a investire in ricerca, formazione e welfare per sostenere una domanda che consenta di riassorbire quello che non puoi più esportare. Perché non c’è più chi comprava come prima. Una transizione da gestire. Ci sono aziende e posti di lavoro su cui intervenire. Ma sono costi infinitesimali rispetto a quelli che stiamo impegnando per l’acquisto di armi ed energia verso gli Stati Uniti».Riassumo il «Fassina pensiero»: siamo così impegnati a inseguire altri mercati che non ci accorgiamo di quello che sta sotto i nostri occhi!«Che non vuol dire autarchia. Dobbiamo esportare per avere le risorse che ci consentano di acquistare le materie prime che non abbiamo. Ma l’export non può essere il motore primario di crescita».Sei stato l’unico analista ad aver sottolineato come Trump abbia minacciato prelievi fiscali discriminatori contro i risparmiatori europei che avevano investito negli Usa.«La clausola 899 del Big beautiful bill, dove si minacciava la possibilità di un prelievo annuo aggiuntivo del 5%. Un’escalation fiscale esposta dal ministro Giancarlo Giorgetti. Sono temi su cui i gestori del risparmio in Europa sono estremamente sensibili. I francesi hanno investimenti finanziari in America equivalenti a quelli detenuti in patria».Esporto beni. Importo dollari. Che reinvesto e quindi li esporto di nuovo. L’Ue è in questa situazione.«Esattamente. E l’America è un debitore che ha un’arma di ricatto fondamentale. Minaccia un’escalation di tasse aggiuntive che parte dal 5% ed arriva al 20%. I player del risparmio gestito hanno spinto per l’intesa».Concludendo, Trump segna la fine del globalismo? O è la fine del globalismo ad averci portato Trump?«La seconda che hai detto».Avrebbe detto Quelo di Corrado Guzzanti…«La fine del globalismo inizia, per come la vedo io, nel 2007 con la vicenda dei mutui subprime negli Usa. Quella crisi evidenzia la fine di un modello. Quello in base al quale la classe media americana andava avanti sostituendo reddito da lavoro con il debito. Non ti puoi indebitare all’infinito. Il processo prosegue nel 2016 prima con la Brexit e poi con l’elezione del Trump 1. L’insostenibilità economica si palesa in America e in Europa. Gli elettori si vendicano nelle urne per una situazione economica divenuta insostenibile».Ti propongo questa catena degli eventi, andando ancora più indietro nel tempo. Soprattutto Clinton, prima di Bush jr, riporta il bilancio federale americano in surplus. Principio dei saldi settoriali: diminuisce il reddito privato, quindi aumenta il debito. Quindi i subprime. L’analisi di Stephanie Kelton in pratica.«Concordo in parte. Va contestualizzata. Troppa enfasi sulla questione del bilancio pubblico. Importante, ma ancor più fondamentale è la liberalizzazione nei flussi di capitali, merci, servizi e persone. È così che la classe media americana è stata spremuta. E anche la nostra. Metti in concorrenza non tanto le imprese quanto soprattutto i lavoratori. I modelli sociali di sviluppo. Sistemi di welfare diversi. Un reddito di 1.200 euro da noi già basso contro un salario di 200 dollari da qualche parte dell’Estremo Oriente. Non stiamo parlando della classica concorrenza fra imprese dentro un mercato. Roba da manuali di microeconomia al primo anno. Questo impoverimento indotto poi ha delle conseguenze sulla finanza pubblica. Ma il meccanismo di fondo che ha devastato le classi medie e le ha portate alla ribellione - e anche all’atteggiamento vendicativo nelle urne - è stata la liberalizzazione prima dell’austerità».Metodo crudele per ridurre i salari e tenere botta. Perché per quanto bassi i nostri salari siano, c’è sempre qualcuno che lavora a meno nel villaggio globale. Ti devo chiedere un parere sull’ultimo libro del ministro Giuseppe Valditara. Parla di patria. Da un lato applaudi, dall’altro critichi.«Sull’importanza della patria in senso costituzionale non posso che concordare».In una chiacchierata di qualche anno fa mi avevi fatto riflettere sul tema su cui scrive il ministro. La Costituzione parla di «sacro dovere» di difendere la patria.«E sull’importanza di questo tema non ci torno perché concordo. L’obiezione che faccio al ministro è che confonde due visioni. Quella del cosmopolitismo e quella dell’internazionalismo».Cioè? «Il cosmopolitismo è sostanzialmente espressione del paradigma neoliberista centrato sull’individuo. Disconosce la rilevanza della comunità di appartenenza, a partire dalla comunità politica nazionale. Per quanto mi riguarda, contraddice radicalmente il senso costituzionale di patria, quello che Valditara giustamente o opportunamente richiama. L’internazionalismo è invece il principio costituzionale che invera il senso di patria perché prospetta la cooperazione tra nazioni».Ue come sovrastato è cosmopolitismo. La Cee come comunità di Stati indipendenti che collaborano è internazionalismo.«Esatto. Internazionalismo sono tante patrie cooperative. Cosmopolitismo è un concetto antropologico liberista. L’individuo indifferenziato».Da lì l’immigrazione incontrollata. A proposito, che cosa cosa pensi dell’ultima sentenza della corte di giustizia Ue che riconosce ai giudici e non agli stati l’ultima parola?«Dovremmo aprire una discussione seria. Prescindendo dal modello Albania, che trovo un diversivo pericoloso. E dico questo. Primo, il diritto sovranazionale internazionale o europeo non ha un primato assoluto. C’è una dottrina costituzionale molto rilevante espressa da illustri giuristi e filosofi del diritto: ad esempio, Massimo Luciani (giudice costituzionale), Cesare Salvi e Geminello Preterossi. La nostra Costituzione ha dei controlimiti. Principi supremi che vengono prima del diritto sovranazionale. Secondo, si può discutere se uno Stato sia più o meno sicuro. Ma deve farlo la politica. I partiti in dialettica e scontro fra di loro. L’istanza giurisdizionale di controllo, necessaria perché nella democrazia nessun potere è assoluto, non può essere il giudice ordinario».
Edoardo Raspelli (Getty Images)
Nel riquadro: Mauro Micillo, responsabile Divisione IMI Corporate & Investment Banking di Intesa Sanpaolo (Getty Images)
L'ex procuratore di Pavia Mario Venditti (Ansa)