
La Casa Bianca vuole togliere dalle Borse statunitensi le aziende di Pechino. È il punto culminante di uno scontro iniziato con Barack Obama. A Italia e Ue conviene seguire Washington, concordando però degli spazi di manovra con il gigante asiatico.La Casa Bianca ha fatto filtrare l'ipotesi di togliere dalle Borse statunitensi le aziende cinesi nonché di limitare sostanzialmente gli investimenti di soggetti americani in Cina. Si tratta di una minaccia finalizzata a costringere Pechino, che temporeggia, ad arrendersi alle richieste di riequilibrio commerciale e/o di una mossa elettorale per sormontare sul piano comunicativo la procedura di impeachment oppure di una ricalibratura più incisiva della strategia di compressione dell'emergente potere cinese? Cercare di capirlo e derivarne una strategia è rilevante per la politica estera italiana e sua posizione in sede Ue, anche considerando la prossima visita a Roma del segretario di Stato americano Mike Pompeo che farà visita a Vaticano, Quirinale nonché a Chigi e Farnesina. Sfondo di scenario. Nell'autunno 2017 si è cristallizzata in forma di politica nazionale esplicita una strategia di sicurezza nazionale statunitense, sostenuta da destra e sinistra, che definisce la Cina come nemico principale e la limitazione del suo potere come priorità. Diversamente da quanto creduto dai più, Donald Trump ha dato finora un'interpretazione morbida, quella della sinistra è più dura, di tale linea: cara Cina, arrenditi aprendo le frontiere al mio export, riducendo il sostegno delle aziende di Stato, in generale riequilibrando almeno un po' il dare e l'avere tra noi e abbandonando lo spionaggio e il furto tecnologico e io ti lascerò vivere, sia mantenendo il tuo accesso al mercato interno statunitense sia non tentando destabilizzazioni. E per convincere Pechino ha usato la pressione dei dazi e il bando per aziende tech cinesi, sperando che bastassero per ottenerne la resa e un conseguente successo per scopi elettorali. Ma Pechino non si è arresa pur tentando di mantenere aperto e lungo il negoziato nella speranza, come poi avvenuto, che la pressione doganale comportasse danni all'America. Il punto: una guerra economica condotta contro un attore che è parte rilevante del mercato internazionale danneggia ambedue i contendenti e, nel caso, la stabilità dell'intero sistema globale. Per inciso, l'Unione sovietica era isolata nell'economia internazionale del tempo e per questo il «contenerla» non poneva problemi di stabilità globale, mentre la pressione condizionante sulla Cina globo-connessa li crea. Con una complicazione per l'America: un regime autoritario ha i mezzi repressivi per resistere ad una crisi economica mentre uno democratico non li ha. E ora Trump sta rischiando la rielezione perché la guerra economica contro la Cina alimenta una tendenza recessiva in forma di incertezza che colpisce investimenti e Borse. Ha due opzioni: un accordo molto limitato con Pechino, che però sarebbe una sconfitta, oppure aumentare la pressione per ottenere la resa della Cina o rovesciare il tavolo di gioco escludendo la Cina stessa, via divieti e sanzioni, da un accesso incondizionato al mercato internazionale, come concesso incoscientemente - o per incentivi - da Bill Clinton ai tempi. Tale esclusione è al momento solo una minaccia, ma potrebbe essere anche vista come una soluzione sistemica. L'idea di escludere la Cina dal ciclo globale per poterla condizionare ha sia un senso logico sia un precedente. Il progetto di Barack Obama, nel febbraio 2013, finalizzato a creare due aree economiche amerocentriche nel Pacifico (Tpp) e nell'Atlantico (Ttip) che escludessero Cina e Russia aveva proprio lo scopo di costringere la Cina a rinegoziare il proprio accesso predatorio al mercato delle democrazie. Pechino, infatti, si spaventò e reagì con forza lanciando la Via della seta per non perdere spazio geoeconomico. Mosca sabotò con mezzi riservati l'accordo euroamericano, per altro mal impostato. In sintesi, ora è probabile che Trump torni su una strategia obamiana intensificata: escludere il più possibile la Cina dal mercato internazionale, aumentandone la demonizzazione nonché accelerando la politica di riportare le produzioni manifatturiere in America, fattore di consenso interno diffuso. Considerando che l'America tipicamente pretende che il suo regime sanzionatorio venga adottato dagli alleati e che senza la convergenza di questi la strategia dell'esclusione non sarebbe efficace, pare realistico prevedere che Washington stia sondando le loro posizioni. Semplificando, l'Ue e l'Italia potrebbero essere messe di fronte alla seguente scelta: entrare in frizione con l'America per mantenere le relazioni commerciali con la Cina oppure comprometterle e convergere con l'America stessa. La scelta più vantaggiosa per l'Italia e per l'Ue è la seconda, ma chiedendo in cambio un concordato spazio di relazioni commerciali con la Cina e, soprattutto, con la Russia, se meno aggressiva, per non danneggiare troppo l'export europeo. Inoltre ci vorrebbe un accordo G7 per creare un prestatore di ultima istanza grande abbastanza per evitare che l'eventuale implosione della Cina inneschi una depressione globale. Questa è la posizione qui proposta alla valutazione della Roma italiana affinché la sostenga nell'Ue. Ma è più rilevante pregare quella vaticana di considerare la trasformazione della sua postura filocinese, che condiziona quella italiana, almeno in una neutrale per evitare la spaccatura del mondo cristiano nel confronto tra democrazie e Cina nazionalcomunista dove le prime potrebbero perdere se non si compattassero e non ritrovassero la guida della croce. Immagino un'alleanza globale delle democrazie con nucleo euroamericano che anche sostenga la liberazione dei cinesi dalla dittatura: croce e luce. www.carlopelanda.com
Il toro iconico di Wall Street a New York (iStock)
Democratici spaccati sul via libera alla ripresa delle attività Usa. E i mercati ringraziano. In evidenza Piazza Affari: + 2,28%.
Il più lungo shutdown della storia americana - oltre 40 giorni - si sta avviando a conclusione. O almeno così sembra. Domenica sera, il Senato statunitense ha approvato, con 60 voti a favore e 40 contrari, una mozione procedurale volta a spianare la strada a un accordo di compromesso che, se confermato, dovrebbe prorogare il finanziamento delle agenzie governative fino al 30 gennaio. A schierarsi con i repubblicani sono stati sette senatori dem e un indipendente affiliato all’Asinello. In base all’intesa, verranno riattivati vari programmi sociali (tra cui l’assistenza alimentare per le persone a basso reddito), saranno bloccati i licenziamenti del personale federale e saranno garantiti gli arretrati ai dipendenti che erano stati lasciati a casa a causa del congelamento delle agenzie governative. Resta tuttavia sul tavolo il nodo dei sussidi previsti ai sensi dell’Obamacare. L’accordo prevede infatti che se ne discuterà a dicembre, ma non garantisce che la loro estensione sarà approvata: un’estensione che, ricordiamolo, era considerata un punto cruciale per gran parte del Partito democratico.
2025-11-10
Indivia belga, l’insalata ideale nei mesi freddi per integrare acqua e fibre e combattere lo stress
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In autunno e in inverno siamo portati (sbagliando) a bere di meno: questa verdura è ottima per idratarsi. E per chi ha l’intestino un po’ pigro è un toccasana.
Si chiama indivia belga, ma ormai potremmo conferirle la cittadinanza italiana onoraria visto che è una delle insalate immancabili nel banco del fresco del supermercato e presente 365 giorni su 365, essendo una verdura a foglie di stagione tutto l’anno. Il nome non è un non senso: è stata coltivata e commercializzata per la prima volta in Belgio, nel XIX secolo, partendo dalla cicoria di Magdeburgo. Per questo motivo è anche chiamata lattuga belga, radicchio belga oppure cicoria di Bruxelles, essendo Bruxelles in Belgio, oltre che cicoria witloof: witloof in fiammingo significa foglia bianca e tale specificazione fa riferimento al colore estremamente chiaro delle sue foglie, un giallino così delicato da sfociare nel bianco, dovuto a un procedimento che si chiama forzatura. Cos’è questa forzatura?
Zohran Mamdani (Ansa)
Nella religione musulmana, la «taqiyya» è una menzogna rivolta agli infedeli per conquistare il potere. Il neosindaco di New York ne ha fatto buon uso, associandosi al mondo Lgbt che, pur incompatibile col suo credo, mina dall’interno la società occidentale.
Le «promesse da marinaio» sono impegni che non vengono mantenuti. Il detto nasce dalle numerose promesse fatte da marinai ad altrettanto numerose donne: «Sì, certo, sei l’unica donna della mia vita; Sì, certo, ti sposo», salvo poi salire su una nave e sparire all’orizzonte. Ma anche promesse di infiniti Rosari, voti di castità, almeno di non bestemmiare, perlomeno non troppo, fatte durante uragani, tempeste e fortunali in cambio della salvezza, per essere subito dimenticate appena il mare si cheta. Anche le promesse elettorali fanno parte di questa categoria, per esempio le promesse con cui si diventa sindaco.
Ecco #DimmiLaVerità del 10 novembre 2025. Il deputato di Sud chiama Nord Francesco Gallo ci parla del progetto del Ponte sullo Stretto e di elezioni regionali.






