2020-07-27
«Stato lento negli aiuti alle imprese. I clan hanno trovato dove investire»
Luigi Ciatti / Serrande di negozi chiuse (iStock)
L'esperto antiusura di Confcommercio, Luigi Ciatti: «I racket sono pieni di denaro illecito, hanno solo il problema di ripulirlo. Le aziende lasciate senza liquidità sono l'occasione perfetta. Il mercato ne uscirà stravolto».«Lo Stato ha affrontato bene la battaglia contro il virus, ma non ha vinto quella economica: l'inerzia ha aperto la strada a chi di denaro ne ha tanto, pronto sotto il tavolo». Nell'Ambulatorio antiusura di Confcommercio Roma, Luigi Ciatti riceve segnalazioni continue: a chiamare, commercianti a corto di liquidità che lottano per non cedere ai soldi facili degli usurai e delle mafie, per non finire in un vortice che può durare anni. Presidente Ciatti, i numeri fanno una certa impressione: a marzo 2020 le segnalazioni erano già cresciute del 30% rispetto allo scorso anno. Tra maggio e giugno, siamo arrivati addirittura al 50% in più sul 2019.«L'emergenza sanitaria legata al coronavirus ha creato enormi problemi a chi fa impresa. Le restrizioni hanno messo in ginocchio moltissime attività economiche. Quei numeri hanno acceso un campanello d'allarme».Che tipo di segnalazioni ricevete da imprenditori e commercianti? «Le telefonate sono tutte uguali. I commercianti ci raccontano di avere solo tre possibilità: chiudere, vendere l'attività o rivolgersi agli usurai. Con rammarico dico che questa situazione si sarebbe potuta evitare».Che cosa intende? «Il virus è certamente la causa principale di questa crisi, ma non l'unica. Ciò che rende questa situazione un vero dramma è l'inerzia dello Stato. La lentezza o, in alcuni casi, l'assenza degli aiuti economici».Che cosa non ha funzionato nell'azione di governo?«Servivano interventi rapidi, immissione di liquidità immediata. Anche con la formula dei prestiti, sebbene a mio giudizio questi non siano la soluzione ideale. Ma almeno avrebbe consentito di disporre del denaro necessario per affrontare i mesi di chiusura. Dove non arriva lo Stato, arriva qualcun altro». Arrivano le organizzazioni mafiose. Secondo la Direzione investigativa antimafia, l'emergenza coronavirus può rappresentare un nuovo «sbocco economico» per i clan, con margini di arricchimento simili a quelli di un contesto postbellico. «La pandemia ha concesso enormi opportunità alle organizzazioni criminali, ha permesso loro di riconquistare consenso sociale. In alcune zone del Paese, la risposta dello Stato è stata lenta. Le mafie sono arrivate prima».Soldi freschi. Welfare alternativo, lo chiamano gli investigatori: generi di prima necessità e sussidi a chi è in difficoltà.«Accettare i soldi delle mafie, per molti, è diventata un'esigenza. Alcuni imprenditori sono stati costretti a soddisfare un bisogno primario in un momento di crisi, cioè i soldi. E lo hanno fatto, anche a costo di pagare un prezzo molto alto». L'assistenzialismo è la chiave per capitalizzare il consenso. Crede che ne avremo prova tra qualche mese, in occasione delle prossime elezioni? «Quando i clan chiederanno qualcosa indietro, i cittadini avranno maggiori difficoltà a dire di no. Stiamo perdendo la nostra battaglia: ci vorranno decenni per far capire a tutti che lo Stato e la legalità sono le scelte vincenti». Il rischio di infiltrazione è alto nelle attività che hanno sofferto di più la paralisi commerciale, come ristoranti e alberghi.«Le mafie non vedevano l'ora di investire. I clan hanno enormi somme di denaro a disposizione, ma hanno il problema di non poterle immettere nel circuito economico, di farle venire alla luce. Attraverso l'acquisizione di attività commerciali, come ristoranti e alberghi, possono finalmente approfittare dell'utile ricavato da attività illecite. Le organizzazioni hanno trovato gli strumenti per lavare denaro da qui all'eternità».Le acquisizioni avvengono spesso a prezzi irrisori: in alcuni casi si parla addirittura del 30% del valore reale. «Le acquisizioni a basso costo sono un danno, certo. Lo sono per le famiglie, per le imprese che si tramandano di padre in figlio e che a un certo punto spariscono. Eppure non sono l'unico problema».Quali altre difficoltà vede?«Lo squilibrio del mercato. Le attività commerciali sopravvivono se riescono a far quadrare i conti. Le mafie non hanno questi problemi: se un'impresa serve solo a ripulire i capitali, si può investire. Si può spendere. Così si genera concorrenza sleale: uno sfacelo per l'economia, rischiamo un arretramento rispetto a tutte le battaglie di legalità condotte in questi anni». Insomma, non uno scenario positivo quello che lei tratteggia. «Il Paese è fermo. Il sistema non si è ripreso, nonostante l'uscita dal lockdown. La riapertura non ha consentito di recuperare le perdite. E quando verrà tolto il blocco dei licenziamenti, a dicembre o quando sarà, la situazione è destinata a peggiorare: sarà un altro “bagno di sangue"».Si temono mesi caldi, specialmente in autunno. Dal ministero dell'Interno è già partito l'allarme tensioni sociali. «Mi viene in mente Pompei, prima dell'eruzione del Vesuvio. Ecco, la sensazione è questa: qualcuno crede che con la riapertura i problemi si siano risolti. Non vorrei che nel frattempo stia per esplodere un vulcano che ci farà ritrovare tutti pietrificati».