True
2023-04-19
Lo Stato islamico rinasce nel Mali
True
Tutto è avvenuto senza combattimenti visto che i loro rivali del Gruppo di sostegno all’Islam e ai musulmani (Jnim), legato ad al-Qaeda non si sono opposti in quanto soverchiati in termini di mezzi e di uomini. Questo ramo locale del gruppo dello Stato islamico è stato inizialmente autoproclamato dopo uno scisma all'interno del Movimento per l'Unicità e il Jihad in Africa Occidentale (Mujao) un gruppo terrorista islamista a seguito di una scissione dal gruppo al-Qaeda nel Maghreb Islamico (Aqim), con l'obiettivo di portare il jihad anche nei territori dell'Africa nord-occidentale. Mujao si è separato da Aqim nell'ottobre 2011, a seguito delle accuse secondo cui Aqim era troppo dominato dai comandanti arabi e delle critiche ai suoi metodi di jihad, ma in realtà lo scontro avvenne per questioni di influenza territoriale e denaro. Il leader del gruppo, l'ex comandante del Mujao, Adnan Abu Walid al-Sahraoui (1973-2021), ha dichiarato la sua adesione allo Stato islamico nel maggio 2015, sebbene l'Isis abbia riconosciuto il giuramento di fedeltà (bay'a) al suo leader Abubakr al-Baghdadi soltanto nell'ottobre 2016.
L'Isgs ha iniziato a ricevere un'attenzione regolare dai media ufficiali dell'Isis nella primavera del 2019. Il gruppo ha operato prima nel Niger occidentale e nel Ménaka, nel Mali nord-orientale, conducendo anche diversi attacchi in Burkina Faso, vicino al confine con il Mali, e un attacco a un'alta prigione di sicurezza vicino alla capitale del Niger, Niamey, nell'ottobre 2016. I combattenti dell'Isgs hanno combattuto anche contro i jihadisti di al-Mourabitoun fedeli a Mokhtar Belmokhtar, ma successivamente i due gruppi hanno evitato gli scontri tanto che a volte, l'Isgs ha operato in prossimità e forse anche in cooperazione con i combattenti del Jnim. Secondo gli osservatori locali, fonti regionali e internazionali, l’Isgs ha attirato molti dei suoi combattenti tra quelli originari delle aree in cui opera, in particolare combattenti nigerini Peul e Dawsahak le cui origini sono a Ménaka e nella città maliana di Gao. I combattenti dell’Isgs sono stati responsabili dell'attacco mortale che ha ucciso quattro soldati americani e cinque soldati nigerini a Tongo Tongo nella provincia di Tillabéry, nonché di dozzine di attacchi contro truppe nigeriane, maliane e burkinabé, milizie come il Mouvement pour le Salut de l'Azawad (Msa) e Groupe d'Autodéfense Tuareg Imghad et Alliés (Gatia). Negli ultimi mesi ha ampliato le sue operazioni territoriali lungo il confine tra Niger e Burkina Faso, nonché nella regione di Gourma a sud di Timbuktu in Mali. A poco più di un anno dall’inizio dell’imponente offensiva lanciata dall’Isgs nel nord-est del Mali - che ha causato almeno mille morti dal marzo 2022 - Tidermene è solo l’ultimo di una serie di centri abitati conquistati dai miliziani dell’Isis dopo Tamalat, Anderamboukane, Inekar e Talataye.
Nell’ultimo anno la popolazione della città di Menaka, a oggi isolata e stata privata della sua ultima via di accesso, è triplicata a causa dell’afflusso di sfollati fuggiti dagli attacchi delle città vicine. Secondo i dati delle Nazioni Unite la popolazione di Ménaka è così passata da 11 mila a più di 30 mila abitanti che vivono in condizioni a dir poco precarie. A Rfi ha parlato un dirigente comunitario di Ménaka: «È finita stiamo aspettando la fine del Ramadan, poi vedremo cosa vorrà fare la gente: combattere tutti o fare i bagagli», inoltre ha affermato che gli abitanti della città e, più in generale, della regione, «siano stati abbandonati al loro destino». L’Msa e il Gatia, i due gruppi armati che hanno firmato l'accordo di pace del 2015 e che da un anno sono in prima linea nel tentativo di proteggere i civili nella regione, non hanno ricevuto l'aiuto che si aspettavano da altri gruppi armati del Nord. Quanto ai caschi blu della missione Minusma e dei soldati maliani presenti a Ménaka, con un pugno di loro ausiliari russi, restano confinati in città. Evidente che queste forze siano in grado di difendere la città dalle centinaia di combattenti (più di mille secondo alcune stime) dal gruppo dello Stato Islamico. Nonostante i timori degli abitanti la missione Minusma ha rilasciato una nota dai toni rassicuranti: «Attualmente, la situazione nella città di Ménaka e nei suoi immediati dintorni rimane relativamente calma. Minusma e le forze di difesa e sicurezza del Mali stanno coordinando i loro sforzi per proteggere i civili».
Secondo alcuni analisti, l’Isgs almeno per il momento potrebbe astenersi dall’attaccare Ménaka in quanto avrebbe bisogno di molti uomini per la città e il loro mantenimento a lungo termine richiederebbe risorse importanti. Compiere rapidi attacchi e poi ritirarsi assicurandosi il controllo del settore sembra essere la strategia più probabile. Secondo un'altra fonte della sicurezza del nord del Mali che sta seguendo molto da vicino la situazione a RFI ha detto che «non ci sarà una battaglia per la città di Ménaka». Tutte rassicurazioni che non possono certo tranquillizzare gli abitanti di Ménaka che sanno molto bene di avere i giorni contati.
La Regione del Sahel nell'Africa sub-sahariana è ora l'epicentro del terrorismo in tutto il mondo

Secondo l'ultima edizione del Global Terrorism Index (Gti) la regione del Sahel nell'Africa sub-sahariana è ora l'epicentro del terrorismo in tutto il mondo, rappresentando quasi la metà (43%) del bilancio delle vittime a livello mondiale. Rispetto all'1% del totale globale nel 2007 gli incidenti nel Sahel sono aumentati di oltre il 2000% negli ultimi 16 anni. A partire da quest'anno rappresenta più morti per terrorismo rispetto all'Asia meridionale e al Medio Oriente e Nord Africa (Mena) messi insieme, con quest'ultima regione che ha registrato un calo del 32% quest'anno, la cifra più bassa dal 2013. Il rapporto, prodotto dall'Institute for Economics and Peace, utilizza dati provenienti da varie fonti tra cui Terrorism Tracker che studia le tendenze relative alle attività terroristiche in tutto il mondo. Il bilancio globale delle vittime causato da attacchi terroristici è diminuito del 9% lo scorso anno ed è ora inferiore del 38% rispetto al picco del 2015, con un totale del 2022 di 6.701 attacchi. Il numero di attacchi in tutto il mondo è diminuito del 28% a 3.955, e 121 dei 163 Paesi esaminati - circa tre quarti - non hanno registrato morti per terrorismo. Questo è il numero più alto di nazioni senza incidenti mortali dal 2007. Il Sahel è da alcuni anni è ritenuto la nuova arena delle operazioni jihadiste e ci sono stati almeno sei tentativi di colpo di Stato nella regione dal 2021, quattro dei quali hanno avuto successo. Questa instabilità politica, così come la correlazione tra coinvolgimento nazionale nella guerra e gravità degli attentati (sette volte più mortali che nei paesi pacifici), in qualche modo spiegano queste cifre, mentre la maggior parte dell'attività è concentrata nelle zone di confine, dove la portata del governo è meno estesa.
Anche tutti e 10 i paesi più colpiti dal terrorismo lo scorso anno sono stati coinvolti in conflitti armati e il 98% dei decessi totali è avvenuto in zone di guerra. Quattro di questi primi dieci si trovano nel Sahel, mentre la regione è diventata teatro di conflitti per procura tra Russia e Occidente. Il numero di attentati terroristici in Occidente sta diminuendo, ma le morti che ne derivano sono nuovamente aumentate dopo la diminuzione degli ultimi anni. Solo 40 attacchi sono stati registrati in Occidente lo scorso anno, eppure il numero di morti per quegli attacchi è quasi raddoppiato, da nove a diciannove, undici dei quali avvenuti negli Stati Uniti. Sebbene il Sahel sia un focolaio di violenze jihadiste e nonostante la continua influenza dello Stato islamico, l'ultimo rapporto Gti dimostra che il terrorismo esplicitamente motivato dalla religione è diminuito del 95% dal 2016.
Il Gti attribuisce la discesa nella violenza del Sahel a una serie di fattori, tra cui« governi deboli, polarizzazione etnica, la crescita dell'ideologia transnazionale salafita-islamica, instabilità politica e concorrenza geopolitica». La partenza delle truppe francesi dal Mali alla fine del 2022 dopo una campagna antiterrorismo durata otto anni, l'operazione Barkhane, ha portato a un'ondata di violenza contro i civili maliani. Del totale del Sahel , il 73% delle morti per terrorismo è avvenuto in Burkina Faso e in Mali lo scorso anno. Per tentare di fermare i jihadisti alcuni governi del Sahel (e non solo) hanno ingaggiato il Wagner Group, un gruppo mercenario sostenuto dal Cremlino che impiega regolarmente ex criminali. In Ucraina combattono spesso quando le truppe dell'esercito russo convenzionale fuggono dal campo di battaglia e sono noti per la loro brutalità e l’infamia delle loro azioni.
Fondato nel 2014 da Yevgeny Prigozhin, un fedelissimo del presidente russo Vladimir Putin, Wagner è stato creato per supportare l'incursione iniziale della Russia in Ucraina nove anni fa. Da allora, si è evoluto in un'oscura rete di mercenari schierati in tutto il mondo. Ciò include un'impronta crescente in Africa, dove Wagner ha dispiegato forze nella Repubblica Centrafricana, Libia, Mali, Mozambico e altrove senza cogliere risultati nella lotta ai jihadisti che continuano a colpire anche la popolazione civile. Nonostante questo anche il Burkina Faso potrebbe presto ingaggiare il gruppo Wagner. Un segnale è stato che le autorità del Burkina Faso hanno richiesto a febbraio quasi 30 milioni di dollari in oro dalle sue miniere da consegnare per «necessità pubblica». Non è chiaro per cosa sia stato utilizzato l'oro, ma alcuni sospettano che l'oro potrebbe essere utilizzato per assumere i mercenari russi.
Continua a leggereRiduci
Dallo scorso 11 aprile la cittadina di Tidermene, nel Nord-Est del Mali, vicino al confine con il Niger, è sotto il controllo dello Stato islamico (Isgs), mentre la città di Ménaka, capoluogo dell’omonimo circondario situato nella regione di Gao, è attualmente accerchiata dai jihadisti dell’Isis.Secondo l'ultima edizione del Global Terrorism Index (Gti) la regione del Sahel nell'Africa sub-sahariana è ora l'epicentro del terrorismo in tutto il mondo, rappresentando quasi la metà (43%) del bilancio delle vittime a livello mondiale.Lo speciale contiene due articoli.Tutto è avvenuto senza combattimenti visto che i loro rivali del Gruppo di sostegno all’Islam e ai musulmani (Jnim), legato ad al-Qaeda non si sono opposti in quanto soverchiati in termini di mezzi e di uomini. Questo ramo locale del gruppo dello Stato islamico è stato inizialmente autoproclamato dopo uno scisma all'interno del Movimento per l'Unicità e il Jihad in Africa Occidentale (Mujao) un gruppo terrorista islamista a seguito di una scissione dal gruppo al-Qaeda nel Maghreb Islamico (Aqim), con l'obiettivo di portare il jihad anche nei territori dell'Africa nord-occidentale. Mujao si è separato da Aqim nell'ottobre 2011, a seguito delle accuse secondo cui Aqim era troppo dominato dai comandanti arabi e delle critiche ai suoi metodi di jihad, ma in realtà lo scontro avvenne per questioni di influenza territoriale e denaro. Il leader del gruppo, l'ex comandante del Mujao, Adnan Abu Walid al-Sahraoui (1973-2021), ha dichiarato la sua adesione allo Stato islamico nel maggio 2015, sebbene l'Isis abbia riconosciuto il giuramento di fedeltà (bay'a) al suo leader Abubakr al-Baghdadi soltanto nell'ottobre 2016.L'Isgs ha iniziato a ricevere un'attenzione regolare dai media ufficiali dell'Isis nella primavera del 2019. Il gruppo ha operato prima nel Niger occidentale e nel Ménaka, nel Mali nord-orientale, conducendo anche diversi attacchi in Burkina Faso, vicino al confine con il Mali, e un attacco a un'alta prigione di sicurezza vicino alla capitale del Niger, Niamey, nell'ottobre 2016. I combattenti dell'Isgs hanno combattuto anche contro i jihadisti di al-Mourabitoun fedeli a Mokhtar Belmokhtar, ma successivamente i due gruppi hanno evitato gli scontri tanto che a volte, l'Isgs ha operato in prossimità e forse anche in cooperazione con i combattenti del Jnim. Secondo gli osservatori locali, fonti regionali e internazionali, l’Isgs ha attirato molti dei suoi combattenti tra quelli originari delle aree in cui opera, in particolare combattenti nigerini Peul e Dawsahak le cui origini sono a Ménaka e nella città maliana di Gao. I combattenti dell’Isgs sono stati responsabili dell'attacco mortale che ha ucciso quattro soldati americani e cinque soldati nigerini a Tongo Tongo nella provincia di Tillabéry, nonché di dozzine di attacchi contro truppe nigeriane, maliane e burkinabé, milizie come il Mouvement pour le Salut de l'Azawad (Msa) e Groupe d'Autodéfense Tuareg Imghad et Alliés (Gatia). Negli ultimi mesi ha ampliato le sue operazioni territoriali lungo il confine tra Niger e Burkina Faso, nonché nella regione di Gourma a sud di Timbuktu in Mali. A poco più di un anno dall’inizio dell’imponente offensiva lanciata dall’Isgs nel nord-est del Mali - che ha causato almeno mille morti dal marzo 2022 - Tidermene è solo l’ultimo di una serie di centri abitati conquistati dai miliziani dell’Isis dopo Tamalat, Anderamboukane, Inekar e Talataye.Nell’ultimo anno la popolazione della città di Menaka, a oggi isolata e stata privata della sua ultima via di accesso, è triplicata a causa dell’afflusso di sfollati fuggiti dagli attacchi delle città vicine. Secondo i dati delle Nazioni Unite la popolazione di Ménaka è così passata da 11 mila a più di 30 mila abitanti che vivono in condizioni a dir poco precarie. A Rfi ha parlato un dirigente comunitario di Ménaka: «È finita stiamo aspettando la fine del Ramadan, poi vedremo cosa vorrà fare la gente: combattere tutti o fare i bagagli», inoltre ha affermato che gli abitanti della città e, più in generale, della regione, «siano stati abbandonati al loro destino». L’Msa e il Gatia, i due gruppi armati che hanno firmato l'accordo di pace del 2015 e che da un anno sono in prima linea nel tentativo di proteggere i civili nella regione, non hanno ricevuto l'aiuto che si aspettavano da altri gruppi armati del Nord. Quanto ai caschi blu della missione Minusma e dei soldati maliani presenti a Ménaka, con un pugno di loro ausiliari russi, restano confinati in città. Evidente che queste forze siano in grado di difendere la città dalle centinaia di combattenti (più di mille secondo alcune stime) dal gruppo dello Stato Islamico. Nonostante i timori degli abitanti la missione Minusma ha rilasciato una nota dai toni rassicuranti: «Attualmente, la situazione nella città di Ménaka e nei suoi immediati dintorni rimane relativamente calma. Minusma e le forze di difesa e sicurezza del Mali stanno coordinando i loro sforzi per proteggere i civili».Secondo alcuni analisti, l’Isgs almeno per il momento potrebbe astenersi dall’attaccare Ménaka in quanto avrebbe bisogno di molti uomini per la città e il loro mantenimento a lungo termine richiederebbe risorse importanti. Compiere rapidi attacchi e poi ritirarsi assicurandosi il controllo del settore sembra essere la strategia più probabile. Secondo un'altra fonte della sicurezza del nord del Mali che sta seguendo molto da vicino la situazione a RFI ha detto che «non ci sarà una battaglia per la città di Ménaka». Tutte rassicurazioni che non possono certo tranquillizzare gli abitanti di Ménaka che sanno molto bene di avere i giorni contati.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="True" data-href="https://www.laverita.info/stato-islamico-rinasce-mali-2659879277.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="la-regione-del-sahel-nell-africa-sub-sahariana-e-ora-l-epicentro-del-terrorismo-in-tutto-il-mondo" data-post-id="2659879277" data-published-at="1681905688" data-use-pagination="False"> La Regione del Sahel nell'Africa sub-sahariana è ora l'epicentro del terrorismo in tutto il mondo Secondo l'ultima edizione del Global Terrorism Index (Gti) la regione del Sahel nell'Africa sub-sahariana è ora l'epicentro del terrorismo in tutto il mondo, rappresentando quasi la metà (43%) del bilancio delle vittime a livello mondiale. Rispetto all'1% del totale globale nel 2007 gli incidenti nel Sahel sono aumentati di oltre il 2000% negli ultimi 16 anni. A partire da quest'anno rappresenta più morti per terrorismo rispetto all'Asia meridionale e al Medio Oriente e Nord Africa (Mena) messi insieme, con quest'ultima regione che ha registrato un calo del 32% quest'anno, la cifra più bassa dal 2013. Il rapporto, prodotto dall'Institute for Economics and Peace, utilizza dati provenienti da varie fonti tra cui Terrorism Tracker che studia le tendenze relative alle attività terroristiche in tutto il mondo. Il bilancio globale delle vittime causato da attacchi terroristici è diminuito del 9% lo scorso anno ed è ora inferiore del 38% rispetto al picco del 2015, con un totale del 2022 di 6.701 attacchi. Il numero di attacchi in tutto il mondo è diminuito del 28% a 3.955, e 121 dei 163 Paesi esaminati - circa tre quarti - non hanno registrato morti per terrorismo. Questo è il numero più alto di nazioni senza incidenti mortali dal 2007. Il Sahel è da alcuni anni è ritenuto la nuova arena delle operazioni jihadiste e ci sono stati almeno sei tentativi di colpo di Stato nella regione dal 2021, quattro dei quali hanno avuto successo. Questa instabilità politica, così come la correlazione tra coinvolgimento nazionale nella guerra e gravità degli attentati (sette volte più mortali che nei paesi pacifici), in qualche modo spiegano queste cifre, mentre la maggior parte dell'attività è concentrata nelle zone di confine, dove la portata del governo è meno estesa.Anche tutti e 10 i paesi più colpiti dal terrorismo lo scorso anno sono stati coinvolti in conflitti armati e il 98% dei decessi totali è avvenuto in zone di guerra. Quattro di questi primi dieci si trovano nel Sahel, mentre la regione è diventata teatro di conflitti per procura tra Russia e Occidente. Il numero di attentati terroristici in Occidente sta diminuendo, ma le morti che ne derivano sono nuovamente aumentate dopo la diminuzione degli ultimi anni. Solo 40 attacchi sono stati registrati in Occidente lo scorso anno, eppure il numero di morti per quegli attacchi è quasi raddoppiato, da nove a diciannove, undici dei quali avvenuti negli Stati Uniti. Sebbene il Sahel sia un focolaio di violenze jihadiste e nonostante la continua influenza dello Stato islamico, l'ultimo rapporto Gti dimostra che il terrorismo esplicitamente motivato dalla religione è diminuito del 95% dal 2016.Il Gti attribuisce la discesa nella violenza del Sahel a una serie di fattori, tra cui« governi deboli, polarizzazione etnica, la crescita dell'ideologia transnazionale salafita-islamica, instabilità politica e concorrenza geopolitica». La partenza delle truppe francesi dal Mali alla fine del 2022 dopo una campagna antiterrorismo durata otto anni, l'operazione Barkhane, ha portato a un'ondata di violenza contro i civili maliani. Del totale del Sahel , il 73% delle morti per terrorismo è avvenuto in Burkina Faso e in Mali lo scorso anno. Per tentare di fermare i jihadisti alcuni governi del Sahel (e non solo) hanno ingaggiato il Wagner Group, un gruppo mercenario sostenuto dal Cremlino che impiega regolarmente ex criminali. In Ucraina combattono spesso quando le truppe dell'esercito russo convenzionale fuggono dal campo di battaglia e sono noti per la loro brutalità e l’infamia delle loro azioni.Fondato nel 2014 da Yevgeny Prigozhin, un fedelissimo del presidente russo Vladimir Putin, Wagner è stato creato per supportare l'incursione iniziale della Russia in Ucraina nove anni fa. Da allora, si è evoluto in un'oscura rete di mercenari schierati in tutto il mondo. Ciò include un'impronta crescente in Africa, dove Wagner ha dispiegato forze nella Repubblica Centrafricana, Libia, Mali, Mozambico e altrove senza cogliere risultati nella lotta ai jihadisti che continuano a colpire anche la popolazione civile. Nonostante questo anche il Burkina Faso potrebbe presto ingaggiare il gruppo Wagner. Un segnale è stato che le autorità del Burkina Faso hanno richiesto a febbraio quasi 30 milioni di dollari in oro dalle sue miniere da consegnare per «necessità pubblica». Non è chiaro per cosa sia stato utilizzato l'oro, ma alcuni sospettano che l'oro potrebbe essere utilizzato per assumere i mercenari russi.
Il motore è un modello di ricavi sempre più orientato ai servizi: «La crescita facile basata sulla forbice degli interessi sta inevitabilmente assottigliandosi, con il margine di interesse aggregato in calo del 5,6% nei primi nove mesi del 2025», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert Scf. «Il settore ha saputo, però, compensare questa dinamica spingendo sul secondo pilastro dei ricavi, le commissioni nette, che sono cresciute del 5,9% nello stesso periodo, grazie soprattutto alla focalizzazione su gestione patrimoniale e bancassurance».
La crescita delle commissioni riflette un’evoluzione strutturale: le banche agiscono sempre più come collocatori di prodotti finanziari e assicurativi. «Questo modello, se da un lato genera profitti elevati e stabili per gli istituti con minori vincoli di capitale e minor rischio di credito rispetto ai prestiti, dall’altro espone una criticità strutturale per i risparmiatori», dice Gaziano. «L’Italia è, infatti, il mercato in Europa in cui il risparmio gestito è il più caro», ricorda. Ne deriva una redditività meno dipendente dal credito, ma con un tema di costo per i clienti. La «corsa turbo» agli utili ha riacceso il dibattito sugli extra-profitti. In Italia, la legge di bilancio chiede un contributo al settore con formule che evitano una nuova tassa esplicita.
«È un dato di fatto che il governo italiano stia cercando una soluzione morbida per incassare liquidità da un settore in forte attivo, mentre in altri Paesi europei si discute apertamente di tassare questi extra-profitti in modo più deciso», dice l’esperto. «Ad esempio, in Polonia il governo ha recentemente aumentato le tasse sulle banche per finanziare le spese per la Difesa. È curioso notare come, alla fine, i governi preferiscano accontentarsi di un contributo una tantum da parte delle banche, piuttosto che intervenire sulle dinamiche che generano questi profitti che ricadono direttamente sui risparmiatori».
Come spiega David Benamou, responsabile investimenti di Axiom alternative investments, «le banche italiane rimangono interessanti grazie ai solidi coefficienti patrimoniali (Cet1 medio superiore al 15%), alle generose distribuzioni agli azionisti (riacquisti di azioni proprie e dividendi che offrono rendimenti del 9-10%) e al consolidamento in corso che rafforza i gruppi leader, Unicredit e Intesa Sanpaolo. Il settore in Italia potrebbe sovraperformare il mercato azionario in generale se le valutazioni rimarranno basse. Non mancano, tuttavia, rischi come un moderato aumento dei crediti in sofferenza o gli choc geopolitici, che smorzano l’ottimismo».
Continua a leggereRiduci
Getty Images
Il 29 luglio del 2024, infatti, Axel Rudakubana, cittadino britannico con genitori di origini senegalesi, entra in una scuola di danza a Southport con un coltello in mano. Inizia a colpire chiunque gli si pari davanti, principalmente bambine, che provano a difendersi come possono. Invano, però. Rudakubana vuole il sangue. Lo avrà. Sono 12 minuti che durano un’eternità e che provocheranno una carneficina. Rudakubana uccide tre bambine: Alice da Silva Aguiar, di nove anni; Bebe King, di sei ed Elsie Dot Stancombe, di sette. Altri dieci bimbi rimarranno feriti, alcuni in modo molto grave.
Nel Regno Unito cresce lo sdegno per questo ennesimo fatto di sangue che ha come protagonista un uomo di colore. Anche Michael dice la sua con un video di 12 minuti su Facebook. Viene accusato di incitamento all’odio razziale ma, quando va davanti al giudice, viene scagionato in una manciata di minuti. Non ha fatto nulla. Era frustrato, come gran parte dei britannici. Ha espresso la sua opinione. Tutto è bene quel che finisce bene, quindi. O forse no.
Due settimane dopo, infatti, il consiglio di tutela locale, che per legge è responsabile della protezione dei bambini vulnerabili, gli comunica che non è più idoneo a lavorare con i minori. Una decisione che lascia allibiti molti, visto che solitamente punizioni simili vengono riservate ai pedofili. Michael non lo è, ovviamente, ma non può comunque allenare la squadra della figlia. Di fronte a questa decisione, il veterano prova un senso di vergogna. Decide di parlare perché teme che la sua comunità lo consideri un pedofilo quando non lo è. In pochi lo ascoltano, però. Quasi nessuno. Il suo non è un caso isolato. Solamente l’anno scorso, infatti, oltre 12.000 britannici sono stati monitorati per i loro commenti in rete. A finire nel mirino sono soprattutto coloro che hanno idee di destra o che criticano l’immigrazione. Anche perché le istituzioni del Regno Unito cercano di tenere nascoste le notizie che riguardano le violenze dei richiedenti asilo. Qualche giorno fa, per esempio, una studentessa è stata violentata da due afghani, Jan Jahanzeb e Israr Niazal. I due le si avvicinano per portarla in un luogo appartato. La ragazza capisce cosa sta accadendo. Prova a fuggire ma non riesce. Accende la videocamera e registra tutto. La si sente pietosamente dire «mi stuprerai?» e gridare disperatamente aiuto. Che però non arriva. Il video è terribile, tanto che uno degli avvocati degli stupratori ha detto che, se dovesse essere pubblicato, il Regno Unito verrebbe attraversato da un’ondata di proteste. Che già ci sono. Perché l’immigrazione incontrollata sull’isola (e non solo) sta provocando enormi sofferenze alla popolazione locale. Nel Regno, certo. Ma anche da noi. Del resto è stato il questore di Milano a notare come gli stranieri compiano ormai l’80% dei reati predatori. Una vera e propria emergenza che, per motivi ideologici, si finge di non vedere.
Continua a leggereRiduci
Una fotografia limpida e concreta di imprese, giustizia, legalità e creatività come parti di un’unica storia: quella di un Paese, il nostro, che ogni giorno prova a crescere, migliorarsi e ritrovare fiducia.
Un percorso approfondito in cui ci guida la visione del sottosegretario alle Imprese e al Made in Italy Massimo Bitonci, che ricostruisce lo stato del nostro sistema produttivo e il valore strategico del made in Italy, mettendo in evidenza il ruolo della moda e dell’artigianato come forza identitaria ed economica. Un contributo arricchito dall’esperienza diretta di Giulio Felloni, presidente di Federazione Moda Italia-Confcommercio, e dal suo quadro autentico del rapporto tra imprese e consumatori.
Imprese in cui la creatività italiana emerge, anche attraverso parole diverse ma complementari: quelle di Sara Cavazza Facchini, creative director di Genny, che condivide con il lettore la sua filosofia del valore dell’eleganza italiana come linguaggio culturale e non solo estetico; quelle di Laura Manelli, Ceo di Pinko, che racconta la sua visione di una moda motore di innovazione, competenze e occupazione. A completare questo quadro, la giornalista Mariella Milani approfondisce il cambiamento profondo del fashion system, ponendo l’accento sul rapporto tra brand, qualità e responsabilità sociale. Il tema di responsabilità sociale viene poi ripreso e approfondito, attraverso la chiave della legalità e della trasparenza, dal presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione Giuseppe Busia, che vede nella lotta alla corruzione la condizione imprescindibile per la competitività del Paese: norme più semplici, controlli più efficaci e un’amministrazione capace di meritarsi la fiducia di cittadini e aziende. Una prospettiva che si collega alla voce del presidente nazionale di Confartigianato Marco Granelli, che denuncia la crescente vulnerabilità digitale delle imprese italiane e l’urgenza di strumenti condivisi per contrastare truffe, attacchi informatici e forme sempre nuove di criminalità economica.
In questo contesto si introduce una puntuale analisi della riforma della giustizia ad opera del sottosegretario Andrea Ostellari, che illustra i contenuti e le ragioni del progetto di separazione delle carriere, con l’obiettivo di spiegare in modo chiaro ciò che spesso, nel dibattito pubblico, resta semplificato. Il suo intervento si intreccia con il punto di vista del presidente dell’Unione Camere Penali Italiane Francesco Petrelli, che sottolinea il valore delle garanzie e il ruolo dell’avvocatura in un sistema equilibrato; e con quello del penalista Gian Domenico Caiazza, presidente del Comitato «Sì Separa», che richiama l’esigenza di una magistratura indipendente da correnti e condizionamenti. Questa narrazione attenta si arricchisce con le riflessioni del penalista Raffaele Della Valle, che porta nel dibattito l’esperienza di una vita professionale segnata da casi simbolici, e con la voce dell’ex magistrato Antonio Di Pietro, che offre una prospettiva insolita e diretta sui rapporti interni alla magistratura e sul funzionamento del sistema giudiziario.
A chiudere l’approfondimento è il giornalista Fabio Amendolara, che indaga il caso Garlasco e il cosiddetto «sistema Pavia», mostrando come una vicenda giudiziaria complessa possa diventare uno specchio delle fragilità che la riforma tenta oggi di correggere. Una coralità sincera e documentata che invita a guardare l’Italia con più attenzione, con più consapevolezza, e con la certezza che il merito va riconosciuto e difeso, in quanto unica chiave concreta per rendere migliore il Paese. Comprenderlo oggi rappresenta un'opportunità in più per costruire il domani.
Per scaricare il numero di «Osservatorio sul Merito» basta cliccare sul link qui sotto.
Merito-Dicembre-2025.pdf
Continua a leggereRiduci