Gli Usa di Trump i più colpiti dal coronavirus. E in Florida alcuni italiani puntano il dito contro la Disney
- Il Covid 19 sta colpendo in modo particolarmente duro gli Stati Uniti. L'area maggiormente martoriata continua a rivelarsi lo Stato di New York, ma situazioni particolarmente complesse si registrano anche in Michigan, New Jersey e California.
- Cinque luoghi da visitare virtualmente per scoprire la natura statunitense. Dall'Oregon alle Hawaii, alcuni dei luoghi più belli degli Usa da vedere dal divano di casa.
- L'odissea dei lavoratori italiani a Walt Disney World impossibilitati a tornare a casa era davvero tale? Alcuni dei loro colleghi ci raccontano che non è andata proprio così è che l'azienda di Topolino ha tutelato i suoi dipendenti fino all'ultimo minuto.
Lo speciale contiene tre articoli, video e gallery fotografiche.
Il coronavirus sta colpendo in modo particolarmente duro gli Stati Uniti. Secondo la Johns Hopkins University, il Paese è ormai da tempo al primo posto per numero di contagi, con quasi un milione di casi e oltre 54.000 decessi. L'area maggiormente martoriata continua a rivelarsi lo Stato di New York, ma situazioni particolarmente complesse si registrano anche in Michigan, New Jersey e California. Il problema non è poi soltanto sanitario. La pandemia in corso sta infatti determinando degli effetti disastrosi anche dal punto di vista economico. Pochi giorni fa, Reuters ha riportato che, dalla metà di marzo ad oggi, oltre 26 milioni di lavoratori americani abbiano fatto richiesta di sussidi per la disoccupazione.
Questa crisi è quindi inevitabilmente entrata a gamba tesa nell'agone politico statunitense. Se – soprattutto a cavallo tra febbraio e marzo – aveva effettivamente minimizzato la situazione, con il passare del tempo Donald Trump ha scelto di imboccare una strada decisamente keynesiana, nel tentativo di contrastare gli effetti economici recessivi del morbo. Ricordiamo che, finora, il Congresso – su forte input della Casa Bianca – abbia approvato con maggioranze bipartisan quattro pacchetti di aiuti, per un totale di quasi 3.000 miliardi di dollari. Una cifra senza precedenti nella storia americana: basti ricordare che, per salvare le banche dal fallimento ai tempi di George W. Bush nel 2008, furono usati 700 miliardi, mentre – sotto Barack Obama nel 2009 – le erogazioni pubbliche per arginare la Grande Recessione superarono di poco gli 800 miliardi. In questo senso, tali stanziamenti non soltanto certificano la linea keynesiana del presidente americano ma, nei fatti, anche una sorta di convergenza politica tra repubblicani e democratici nel tentativo di fronteggiare l'attuale crisi economica. Nonostante Trump venga sovente definito come un presidente “divisivo", in realtà asinello ed elefantino – pur trattando in modo serrato – hanno strettamente collaborato per approvare questi ingenti pacchetti di aiuti, anche grazie alla regìa della stessa Casa Bianca. Inoltre, al di là della collaborazione con il Congresso, Trump si è mosso anche autonomamente: invocando una legge di guerra come il Defense Production Act, ha infatti potenziato la produzione di materiale sanitario (dalle mascherine ai respiratori).
Negli scorsi giorni, si sono riscontrate poi delle tensioni tra il presidente e alcuni governatori sulla questione della riapertura delle attività economiche. È noto che la Casa Bianca vorrebbe spingere per accelerare i tempi e non ha mai nascosto di auspicare una ripresa già per il mese di maggio. Una linea che svariati Stati considerano invece troppo avventata. Ne è sorto uno scontro istituzionale tra governo federale e singoli Stati su chi avesse l'autorità di decidere il da farsi: scontro tuttavia fondamentalmente placatosi con una sorta di compromesso. Trump ha infatti stabilito che Washington fornirà delle linee guida generali con una serie di fasi per la riapertura, ma che – nel concreto – dovranno essere i singoli governatori a decidere caso per caso, in base alla situazione sul proprio territorio. In tutto questo, c'è anche da sottolineare che, nonostante voglia accelerare i tempi, non si debba ritenere che il presidente stia auspicando una riapertura scriteriata. Prova ne è il fatto che, qualche giorno fa, Trump ha espresso disaccordo con il governatore repubblicano della Georgia, Brian Kemp, che ha già avviato le operazioni per la ripartenza economica.
Uno degli aspetti che probabilmente sarà destinato a rivestire una fondamentale importanza sul fronte della campagna elettorale per le presidenziali di novembre è costituito dall'accordo commerciale tra Stati Uniti e Cina. Lo scorso gennaio, le due nazioni siglarono infatti un'intesa parziale che avrebbe dovuto preludere a un progressivo allentamento della guerra dei dazi. La situazione oggi è tuttavia drasticamente mutata, in particolare a causa delle tensioni geopolitiche che si registrano tra Washington e Pechino sulle responsabilità della pandemia. Per Trump si tratta di un nodo fondamentale. Da una parte, il presidente americano ha sempre puntato a utilizzare l'accordo commerciale con la Cina come un successo della propria presidenza: un successo, ovviamente, da rivendersi in campagna elettorale. Dall'altra, Trump deve tuttavia tener conto di due fattori: la crescente influenza dei falchi anticinesi nel Partito Repubblicano e – forse soprattutto – l'aumento di un sentimento avverso a Pechino da parte dell'elettorato americano. Secondo un recente sondaggio del Pew Research Center, circa il 62% degli statunitensi nutre oggi ostilità nei confronti della Repubblica Popolare. Un dato che il presidente non può certo ignorare in vista delle elezioni novembrine. Trump, che per il momento sulla questione ha preferito barcamenarsi tra posizioni divergenti, dovrà quindi presto scegliere quale linea seguire: o la via tradizionale che pone l'enfasi sui successi commerciali oppure l'approccio battagliero nei confronti della Cina, sottolineando magari i collegamenti politici tra Pechino e il suo probabile avversario democratico di novembre, Joe Biden.
E proprio Biden sta ovviamente cercando di approfittarne. L'ex vicepresidente sta infatti accusando Trump di essere stato troppo morbido con la Cina, soprattutto tra febbraio e marzo. Un'argomentazione che, se in parte ha una propria fondatezza, dall'altra può rivelarsi un'arma a doppio taglio, visto che – come accennato – l'ex vicepresidente ha una storia di profonda convergenza con la Repubblica Popolare. Al momento, le stesse rilevazioni sondaggistiche sembrano caratterizzate da una certa volatilità. Se tra marzo e aprile Trump riscuoteva forte apprezzamento per la propria gestione della crisi pandemica, negli ultimi dieci giorni la situazione per lui è peggiorata. Pur non essendosi registrato un crollo, il presidente sta comunque riscontrando una certa fatica e dovrà riuscire a ribaltare presto la situazione, se vuole riconquistare la Casa Bianca a novembre. E' esattamente in questo senso che è per lui impellente scegliere velocemente quale strategia adottare in campagna elettorale, onde evitare di perire in mezzo al guado. Sul fronte opposto, Biden non può comunque dormire sonni troppo tranquilli. E' vero che svariate rilevazioni lo danno attualmente in vantaggio in alcuni Stati chiave. Va tuttavia sottolineato che siamo ancora ad aprile. E, soprattutto, che anche l'ex vicepresidente non abbia ancora una linea così chiara dal punto di vista della strategia elettorale. I suoi consiglieri sono infatti spaccati su questo fronte, tra chi lo vorrebbe spingere a una maggiore incisività e chi auspica mantenga invece il suo attuale basso profilo. Ora, se è vero che il basso profilo lo rende meno esposto, è altrettanto vero che questo approccio ha gettato da oltre un mese Biden in un cono d'ombra: una situazione che, a circa sei mesi dalle elezioni, potrebbe rivelarsi problematica.
Stefano Graziosi
Cinque luoghi da visitare virtualmente per scoprire la natura statunitense
Nel giro di poche settimane i termini autoisolamento e quarantena sono diventati parole d'ordine, dando definizione alla nuova realtà di molte persone: stare a casa. Gli happy hour di Zoom hanno sostituito gli aperitivi dopo il lavoro e i lavori di casa, una volta trascurati, stanno finalmente trovando spazio nelle nostre vite.
Ma dopo quasi due mesi di quarantena, per molti la propria casa inizia a sembrare più una cella e meno un rifugio. La voglia di partire aumenta, esponenzialmente, ed è per questo che si rende necessario escogitare una vacanza. Virtuale. Secondo Psychology Today, infatti, «studi scientifici suggeriscono che la visione anche di un'immagine di un albero o di un percorso trail nella foresta rafforza la divisione parasimpatica del sistema nervoso centrale che induce naturalmente la calma». E nel mondo di oggi, un ulteriore senso di calma è essenziale.
Abbiamo selezionato per voi cinque per corsi negli Stati Uniti, per fuggire dalla routine quotidiana. Potrete godervi la vista dalla vostra cyclette o dal tapis roulant di casa, oppure rilassarvi sul vostro divano e lasciarvi trasportare sulle spiagge hawaiane o tra i canyon arancioni che tanto sognate.
- Oregon, Indian beach trail
Questa escursione virtuale vi porta lungo la frastagliata costa dell'Oregon in una giornata di sole perfetto, mostrandovi una vista mozzafiato sull'oceano, spiagge rocciose e una foresta verde e lussureggiante. Il famoso sentiero attraversa l'Ecola State Park, offre panorami mozzafiato ad ogni passo. - Arizona, Cascate Havasu
Per entrare nelle terre tribali degli Havasupai, dove si trovano le splendide cascate Havasu con le loro acque verde turchese, è necessaria una prenotazione che va effettuata con largo anticipo. Situato nel Grand Canyon, questo tour virtuale si snoda tra le mesas, portandovi attraverso lo splendido deserto di roccia rossa in prossimità delle potenti cascate. - Utah, Bryce Canyon
Per un completo cambio di scenario, dirigetevi verso le rocce rosse dello Utah, dove potrete virtualmente scivolare attraverso stretti canyon e percorrere sentieri in alto deserto. La vista diventa più bella solo quando ci si addentra nelle zone boscose del sentiero. Qui la roccia rossa e lo sterrato si stagliano contro l'azzurro del cielo e il verde degli alberi. - Washington, Hoh Rain Forest
Gli alberi ricoperti di muschio e il fogliame verde neon visti lungo questo sentiero sono così vibranti che sembra di camminare su un altro pianeta. Questo angolo di natura è probabilmente altrettanto sorprendente in questa esperienza di escursione virtuale in risoluzione 4K quanto lo è nella vita reale. - Hawaii, Wailea Beach Path
Con il suo clima tropicale per tutto l'anno e le sue spiagge infinite, le Hawaii sono una delle mete preferite da molti americani. Ma grazie a questa esperienza virtuale, non è necessario volare oltre l'oceano per farsi un'idea delle isole. Il tour vi porta dall'Andaz Maui a Wailea Resort al Fairmont Kea Lani e lungo il Wailea Beach Path.
Marianna Baroli
L'odissea dei lavoratori italiani a Walt Disney World, assistiti fino all'imbarco in aeroporto
Stando al racconto di circa 200 italiani impiegati a Walt Disney World, il parco di divertimenti situato a Orlando, in Florida, Topolino sarebbe un boss cattivissimo.
In piena allerta coronavirus, quando l'Italia - il loro Paese natio e dove, si presume, risiedano parenti e amici - soffriva per centinaia di morti ogni giorno, in Florida la vita continuava allegramente. Una felicità momentanea, perché il 16 marzo il Covid 19 apre gli occhi degli Stati Uniti. Il parco e la Disney, chiudono i cancelli. «Per un paio di settimane» annunciano. Un blocco momentaneo, insomma. Dopotutto, anche negli Usa, si era ancora in quella fase in cui molti - anzi troppi - pensavano che il coronavirus non fosse altro che «un'influenza un po' più forte». La tesi, viene smentita quasi immediatamente: il Covid uccide. E tanto. Si muove rapidamente. Non si sa come. I parchi, che ospitano milioni di persone ogni giorno, rimarranno chiusi. Fino a data da destinarsi.
A questo punto ecco come la storia dei famosi duecento italiani si divide in due filoni: quelli che prendono armi e bagagli, una mezza vita nell'assolata Orlando, imbustano orecchie e badge e partono immediatamente per l'Italia e quelli che, invece, preferiscono trattenersi ancora un po' e vedere cosa succede.
Peccato che, in questo secondo caso, l'idillio abbia vita davvero breve. Il sole, le piscine, le feste con gli amici da tutto il mondo, vengono presto rimpiazzate dalla paura di non poter tornare. Dal rimanere effettivamente senza lavoro, senza assicurazioni sanitarie e tutele da parte dell'azienda. Inizia quindi un via vai di messaggi, botta e risposta tra i manager e i cast member (così vengono chiamati i lavoratori Disney, ndr.). Ma a fronte di chi il viaggio se l'era pagato di tasca propria, rimaneva chi chiedeva tutele da parte del Governo italiano e un rimpatrio forzato a prezzi calmierati.
Katia Solinas è stata una delle prime italiane a rientrare in patria dopo l'annuncio della chiusura. «Davanti alle mie supposizioni e svariate realtà dei fatti, immaginavo che il parco non avrebbe riaperto a breve, sicuramente non in due settimane come la prima dichiarazione sosteneva» ci racconta Katia, impiegata nel parco Epcot al ristorante italiano Via Napoli «Quello che io ho visto con i miei occhi è che la mia compagnia, la "Delaware north - Patina group", ha fatto tutto il possibile per prendersi cura di noi, tutelarci e non farci sentire soli, garantendoci uno stipendio settimanale con il quale si poteva pagare l'affitto, l'assicurazione e il vitto. Mi sono sentita grata e sollevata per il trattamento che, purtroppo, non è stato invece riservato alle mie coinquiline internazionali (Messico, Norvegia, HK - con diversi datori di lavoro)». Ma non solo. Oltre a due buste paga anticipate, la compagnia, come ha dichiarato anche Gabriele Uberti, general manager di Patina, «durante la prima settimana ha preparato dei sacchetti con generi alimentari e li ha consegnati a tutti i ragazzi». Qualcosa di non scontato e confermato da molteplici italiani, come Katia, Italia, Alessandro, Antonio e Claudio tutti impiegati dal gruppo Patina tra il 2019 e il 2020.
Uno scenario ben diverso dall'odissea dell'essere senza soldi e tutele, di non trovare biglietti aerei e la richiesta di soccorso che i 200 italiani rimpatriati con l'aiuto di Neos e della Farnesina hanno raccontato a più e più riprese.
Nonostante ciò, «dopo giorni di lavoro intenso da parte dell'Ambasciata e della direzione di Delawarenorth e Disney» i duecento italiani spaventati dal coronavirus, riescono a ottenere un volo per rimpatriare. Ma l'aereo non è quello che si aspettavano. «I ragazzi chiedevano un volo Orlando-Repubblica Domenicana-Roma» spiega Gabriele Uberti «e I'Ambasciata decide di aiutarli aggiungendo un volo Roma-Milano. Il costo totale è di 960 euro incluso di tasse, 1 bagaglio nella stiva e a mano». A questo punto sembrerebbe aprirsi un nuovo scenario. Il volo aveva come data di partenza il 20 aprile, tre giorni dopo il limite massimo imposto dalla Disney per lasciare le casette dello staff. «La direzione di Delawarenorth chiede aiuto a Disney e insieme decidono di estendere la permanenza dei ragazzi senza alcuna spesa extra per loro fino al 20 di aprile» spiega Gabriele «con una sola condizione: i ragazzi verrano spostati tutti in un solo complesso di appartamenti in quanto moltissimi lavoratori Disney sono stati messi in cassa integrazione e alcuni complessi verranno chiusi».
La direzione di Delawarenorth decide di provvedere al trasporto dei ragazzi dagli appartamenti all'aeroporto in quanto non sarebbe facili trovare 70 taxi durante questo periodo di pandemia. Per accompagnare i ragazzi in aeroporto sono inoltre stati organizzati 5 bus sponsorizzati da Patina Restaurant Group – Delawarenorth. Insomma, una tutela complessiva, che ha accompagnato (come vedete nel video qui sopra) i giovani italiani davanti all'aereo pronti per essere imbarcati.
Un incubo? Chissà. Quel che è certo è che Katia, tornata in Italia in autonomia, dopo 14 giorni di quarantena forzata ha potuto riabbracciare la sua famiglia in tutta libertà. E come lei tanti degli altri ragazzi italiani che, in totale libertà, hanno acquistato un volo per il loro Paese e sono tornati nelle loro case. Senza problemi. Le loro storie sono disponibili sul nostro canale Instagram.






















