2022-07-03
Andrea Teofilatto: «Stampa e innovazione sono i segni distintivi di un capo Miss Bikini»
Il fondatore e oggi ceo del brand: «Le donne chiedono a un costume vestibilità perfetta e uno stile differente. E noi riusciamo a darglieli».Chi pensa che un costume da bagno siano cinquanta centimetri di stoffa (poco più o poco meno) sempre uguali, dove al massimo cambia la tinta, ha sbagliato tutto. Un costume lancia messaggi come se fossero scritti nella sabbia: piace alle donne che si piacciono e amano piacere, diventare uniche e distinguersi da tutte le altre. Se bisogna fare la scelta giusta, ti aiuta un mago del prodotto da spiaggia come Andrea Teofilatto, ceo e creatore di Miss Bikini, brand di origini romane (dove mantiene il quartier generale) ma che ha preso vita in Sardegna, a La Celvia, nell’esclusiva cornice di Porto Cervo. «Eravamo nel 1989, mia moglie Alessandra Piacentini, allora eravamo fidanzati, e io ci guardavamo intorno e non vedevamo costumi da bagno degni di questo nome», racconta Teofilatto. Da lì nasce l’idea: «Decisi di fare costumi da bagno». Decisione impegnativa.«Sì, se si pensa che a casa mia sono tutti professori universitari e si parla solo di cultura. Quindi, quando dissi che volevo fare costumi da bagno, fu abbastanza difficile».Come iniziò questa avventura?«Mi rivolsi a delle aziende in Italia, ma mi mi sentivo sempre rispondere di no perché troppo giovane, e decisi allora di andare in Brasile. Chiesi a mio padre un aiuto, che mi diede con la clausola della restituzione. Mi finanziò con un importo molto limitato, proprio per partire. Insomma fu molto complicato. Con mia moglie si faceva di tutto, dalle foto alla grande ricerca per capire dove poter produrre. Il Brasile fu il primo Paese che ci accolse e per 14 anni rimanemmo là, ma per vicende politiche, a un certo punto, fummo costretti a lasciare e a tornare in Italia». Che accadde poi?«Iniziammo a fare sfilate, in particolare alla Milano Fashion week e fu un trampolino di lancio. Avevamo testimonial importanti, in passerella anche Naomi Campbell che accettò perché conosceva il prodotto. E lanciammo Miss Bikini beach couture, ancora oggi l’essenza del brand, destinato alla donna che va al mare, ma anche al cocktail, all’evento. Era il 2008, dai kaftani agli abiti da sera da red carpet indossati da Catherine Zeta Jones a Cannes e Jo Champa agli Oscar. E usati nella vita privata da Eva Longoria, Misha Barton, Gwyneth Paltrow». Si pensa che Miss Bikini sia sinonimo di costumi ma c’è ben altro.«Ovviamente i costumi da bagno sono una realtà molto importante ma l’abbigliamento non è certo da meno e il nome Beach couture la dice lunga. Un nostro cliente ci disse che venivano usati per i matrimoni e a quel punto abbiamo creato tutta una collezione da cocktail e da sera. Tagli particolari, schiene nude, fianchi scoperti che riprendono molto i costumi da bagno nella costruzione». Chi disegna?Fino al 2001 eravamo solo mia moglie e io e facevamo tutto. Poi è entrata sua sorella Francesca, ora sono loro due che si occupano delle collezioni. I miei compiti vanno più verso la gestione dell’azienda. Loro sono pazzesche, Alessandra e Francesca Piacentini hanno un altro passo. E il lavoro di ricerca è inesauribile. Hanno creato un vero e proprio studio, dall’accessorio al tessuto. Nel tempo abbiamo lanciato la lycra lavorata, abbiamo anticipato il push up, partito su un costume in neoprene dove ci si chiedeva come alzare il seno. Sono sempre stati i piccoli passi che portavano a innovazioni determinanti. Miss Bikini vuole essere sempre qualcosa di differente rispetto al mercato». Cosa chiedono oggi le donne a un costume da bagno?«Vestibilità perfetta e uno stile differente. Oggi accettano tagli più piccoli. Senza dubbio una donna non vuole essere come un’altra, quindi una personalizzazione per non ritrovarsi con lo stesso modello sulla stessa spiaggia. Con Miss Bikini non si corre questo rischio avendo una varietà enorme di stampe e una grande scelta di forme. Una donna vuole la sua unicità e un prodotto come il nostro, una Rolls Royce, dove le rifiniture durano vent'anni, perché la qualità è al di sopra di tutto. Non è un caso che i nostri fornitori siano i tessutai più importanti di Como».Ci sono tantissimi brand di costumi da bagno, qual è il vostro valore aggiunto?«Ci si accorge subito che è un costume Miss Bikini non dall’etichetta ma dalla stampa e dall’innovazione del modello. Non solo. Abbiamo lanciato tre linee, la Total Black per le tinte unite, la Black and White e ora la Color, in ognuna si distinguono i nostri tessuti, i ricami, le applicazioni. Di grande pregio anche vestaglie, kimono, kaftani». Ma oltre ai modelli, Miss Bikini cosa offre?«Innanzi tutto voglio dire che è bello che nascano tante aziende perché il nostro è un Paese che sta sul mare e viene quasi normale fare costumi da bagno. Dovremmo, anzi, tornare a essere i più grandi produttori del mondo di costumi. Con le coste che abbiamo, ce lo meritiamo. La differenza di Miss Bikini sta nel rapporto che si crea non solo con il cliente finale, senza dubbio importantissimo, ma con il negoziante. Ogni suo problema è un nostro problema e se ha difficoltà di vendita perché, magari, nella sua zona ha sbagliato un modello, siamo pronti a fare un cambio sostituendo tutto».Vendite on line?«Abbiamo rifatto completamente il nostro sito, un grande investimento per cambiare e innovarlo. Esperienza molto positiva è stata quella con Victoria's Secret, brand da 70 milioni di follower che ha scelto noi, in Europa, per il lancio dello shopping online e che ha dato un risultato eccellente». Mercati di riferimento?«Puntiamo ad aperture di monomarca nei posti più importanti: in Spagna a Ibizia, a Palma di Maiorca, in Francia a Saint Tropez e a Cannes, Dubai, Milano, Roma e Riccione, Forte dei Marmi, Mykonos, Rio de Janeiro. I punti vendita sono fondamentali per presentare l’intera collezione. E abbiamo aperto una collaborazione con le navi da crociera Costa, siamo presenti sull’ultima nata con una nostra boutique. Nel futuro continue aperture. Il nuovo progetto è quello di aprire monomarca o corner presso i nostri clienti in modo da avere il punto focale all’interno del negozio e questo è già avvenuto con la trasformazione del punto vendita stesso. Alla Rinascente di Milano siamo l’unico corner di costumi da bagno».
Il presidente di Generalfinance e docente di Corporate Finance alla Bocconi Maurizio Dallocchio e il vicedirettore de la Verità Giuliano Zulin
Dopo l’intervista di Maurizio Belpietro al ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin, Zulin ha chiamato sul palco Dallocchio per discutere di quante risorse servono per la transizione energetica e di come la finanza possa effettivamente sostenerla.
Il tema centrale, secondo Dallocchio, è la relazione tra rendimento e impegno ambientale. «Se un green bond ha un rendimento leggermente inferiore a un titolo normale, con un differenziale di circa 5 punti base, è insensato - ha osservato - chi vuole investire nell’ambiente deve essere disposto a un sacrificio più elevato, ma serve chiarezza su dove vengono investiti i soldi». Attualmente i green bond rappresentano circa il 25% delle emissioni, un livello ritenuto ragionevole, ma è necessario collegare in modo trasparente raccolta e utilizzo dei fondi, con progetti misurabili e verificabili.
Dallocchio ha sottolineato anche il ruolo dei regolamenti europei. «L’Europa regolamenta duramente, ma finisce per ridurre la possibilità di azione. La rigidità rischia di scoraggiare le imprese dal quotarsi in borsa, con conseguenze negative sugli investimenti green. Oggi il 70% dei cda delle banche è dedicato alla compliance e questo non va bene». Un altro nodo evidenziato riguarda la concentrazione dei mercati: gli emittenti privati si riducono, mentre grandi attori privati dominano la borsa, rendendo difficile per le imprese italiane ed europee accedere al capitale. Secondo Dallocchio, le aziende dovranno abituarsi a un mercato dove le banche offrono meno credito diretto e più strumenti di trading, seguendo il modello americano.
Infine, il confronto tra politica monetaria europea e americana ha messo in luce contraddizioni: «La Fed dice di non occuparsi di clima, la Bce lo inserisce nei suoi valori, ma non abbiamo visto un reale miglioramento della finanza green in Europa. La sensibilità verso gli investimenti sostenibili resta più personale che istituzionale». Il panel ha così evidenziato come la finanza sostenibile possa sostenere la transizione energetica solo se accompagnata da chiarezza, regole coerenti e attenzione al ritorno degli investimenti, evitando mode o vincoli eccessivi che rischiano di paralizzare il mercato.
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Intervistato da Maurizio Belpietro, direttore de La Verità, il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica Gilberto Pichetto Fratin non usa giri di parole: «Io non sono contro l’elettrico, sono convinto che il motore elettrico abbia un futuro enorme. Ma una cosa è credere in una tecnologia, un’altra è trasformarla in un’imposizione politica. Questo ha fatto l’Unione Europea con la scadenza del 2035». Secondo Pichetto Fratin, il vincolo fissato a Bruxelles non nasce da ragioni scientifiche: «È come se io oggi decidessi quale sarà la tecnologia del 2040. È un metodo sovietico, come le tavole di Leontief: la politica stabilisce dall’alto cosa succederà, ignorando il mercato e i progressi scientifici. Nessuno mi toglie dalla testa che Timmermans abbia imposto alle case automobilistiche europee – che all’epoca erano d’accordo – il vincolo del 2035. Ma oggi quelle stesse industrie si accorgono che non è più sostenibile».
Il motore elettrico: futuro sì, imposizioni no. Il ministro tiene a ribadire di non avere pregiudizi sulla tecnologia: «Il motore elettrico è il più semplice da costruire, ha sette-otto volte meno pezzi, si rompe raramente. Pensi al motore del frigorifero: quello di mia madre ha funzionato cinquant’anni senza mai guastarsi. È una tecnologia solida. Ma da questo a imporre a tutti gli europei di pagare la riconversione industriale delle case automobilistiche, ce ne corre». Colonnine e paradosso dell’uovo e della gallina. Belpietro chiede conto del tema infrastrutturale: perché le gare per le colonnine sono andate deserte? Pichetto Fratin replica: «Perché non c’è il mercato. Non ci sono abbastanza auto elettriche in circolazione, quindi nessuno vuole investire. È il classico paradosso: prima l’uovo o la gallina?». Il ministro racconta di aver tentato in tutti i modi: «Ho fatto bandi, ho ripetuto le gare, ho perfino chiesto a Rfi di partecipare. Alla fine ho dovuto riconvertire i 597 milioni di fondi europei destinati alle colonnine, dopo una lunga contrattazione con Bruxelles. Ma anche qui si vede l’assurdità: l’Unione Europea ci impone obiettivi, senza considerare che il mercato non risponde».
Prezzi eccessivi e mercato bloccato. Un altro nodo è il costo delle auto elettriche: «In Germania servono due o tre annualità di stipendio di un operaio per comprarne una. In Italia ce ne vogliono cinque. Non è un caso che fino a poco tempo fa fossero auto da direttori di giornale o grandi manager. Questo non è un mercato libero, è un’imposizione politica». L’errore: imporre il motore, non le emissioni. Per Pichetto Fratin, l’errore dell’Ue è stato vincolare la tecnologia, non il risultato: «Se l’obiettivo era emissione zero nel 2035, bastava dirlo. Ci sono già veicoli diesel a emissioni zero, ci sono biocarburanti, c’è il biometano. Ma Bruxelles ha deciso che l’unica via è l’elettrico. È qui l’errore: hanno trasformato una direttiva ambientale in un regalo alle case automobilistiche, scaricando il costo sugli europei».
Bruxelles e la vicepresidente Ribera. Belpietro ricorda le dichiarazioni della vicepresidente Teresa Ribera. Il ministro risponde: «La Ribera è una che ascolta, devo riconoscerlo. Ma resta molto ideologica. E la Commissione Europea è un rassemblement, non un vero governo: dentro c’è di tutto. In Spagna, per esempio, la Ribera è stata protagonista delle scelte che hanno portato al blackout, puntando solo sulle rinnovabili senza un mix energetico». La critica alla Germania. Il ministro non risparmia critiche alla Germania: «Prima chiudono le centrali nucleari, poi riaprono quelle a carbone, la fonte più inquinante. È pura ipocrisia. Noi in Italia abbiamo smesso col carbone, ma a Berlino per compiacere i Verdi hanno abbandonato il nucleare e sono tornati indietro di decenni».
Obiettivi 2040: «Irrealistici per l’Italia». Si arriva quindi alla trattativa sul nuovo target europeo: riduzione del 90% delle emissioni entro il 2040. Pichetto Fratin è netto: «È un obiettivo irraggiungibile per l’Italia. I Paesi del Nord hanno territori sterminati e pochi abitanti. Noi abbiamo centomila borghi, due catene montuose, il mare, la Pianura Padana che soffre già l’inquinamento. Imporre le stesse regole a tutti è sbagliato. L’Italia rischia di non farcela e di pagare un prezzo altissimo». Il ruolo del gas e le prospettive future. Il ministro difende il gas come energia di transizione: «È il combustibile fossile meno dannoso, e ci accompagnerà per decenni. Prima di poterlo sostituire servirà il nucleare di quarta generazione, o magari la fusione. Nel frattempo il gas resta la garanzia di stabilità energetica». Conclusione: pragmatismo contro ideologia. Nelle battute finali dell’intervista con Belpietro, Pichetto Fratin riassume la sua posizione: «Ridurre le emissioni è un obiettivo giusto. Ma un conto è farlo con scienza e tecnologia, un altro è imporre scadenze irrealistiche che distruggono l’economia reale. Qui non si tratta di ambiente: si tratta di ideologia. E i costi ricadono sempre sugli europei.»
Il ministro aggiunge: «Oggi produciamo in Italia circa 260 TWh. Il resto lo importiamo, soprattutto dalla Francia, poi da Montenegro e altri paesi. Se vogliamo davvero dare una risposta a questo fabbisogno crescente, non c’è alternativa: bisogna guardare al nucleare. Non quello di ieri, ma un nuovo nucleare. Io sono convinto che la strada siano i piccoli reattori modulari, anche se aspettiamo i fatti concreti. È lì che dobbiamo guardare». Pichetto Fratin chiarisce: «Il nucleare non è un’alternativa alle altre fonti: non sostituisce l’eolico, non sostituisce il fotovoltaico, né il geotermico. Ma è un tassello indispensabile in un mix equilibrato. Senza, non potremo mai reggere i consumi futuri». Gas liquido e rapporti con gli Stati Uniti. Il discorso scivola poi sul gas: «Abbiamo firmato un accordo standard con gli Stati Uniti per l’importazione di Gnl, ma oggi non abbiamo ancora i rigassificatori sufficienti per rispettarlo. Oggi la nostra capacità di importazione è di circa 28 miliardi di metri cubi l’anno, mentre l’impegno arriverebbe a 60. Negli Usa i liquefattori sono in costruzione: servirà almeno un anno o due. E, comunque, non è lo Stato a comprare: sono gli operatori, come Eni, che decidono in base al prezzo. Non è un obbligo politico, è mercato». Bollette e prezzi dell’energia. Sul tema bollette, il ministro precisa: «L’obiettivo è farle scendere, ma non esistono bacchette magiche. Non è che con un mio decreto domani la bolletta cala: questo accadeva solo in altri regimi. Noi stiamo lavorando per correggere il meccanismo che determina il prezzo dell’energia, perché ci sono anomalie evidenti. A breve uscirà un decreto con alcuni interventi puntuali. Ma la verità è che per avere bollette davvero più basse bisogna avere energia a un costo molto più basso. E i francesi, grazie al nucleare, ce l’hanno a prezzi molto inferiori ai nostri».
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