2019-07-22
Spuntano le querele sul Rubligate. Ora la fonte fa paura
Il direttore dell'Espresso nega, ma le smentite sono due. E se la talpa fosse stata con Gianluca Savoini cadrebbe l'ipotesi maxi tangente.L'analista Igor Pellicciari che insegna a Mosca: «I russi non trattano affari di quel tipo nelle hall degli alberghi. Tutti sanno che sono sorvegliati».Lo speciale contiene due articoliCi mancava il Watergate. Marco Damilano, direttore dell'Espresso, nel difendere l'inchiesta Rubligate, giunge all'ardito paragone e trasforma Giovanni Tizian e Stefano Vergine nei nuovi Bob Woodward e Carl Bernstein. Forse ci vorrebbe maggiore sobrietà soprattutto quando non si dirige il Washington Post, ma un settimanale il cui precedente direttore, Luigi Vicinanza, è saltato su un'intercettazione inesistente, sulla fantomatica frase «Lucia Borsellino va fatta fuori. Come il padre». Di quell'audio non si è trovata traccia e l'Espresso e i suoi giornalisti continuano a pagar dazio nelle aule dei tribunali.Il Rubligate è iniziato a febbraio, quando Tizian e Vergine pubblicarono in anteprima sul settimanale un capitolo del Libro nero della Lega. In quel capitolo erano riportati fatti e frasi reali. Ossia virgolettati autentici della celebre colazione del Metropol del 18 ottobre 2018, quella in cui sei personaggi in cerca d'autore, discussero di petrolio e finanziamenti alla Lega. I cronisti indicarono tra i presenti anche il manager Ylia Andreevich Yakunin e di quell'incontro captarono alla lettera ogni frase che venne pronunciata in tre diverse lingue, anche se non hanno mai dichiarato di possedere una registrazione. Hanno solo detto di essere stati seduti di fianco al sestetto, malgrado non ci siano foto a testimoniarlo. Nel loro resoconto riferirono anche di un appuntamento riservato del 17 ottobre tra Salvini e il vicepremier russo con delega all'Energia, Dimitry Kozak, abboccamento che sarebbe avvenuto nello studio dell'avvocato Vladimir Pligin, considerato vicino a Yakunin. La Verità ha trovato conferma a questi appuntamenti e sabato scorso ha dato conto di un «summit segreto» che «non sarebbe stato registrato nell'agenda ufficiale della giornata (di Salvini, ndr), perché i russi avrebbero chiesto riservatezza». È chiaro che i giornalisti dell'Espresso hanno un'ottima fonte. La quale era informata sia dell'incontro nello studio di Pligin che di quello del Metropol. Noi della Verità abbiamo scritto che a chiedere il faccia a faccia con Kozak del 17 era stato Gianluca Savoini, un traffichino padano che conosce Salvini dal 1991. Lo stesso Savoini partecipò la sera alla cena del ristorante Ruski, sempre con Salvini. Ed era presente anche la mattina al Metropol. Chi poteva conoscere gli spostamenti di Savoini con tanta precisione? Siamo pronti a scommettere che, per quanto abili, Tizian e Vergine non pedinarono i tre italiani nella due giorni russa. E ci viene difficile credere che i servizi segreti russi abbiano bussato alla porta dell'Espresso per recapitare il nastro del Metropol. E allora? Savoini a Mosca aveva almeno due accompagnatori: l'avvocato massone Gianluca Meranda e il consulente bancario, ex sindacalista Cisl ed ex Margherita, Francesco Vannucci. E, secondo le nostre fonti, è in questo piccolo mazzo che, probabilmente, va ricercata la fonte dell'Espresso.Nel suo ultimo editoriale Damilano punta il dito contro una stampa «che agevola chi vuole trasformare un fatto in un'opinione, un'inchiesta ben documentata in un mistero in cui tutto si confonde». Poi si allarga: «Siamo in un Paese in cui l'inizio dell'inchiesta sul Watergate avrebbe portato gli altri giornali a indagare sulla fonte del Post, gola profonda, piuttosto che sugli uomini di Nixon».Damilano sembra infastidito dall'interesse di questo giornale per l'identità della talpa che ha tirato fuori l'audio del Metropol. Ma il suo informatore molto probabilmente non ha lo spessore e la credibilità di un Mark Felt, all'epoca vicedirettore Fbi.Il nostro quotidiano ha già raccontato le biografie un po' sgangherate degli italiani che erano al Metropol e ha svelato la storia opaca di Meranda, l'avvocato cacciato dalla massoneria e in crisi economica da almeno due anni che trattava al Metropol a nome di una società che non lo aveva autorizzato e con cui non aveva più nessun accordo di lavoro dal 17 luglio 2017. È Meranda ad aver registrato il colloquio dell'hotel moscovita e ad aver consegnato l'audio all'Espresso, insieme ai dettagli degli incontri del 17 e 18 ottobre di cui era edotto? Lo ha fatto per risentimento, poiché nessuno dei suoi interlocutori ha mai sganciato un soldo per la sua collaborazione, né Savoini, né la Euro-Ib, la società di consulenza con cui era in rapporti? Noi abbiamo provato a rivolgere queste domande direttamente a Meranda e al suo avvocato, ma non abbiamo ottenuto risposta. A dire il vero anche Damilano ieri ha preferito attaccare velocemente il telefono, evitando domande non gradite.Ora il direttore comprenderà che non è secondario sapere se la gola profonda del Rubligate sia un uomo al vertice delle istituzioni o un massone con l'acqua alla gola. Anche perché se il testimone fosse Meranda, non si tratterebbe di uno spettatore neutrale della trattativa per l'oro nero, ma di colui che al Metropol ha guidato le danze e spinto il discorso su una china scivolosa, parlando di mazzette da consegnare ai russi. Le chiacchiere del Metropol erano genuine o orientate da chi stava registrando per chissà quale scopo? Il Rubligate probabilmente non passerà alla storia come il Watergate, ma riteniamo che quando si scoprirà chi abbia dato all'Espresso e al sito Buzzfeed informazioni e file audio sarà più facile valutare l'attendibilità e il peso delle dichiarazioni del Metropol. Infine Damilano scrive che «finora non una riga delle nostre inchieste è stata smentita e nessuna querela è arrivata». Come dire: abbiamo ragione al 101 per cento. A essere onesti a noi risulta che almeno uno dei personaggi citati negli articoli dei suoi giornalisti si sia già rivolto alla magistratura. Si tratta di Andrea Mascetti, avvocato e consigliere d'amministrazione di Banca Intesa Russia, manager citato nei discorsi del Metropol come uomo vicino alla Lega. Il 3 maggio 2019 avrebbe querelato l'Espresso per l'inchiesta del 24 febbraio 2019, quella sull'incontro del Metropol, e La Stampa che aveva ripreso un'anticipazione del settimanale il 22 febbraio scorso. Ma ci risulta che Mascetti avesse già denunciato l'Espresso il 29 giugno 2018 per un articolo del primo aprile dello stesso anno. Quindi se «nessuna querela è arrivata», almeno due sono partite. Ma siamo certi che anche i veri Woodward e Bernstein per le loro inchieste abbiano avuto i loro grattacapi giudiziari. Giacomo Amadori<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/spuntano-le-querele-sul-rubligate-ora-la-fonte-fa-paura-2639296686.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="lega-in-difficolta-per-colpa-di-qualche-sprovveduto" data-post-id="2639296686" data-published-at="1762959285" data-use-pagination="False"> «Lega in difficoltà per colpa di qualche sprovveduto» Igor Pellicciari insegna alla Mgimo di Mosca (l'università statale per le relazioni internazionali), all'università di Urbino e alla Luiss. Professore, lei ha parlato di un «trappolone». Davvero qualcuno può pensare che a Mosca un'immensa fornitura di petrolio potesse essere trattata in una hall d'albergo, tra persone non titolate? «Chiunque conosca la Russia sa che la zona del centro e quegli alberghi sono ipercontrollati. E la sorveglianza è stata potenziata con i Mondiali di calcio. Se - per dire - mi fossi trovato in mezzo a una simile corte dei miracoli, ma ne sarei andato subito». Il povero Savoini andrebbe «assolto per non aver compreso il fatto», per dirla con una battuta. «Parlo da analista, con distacco. Ciò che mi porta a parlare di “trappolone" non è tanto l'oggetto del colloquio, ma le modalità. Storicamente la Russia ha incanalato gli aiuti di Stato vendendo energia a prezzi convenienti, oppure comprando materie prime altrui (tipo lo zucchero cubano) a prezzo maggiorato. Ma queste cose le fanno i soggetti titolati e nelle sedi proprie». In un intervento su Dagospia, lei ha parlato di uno «spy movie di serie b». «In Russia, c'è un verticismo istituzionale gerarchizzato: si sa chi sta sopra, chi sta sotto, chi ha titolo per decidere. Per questo, mi sento sicuro di escludere che sia stata una trattativa reale, che non potrebbe mai avvenire così». Veniamo a chi può aver orchestrato il «trappolone». La sua prima ipotesi è che siano stati gli Usa, per far capire che non si può stare a giorni alterni con Mosca o con Washington. «Non mi riferisco a Trump o ai vertici istituzionali. Ma a settori del deep State, non necessariamente trumpiani, che possono essere spiazzati (era già successo ai tempi di Berlusconi) da alcuni eccessi italiani, da accelerazioni non concordate...». Però pochi giorni prima Salvini aveva incontrato il segretario di Stato Pompeo, già capo della Cia, che probabilmente già sapeva... Eppure l'incontro con Salvini aveva un connotato positivo di legittimazione. «Ma infatti. Se questa ipotesi fosse quella giusta, la cosa non sarebbe avvenuta per “distruggere", ma per “indirizzare". Siamo in una fase di enorme complessità (pensi ai dossier Venezuela o Ucraina): forse il versante italiano non ha nemmeno percepito il livello di rischio nel mettersi in mezzo…». Seconda ipotesi. Potrebbero essere stati i russi, irritati dal disimpegno italiano contro le sanzioni a Mosca. «Può esserci un fastidio russo. Conte nel Consiglio Ue, per ingraziarsi la Merkel, ha fortemente ammorbidito la posizione italiana anti sanzioni. Perfino Renzi aveva fatto obiezioni maggiori. E poi…». E poi? «Non si può nemmeno escludere che possa essere stata un'azione in qualche modo concordata tra Mosca e Washington. Noi tendiamo a schematizzare molto. Ma ci sono settori in cui la cooperazione tra loro è forte. Pensi ad esempio allo spazio». Lei ha anche avanzato una terza ipotesi. Un regolamento di conti nell'entourage leghista. «Qui l'analista fa un passo indietro. Ma in teoria può esserci una competizione per stabilire chi sia il “rappresentante" di Salvini a Mosca (non necessariamente residente lì). In quel caso, l'obiettivo dell'azione era Savoini». Avanzo una quarta ipotesi. È pacifico (penso alla Francia) che vi siano paesi terrorizzati dall'avanzata sovranista in Ue. Non è ipotizzabile che una serie di agenti provocatori siano in giro per mettere bucce di banana? «Non lo escluderei, se fosse avvenuto altrove. Ma escludo che attori europei, con le spalle non abbastanza larghe, abbiano potuto decidere di farlo a Mosca: uno sgarbo troppo grosso alla Russia, cosa che li avrebbe esposti a una “retaliation"». Che dire dei partecipanti? Non occorre aver letto Greene, Maugham o Le Carré per capire che occorre tenere un profilo basso. Qualcuno, tra selfie e foto, sembrava il noto presenzialista che sbucava nelle inquadrature dei tg... «Non do giudizi. Ma il narcisismo provinciale di chi si rende troppo visibile, di chi nelle foto alza il calice per farsi notare... Non mi faccia fare paragoni - valutazioni storiche a parte - con i Pajetta, i Togliatti, i Cossutta, che parlavano il russo». Sia più chiaro. «Da parte di Mosca c'è un interesse geopolitico, e le delegazioni sono selezionate con cura. A volte si ha invece la sensazione di presenze italiane che cercano il golden gol individuale». Daniele Capezzone
Ernesto Maria Ruffini (Ansa)
Ettore Prandini (Totaleu)
Lo ha detto il presidente di Coldiretti Ettore Prandini in un punto stampa in occasione dell'incontro con la Commissione europea a Bruxelles.