2019-06-21
La pagliacciata di Sala: calzini arcobaleno in onore del gay pride
Ma degli omosessuali al sindaco forse importa poco. È solo marketing politico.I calzettoni colorati, soprattutto per un giornalista non di sinistra, sono tema scivoloso. È così dall'ottobre 2009, quando un tg Mediaset criticò i pedalini azzurri del giudice Raimondo Mesiano, il magistrato che aveva appena condannato la Fininvest a pagare una multa milionaria alla Cir di Carlo de Benedetti. Il direttore delle news, peraltro quel bravo e serio giornalista che è Claudio Brachino, fu addirittura sospeso dall'Ordine. Pur se consapevoli di quella vicenda, e perfettamente avvisati dei tremendi pericoli che ai giorni nostri corre il diritto di critica, non ci si può qui esimere da un sereno sfottò nei confronti del sindaco di Milano, Giuseppe Sala. L'uomo che da molti mesi si sta minuziosamente preparando per la leadership del Pd e del centrosinistra, ieri ha deciso di manifestare la sua simpatia nei confronti del «Gay pride» che il 29 giugno percorrerà le strade di Milano. Nulla di male nell'essere gay. Ci mancherebbe. Gli omosessuali hanno gli stessi diritti degli etero, e chi scrive ne è convinto come del fatto che un giornalista, se serve, possa e debba criticare il presidente della Repubblica e addirittura il Papa. Il problema è un altro. Ieri il sindaco Sala ha pubblicato sul suo profilo Instagram una foto che subito ha fatto il giro dei media. La foto è imbarazzante, fastidiosa. Perché in realtà è evidente e futile marketing politico. Le mani intrecciate, la gamba destra accavallata sulla sinistra, Sala è assiso su una grossa poltrona rossa di pelle capitonné (a prima vista parrebbe una «Chester One» di Frau: se è così, costa 6.800 euro ed è il trono perfetto per un re della sinistra). La posa da fachiro ha il solo scopo di mostrare i calzettoni: sono a strisce, con i colori dell'arcobaleno. Il messaggio è: «Da domani, Pride! Per una Milano dei diritti. E dei doveri». Il punto è che le calze a strisce del sindaco non parlano di diritti, ma semmai suscitano un po' la stessa mesta ilarità che anno dopo anno ispira la parata-baracconata del «Gay pride». Perché i diritti degli omosessuali sono una cosa del tutto diversa e molto seria. Ne sanno qualcosa i poveri gay che i miliziani dell'Isis scagliavano giù dalle torri di Raqqa, in Siria. Lo sanno gli omosessuali del Brunei, che dai primi di aprile rischiano la lapidazione perché il sultanato s'è adeguato alla civiltà giuridica dei vicini Stati islamici. Lo sa bene Murtaja Qureiris, che da cinque anni è recluso in un carcere saudita e in cella attende il suo diciottesimo compleanno e la pena di morte, perché quando di anni ne aveva 13 aveva osato manifestare per i diritti dei gay.Altro che i calzettoni arcobalenati di Sala. Altro che i boa di struzzo e i ciclopici falli di gomma che a Milano vedremo sfilare sui soliti carri colorati, strabordanti di gente che balla seminuda. Il 29 giugno, in realtà, si dovrebbe celebrare qualcosa di importante e serio: l'inizio della prima, storica lotta per i diritti dei gay. Quel giorno di 50 anni fa, al Greenwich Village di New York, i poliziotti scatenarono un'incursione repressiva nella Stonewall Inn, un locale considerato «indecente» perché frequentato da omosessuali, e la dura reazione degli occupanti dette vita al loro movimento di liberazione. Ma che ne sa dell'assenza dei diritti (quella vera, quella che fa male!) il mondo che sfilerà confuso e festoso per le strade di Milano, scatenando il solito carnevale scollacciato magari all'ombra di qualche manifesto con la faccia di Che Guevara, spietato persecutore del genere gay? In materia di diritti, per fortuna, il Comune di Milano ha annunciato iniziative più serie: pare metterà un alloggio a disposizione dei giovani (italiani, forse, ma più verosimilmente immigrati pakistani) rifiutati dalle famiglie per le loro tendenze sessuali. Ecco: queste cose dovrebbe raccontare Sala su Instagram, invece di mostrare calze a strisce. Ma anche i responsabili del suo marketing dovrebbero forse usare più la testa. E un po' meno i piedi.
Giorgia Meloni al Forum della Guardia Costiera (Ansa)
«Il lavoro della Guardia Costiera consiste anche nel combattere le molteplici forme di illegalità in campo marittimo, a partire da quelle che si ramificano su base internazionale e si stanno caratterizzando come fenomeni globali. Uno di questi è il traffico di migranti, attività criminale tra le più redditizie al mondo che rapporti Onu certificano aver eguagliato per volume di affari il traffico di droga dopo aver superato il traffico di armi. Una intollerabile forma moderna di schiavitù che nel 2024 ha condotto alla morte oltre 9000 persone sulle rotte migratorie e il governo intende combattere. Di fronte a questo fenomeno possiamo rassegnarci o agire, e noi abbiamo scelto di agire e serve il coraggio di trovare insieme soluzioni innovative». Ha dichiarato la Presidente del Consiglio dei Ministri Giorgia Meloni durante l'intervento al Forum della Guardia Costiera 2025 al centro congresso la Nuvola a Roma.
Continua a leggereRiduci