
La psicologa Carmen Belacchi terrà corsi nelle scuole: «Fare entrare le famiglie in classe ha prodotto un caos di ruoli. Da Lucca deve ripartire l'educazione. La Fedeli che invoca bocciature? Lo specchio del fallimento».In quest'ultima settimana si è fatto un gran discutere, tra commenti di pancia e più posate analisi di salotto, sulle malefatte adolescenziali di un gruppo di studenti spacconi divisi tra due istituti superiori della provincia italiana, rispettivamente Lucca e Velletri. In particolare, hanno sollevato l'indignazione dell'opinione pubblica la sfrontatezza e la veemenza di un alunno toscano, prontamente divulgate sul Web dai suoi sodali compagni di classe attraverso un filmato divenuto virale. «Professore, mi metta 6. Si inginocchi!», è stato l'ordine perentorio del quindicenne che, pur in un capovolgimento dell'autorità, non è suonato troppo dissimile da quel «Salga a bordo, cazzo!» menato come uno schiaffone telefonico dal comandante Gregorio De Falco all'indirizzo di Francesco Schettino. Così, a onor del vero, è apparso il docente di lettere, incapace di reagire alle reiterate vessazioni del suo allievo: frastornato, stordito da una circostanza più grande di lui. Per provare a gestire questa frattura sociale e dei ruoli, ma non solo, debutterà a ottobre, all'università di Urbino, un corso di alta formazione antibullismo rivolto agli insegnanti. «Ci occuperemo di psicologia dello sviluppo legata alla formazione dell'identità», spiega Carmen Belacchi, 66 anni, filosofa e psicologa, docente dell'ateneo umbro nonché direttrice del corso. «Osserveremo come l'arte e la letteratura hanno rappresentato l'aggressività e la violenza, per affrontarle partendo da contenuti disponibili nella nostra cultura. Si parlerà di problem solving stimolando gli insegnanti con domande specifiche». Le lezioni, distribuite nell'arco di quattro mesi, sarebbero dovute partire lo scorso gennaio, «ma il numero delle adesioni non è stato quello sperato».Un disegno di legge approvato alla Camera in via definitiva il 17 maggio 2017 indicava la nomina di un referente antibullo per ogni scuola.«Il testo non specifica come si debba gestire la cosa, con quali risorse e quali competenze. C'è un vuoto nell'applicazione: l'obbligo è sulla carta, ma non è chiaro quando e come dovrà essere espletato».I fatti di Lucca e Velletri, paradossalmente, potrebbero rappresentare uno spot promozionale per voi.«Dipende da quanto saranno incentivati gli insegnanti. A loro si chiede di fare sempre di più, ma se il problema del bullismo è così importante a livello sociale, perché non viene gestito dal ministero, invece che essere lasciato a discrezione delle singole scuole?».Nemmeno il bonus formazione aiuta?«Direi di no. Stiamo parlando di 500 euro stanziati per ogni docente; il nostro corso ne costerà 400. Per quella che è la mia esperienza, il bonus viene speso più per l'acquisto di tablet o altri strumenti didattici che per la formazione. E noi non possiamo fare tutto gratis».Senta, finora si era parlato di bullismo tra compagni di scuola. Ora le vittime sono i professori.«Si sta facendo una gran confusione. Il termine “bullismo" definisce solo un conflitto tra pari; quando non è più tale, si entra nel delinquenziale».Mi sta dicendo che i ragazzi di Lucca sono dei delinquenti?«Stanno violando delle norme sociali, in quanto non si misurano più col coetaneo attraverso condotte sì stigmatizzabili, ma che non sono gravi quanto le azioni rivolte a un adulto con un ruolo».È un'asticella che si sta alzando sempre di più?«È un fenomeno di mancato rispetto che ha origine nell'infanzia: non dedicare attenzione a un bambino è la prima mancanza di rispetto. Lo psicologo austriaco René Spitz parlava di “carenze a domicilio": genitori presenti fisicamente, ma assenti psicologicamente. Questi casi allarmano, perché mostrano le conseguenze in maniera eclatante, drammatica».Avrà visto il filmato che ha sollevato il caso. Che idea si è fatta?«Non mi ha sorpreso. Da tempo, assistiamo a un'escalation di episodi negativi. Quando un genitore prende a cazzotti un insegnante, incarna un modello che verrà imitato e sta legittimando suo figlio a trattare male il professore. Ora vediamo il risultato di anni di competizione e conflitto tra scuola e famiglia, di un patto educativo non rispettato».Ovvero?«Fare entrare le famiglie nella scuola ha prodotto una confusione dei ruoli: all'insegnante non viene più riconosciuto il diritto di dare un'insufficienza, di valutare il comportamento dell'alunno. In questo quadro, i ragazzi sono deresponsabilizzati».Il ministro dell'Istruzione, Valeria Fedeli, ha invocato la sospensione e la bocciatura degli studenti coinvolti. Così è stato. Giustizia è fatta?«Io lo leggo come un indice di debolezza da parte di una scuola che, non sapendo recuperare, boccia. È la dichiarazione di un fallimento».Le punizioni hanno perso valore?«Sospendere gli studenti è una punizione verso le famiglie. Togliere dalla scuola un ragazzo che non ci vuole andare le pare un castigo efficace? Gli tolgano lo smartphone o la Playstation: si chiama “sottrazione di rinforzatori". Il ragazzo deve capire sulla propria pelle cosa significhi essere trattato male, privato di qualcosa a cui tiene».Dottoressa, mi spiega come può un ragazzo di 15 anni non avere alcuna percezione delle conseguenze alle quali va incontro?«Fossi in lei, mi chiederei piuttosto se sono conseguenze che teme. Ai miei tempi avevamo il terrore del 7 in condotta perché il titolo di studio era un volano per la scalata sociale ed economica, un veicolo per il successo. Allo stato attuale, non garantisce nemmeno l'occupazione».La consapevolezza che esista un limite da non oltrepassare, però, non può dipendere solo dall'aspettativa di un'occupazione.«Certo che no. Dipende dalla presenza o dall'assenza del rimprovero. Oggi i genitori vedono nel figlio un riflesso narcisistico di sé: quando porta a casa una brutta pagella non lo rimproverano, perché sarebbe come rimproverare sé stessi. È più facile mettere in discussione l'insegnante».In un'intervista al programma tv Le Iene, il protagonista del filmato di Lucca ha detto: «Ho capito i miei errori». Secondo lei è possibile?«Lo trovo improbabile. Le dirò di più: non basta capire per cambiare. Il comportamento morale non scaturisce solo dalla conoscenza delle regole: posso conoscere le regole e infrangerle perché non so gestire le emozioni. Pentirsi così velocemente, peraltro, significa non avere la percezione della gravità dell'errore».In una legge del contrappasso del bullismo, ora quel ragazzo è oggetto di molestie su Facebook. È una catena della violenza senza fine?«Il fenomeno della violenza è diffuso, i più frustrati proiettano le proprie insoddisfazioni sugli altri creando un meccanismo circolare. Chi è bullo in un contesto può diventare vittima in un altro, e viceversa. Il cerchio si interrompe solo quando l'individuo realizza chi è davvero, prendendo atto dei propri limiti e delle proprie responsabilità. Vede, i conflitti non sono negativi di per sé: attraverso di essi il ragazzo impara a conoscersi. Bisogna negoziarli, non reprimerli».Il preside dell'Itc Carrara, Cesare Lazzari, ha parlato di «pubblico ludibrio» al quale sarebbe stata sottoposta la scuola. Quasi fosse più preoccupato del buon nome dell'istituto che delle azioni dei suoi studenti.«In una società dove lo studente è un cliente e la scuola deve fare marketing per attrarre, il ragionamento del preside rispecchia un pensiero largamente condiviso: considerare la scuola un'azienda e tutelarne gli interessi. All'università non è tanto diverso: ci si chiede di produrre laureati, ma a nessuno importa del livello».Dopo l'indignazione per il gesto dello studente, sul banco degli imputati è finito il professore. Oltre al danno, la beffa?«In un rapporto sociale, specie di tipo aggressivo, ogni persona coinvolta partecipa in modo attivo. Non esiste la vittima per definizione. Come mai quell'insegnante e non un altro? La domanda non vuole attenuare le responsabilità dell'aggressore, serve a capire dove abbia origine la mancanza di autorevolezza. Chi insegna oggi, con quali motivazioni lo fa? Che valore gli attribuisce la società?».Me lo dica lei.«Un valore pressoché nullo. Non è un caso che i professori siano sottopagati. Una volta, quello del docente era un ruolo prestigioso, per competenze e posizione sociale. Oggi non è più così».Perché?«La scuola che prima offriva uno sguardo sul mondo, ora non riesce a stare al passo con le trasformazioni. Non basta portare un tablet in classe, bisogna ripensare il concetto di educazione mettendo al centro la persona, facendo esplorare ai ragazzi dei modi creativi senza imporre subito degli standard ai quali uniformarsi. Lucca può essere l'occasione per ripartire».Senta, ma se lei fosse la mamma di quello studente cosa gli direbbe?«Se fossi la madre, quel ragazzo non sarebbe così arrogante e insicuro. Perché gli avrei dato gli strumenti per renderlo consapevole di sé».Provi a dare un consiglio ai genitori, allora.«Parlate a vostro figlio, chiedetegli qual è il suo disagio, cosa lo rende insoddisfatto al punto da esporsi a situazioni che lui stesso finisce per patire. Smettete di fare gli amici e ricominciate a essere genitori. Sostenete, ma limitate. L'adolescente è un fiume in piena: siate la sponda che incanala i suoi zampilli nella direzione giusta».
Gianfranco Lande durante un’udienza del processo che l’ha coinvolto (Ansa)
I parenti del consigliere hanno investito una fortuna con Gianfranco Lande. Che per prendere tempo li spingeva a fare «condoni» sui capitali.
Francesco Saverio Garofani in questi giorni viene raccontato come il gentiluomo delle istituzioni, il cattolico democratico che ha attraversato mezzo secolo di politica italiana con la felpa della responsabilità cucita addosso. Quello che nessuno racconta è che lui, insieme a una fetta consistente della sua famiglia, è stato per anni nel giro di Gianfranco Lande, il «Madoff dei Parioli». E che il suo nome, con quello dei tre fratelli, Carlo, Giorgio e Giovanna (che negli atti della Guardia di finanza vengono indicati in una voce cumulativa anche come fratelli Garofani), riempie la lista Garofani nell’elenco delle vittime allegato alla sentenza che ha raccontato, numeri alla mano, la più grande stangata finanziaria della Roma bene, insieme a quello di un certo Lorenzo (deceduto nel 1999) e di Michele, suo figlio, del cui grado di eventuale parentela però non ci sono informazioni.
Getty Images
Travaglio: «Garofani deve dimettersi». Foa: «Non è super partes, lasci». Porro: «È una cosa pazzesca e tentano di silenziarla». Padellaro: «Una fior di notizia che andava pubblicata, ma farlo pare una scelta stravagante». Giarrusso: «Reazioni assurde a una storia vera». L’ex ambasciatore Vecchioni: «Presidente, cacci il consigliere».
Sergio Mattarella (Getty Images)
Il commento più sapido al «Garofani-gate» lo ha fatto Salvatore Merlo, del Foglio. Sotto il titolo «Anche le cene hanno orecchie. Il Quirinale non rischia a Palazzo, ma nei salotti satolli di vino e lasagnette», il giornalista del quotidiano romano ha scritto che «per difendere il presidente basta una mossa eroica: restarsene zitti con un bicchiere d’acqua in mano». Ecco, il nocciolo della questione che ha coinvolto il consigliere di Sergio Mattarella si può sintetizzare così: se sei un collaboratore importante del capo dello Stato non vai a cena in un ristorante e ti metti a parlare di come sconfiggere il centrodestra e di come evitare che il presidente del Consiglio faccia il bis.
Lo puoi fare, e dire ciò che vuoi, se sei un privato cittadino o un esponente politico. Se sei un ex parlamentare del Pd puoi parlare di listoni civici nazionali da schierare contro la Meloni e anche di come modificare la legge elettorale per impedire che rivinca. Puoi invocare provvidenziali scossoni che la facciano cadere e, se ti va, perfino dire che non vedi l’ora che se ne vada a casa. E addirittura come si debba organizzare il centrosinistra per raggiungere lo scopo. Ma se sei il rappresentante di un’istituzione che deve essere al di sopra delle parti devi essere e apparire imparziale.
L’amministratore delegato di Terna Giuseppina Di Foggia
- In vista delle Olimpiadi invernali di Milano-Cortina 2026 circa 300 milioni di euro di investimenti per potenziare le infrastrutture in Lombardia, Veneto e Trentino-Alto Adige. Il progetto include 130 chilometri di elettrodotti completamente «invisibili».
- Sono oltre 300 i cantieri attualmente in corso per sviluppare la rete di trasmissione.






