Ecco gli atti dell’inchiesta sulla prof che filmò l’incontro a Fiano Romano. Smentiti i sospetti sui rapporti tra la donna e gli apparati di intelligence. Clicca qui per vedere la gallery esclusiva.C’è chi in queste ore sta cercando di far credere che dietro al famoso video dell’incontro all’autogrill tra Matteo Renzi e l’ex agente dei servizi segreti Marco Mancini ci sia un complotto. Le carte dell’inchiesta aperta dalla Procura di Roma sulla questione in queste ore passano in modo un po’ carbonaro di mano in mano, soprattutto in alcuni selezionati salotti, ma la storia della congiura non regge. Fa acqua da tutte le parti. Anche se qualcuno potrebbe abboccare.La documentazione visionata dalla Verità non consente fraintendimenti: la professoressa che il 23 dicembre 2020 si trovava alla stazione di servizio Feronia di Fiano Romano e ha ripreso la scena dell’incontro (due video di 24 e 29 secondi e 13 foto) tra Renzi e Mancini quel giorno genera traffico telefonico solo con utenze riconducibili a famigliari e amici (i due genitori, il marito e una collega) e con alcuni call center come hanno confermato i tabulati richiesti dalla Procura capitolina, che, sollecitata dall’ex premier, non sembra proprio aver fatto sconti alla signora e ai giornalisti che si sono trovati le proprie fonti spiattellate su piazza. La donna, l’antivigilia di due anni fa, si sposta dall’Alto Lazio per raggiungere Roma, dove risiede il padre affetto da grave una malattia cronica. L’anziano si era sentito poco bene e la figlia, come confermato dalle celle telefoniche, andò a prelevare lui e la madre nella Capitale per condurli per le festività natalizie nella propria città.I controlli fatti dalla polizia sembrano proprio confermare che non ci troviamo di fronte a una Mata Hari manovrata da chissà chi, ma a una docente che ha ritenuto di diventare una fonte giornalistica dopo aver osservato quello strano incontro in piena crisi di governo.OFFERTE A VUOTOIl 24 dicembre la professoressa ha inviato due messaggi vocali e alcuni messaggi di testo con allegate le foto sul profilo di Messenger del titolare di un blog della sua città, nel Nord del Lazio, senza alcun esito, visto che il blogger «la informava che non ne avrebbe fatto uso, ma le avrebbe conservate in archivio non essendo in grado di riconoscere chi fosse l’interlocutore di Renzi». Forse perché il direttore editoriale del blog che si presenta come «giornale indipendente online» si occupa solo di cronaca locale. I messaggi vocali agli atti confermerebbero il genuino entusiasmo della donna, colpita dal singolare rendez-vous.La docente non soddisfatta è tornata alla carica il 31 dicembre, il giorno di San Silvestro, quando anche i giornalisti sono impegnati nei preparativi del cenone, questa volta con il Fatto quotidiano: «Carissimi sono una vostra lettrice ancora legata al cartaceo però […] vi vorrei inviare delle foto che ho fatto il giorno 23 dicembre intorno alle ore 15:30/16 mentre per una sosta caffè mi trovavo all’area di servizio A1 di Fiano Romano… un personaggio è noto a tutti l’altro purtroppo io lo disconosco… non so se possano interessarvi o se possano significare qualcosa… non ho potuto ascoltare che cosa si dicessero, ma si sono trattenuti per una mezz’ora abbondante… un caro saluto e buon anno». Ma al Fatto la mail è sfuggita e nessuno ha risposto.A questo punto ogni persona di buon senso non può che porsi un quesito: ma se dietro a quelle foto e a quei filmati c’era un complotto oscuro di apparati deviati o comunque ostili a Renzi e Mancini come è possibile che questa Spectre non sia riuscita a trovare qualcuno disposto a pubblicare la notizia bomba nelle ore in cui erano in corso le ultime disperate trattative per non far cadere l’esecutivo. Insomma i complottardi non devono essere stati di gran livello. Oppure, come crediamo noi, non esistevano.La verità è che in quella fase concitata a Palazzo Chigi qualcuno aveva scommesso sulle doti di negoziatore di Mancini, all’epoca dirigente del Dis (Dipartimento delle informazioni per la sicurezza) e ascoltato consigliere del direttore Gennaro Vecchione. Al punto che secondo alcuni addetti ai lavori Mancini quel giorno si sarebbe recato a Fiano Romano non per consegnare dei «babbi di cioccolato» a Renzi, ma in veste di ambasciatore di Conte & C. incaricato di trovare una quadra sul governo in caduta libera. Una mission impossible da cui Mancini sarebbe potuto uscire con le mostrine da vicedirettore. Ma il piano fallì, sebbene sia rimasta testimonianza del conciliabolo all’autogrill grazie al senso civico di una professoressa che riteneva di essere testimone di qualcosa di losco.ARRIVA «REPORT»Ma dopo aver tentato inutilmente di piazzare il materiale, la donna lo dimentica nel suo computer per quasi quattro mesi, sino al 12 aprile successivo. Quel giorno Report trasmette un’inchiesta intitolata «Lo sterco del diavolo». «Nel corso della puntata ho visto un servizio dedicato alla figura di tale Gianmario Ferramonti, in cui si ipotizzava che lo stesso avesse mandato dei messaggi all’onorevole Maria Elena Boschi, figura di punta del partito di Matteo Renzi per promuovere una sorta di complotto, almeno così mi era sembrato di capire dal tenore del servizio per favorire la caduta del governo Conte bis» ha spiegato la professoressa a verbale l’8 novembre scorso. Dopo aver visto la trasmissione ha subito pensato che «le foto relative a quell’incontro tanto singolare nell’autogrill di Fiano Romano potessero risultare interessanti per la redazione». E per questo ha scritto due messaggi all’indirizzo pubblicato sulla pagina Facebook del programma, uno delle 13 e 28 e uno delle 13 e 37. Nel primo ricorda di essersi fermata nell’area di servizio di Fiano Romano per una «sosta tecnica» del padre: «Mentre attendevo con mia madre in macchina arriva un’Audi con vetri oscurati che si avvicina a una Giulietta già precedentemente parcheggiata. Dall’Audi scende Renzi che saluta affettuosamente il signore nelle foto e si dirigono in disparte a parlare. Sono stati circa venti minuti a parlare dopo di che la Giulietta ha ripreso il viaggio per Roma e l’Audi ha imboccato a tutta velocità l’autostrada in direzione Firenze». La docente, con grande onestà, rivela di aver inviato lo stesso materiale «ad altre redazioni, che non mi hanno risposto». Poi chiosa: «Dopo pochi giorni dall’incontro di Renzi con questo tipo è caduto il governo… io non credo sia una coincidenza… con affetto una vostra spettatrice e ammiratrice per il lavoro che svolgete». Alle 14 e 46, dopo poco più di un’ora, si fa vivo il conduttore in persona: «Gentile V., sono Sigfrido Ranucci, potrei avere un suo contatto».L’EX SISDEL’indagata inizia ad avere rapporti telefonici sia con Ranucci che con l’inviato Giorgio Mottola, il quale il 27 aprile la raggiunge a casa per preparare l’intervista.Il 28 aprile il giornalista contatta un altro ospite che, seppur oscurato in volto, andrà in onda nella stessa puntata di Report del 3 maggio, intitolata «Babbi e spie». ovvero il settantenne ex dirigente dei servizi segreti Carlo Parolisi. L’uomo, pluridecorato e con una grande carriera alle spalle, è spesso ospitato in tv e sui giornali come esperto di geopolitica e situazioni di crisi. Nel sito dell’azienda di investigazioni di cui è senior advisor è così descritto: «Già funzionario di Polizia (sezioni antiterrorismo delle Digos di Genova e Roma), transita al Sisde (Nucleo intelligence dell’Alto commissario antimafia).Allo scioglimento della struttura, permane al Sisde con incarichi dirigenziali in centri operativi, per poi transitare al Sismi (successivamente Aise) con incarichi operativi in Italia e all’estero. Posto in quiescenza, riveste per due anni l’incarico di Chief security officer presso Finmeccanica Uk. Docente in materia d’intelligence presso l’università Sapienza e la Lumsa di Roma e presso Scuola superiore Sant’Anna di Pisa».È lui che nella trasmissione del 3 maggio dice la sua su Mancini e lo riconosce ufficialmente da video e foto: «Direi proprio che è lui». E aggiunge: «Può ingenerare un sospetto un incontro di questo genere». Si capisce che Parolisi non deve avere in grande simpatia l’ex collega. Per esempio ha ricordato quando «spalleggiava» l’ex capo della security Telecom-Pirelli Giuliano Tavaroli, il quale, nel 2010, ha patteggiato 4 anni e 6 mesi per i dossier illegali sfornati dal suo team. Mancini per quella vicenda è stato indagato e poi prosciolto, mentre per il sequestro dell’imam Abu Omar è stato arrestato, condannato in primo grado a 9 anni e poi assolto grazie all’opposizione per due volte del segreto di Stato. Parolisi a proposito di Mancini ha ricordato che dopo le inchieste giudiziarie è salito di grado: «Già aveva un alto livello dirigenziale, è stato promosso a un livello equivalente a dirigente generale». E a chi gli chiede dei rapporti di Mancini con il Palazzo e delle sue «grosse ambizioni di carriera» replica: «È fatto noto che frequenta molti politici dei più diversi schieramenti. Si è parlato di lui come vicedirettore dell’Aise e queste sembravano essere le sue aspirazioni. E poi a un certo punto sembrava di capire che ci potesse essere per lui una promozione a vicedirettore del Dis».CONTATTILa Digos di Roma sottolinea che Parolisi è un pensionato, senza pregiudizi di polizia, che ha indagato sul sequestro dell’onorevole Aldo Moro e che la moglie negli anni ‘80 era stata a sua volta una professoressa. Dai tabulati risulta che tra il 27 e il 29 aprile Mottola e Parolisi si sentano più volte. E su questo punto ci preme sottolineare come nessun giornalista investigativo chiamerebbe una fonte riservata con la normale linea telefonica. Ormai, magistrati, politici, investigatori e giornalisti per le conversazioni più delicate utilizzano chat criptate come Whatsapp o Signal. Anche Renzi e i renziani.Il 27 aprile Mottola e Parolisi sono entrambi in Toscana, il 28 l’ex agente è a Roma e il giornalista a Milano, il 29 Mottola è nella Capitale e Parolisi di nuovo in Toscana. I due si sentono anche il 25 maggio e l’8 giugno, quando il leader di Italia viva ha già sporto denuncia. Ma il 23 dicembre e nei giorni immediatamente successivi Parolisi non ha contatti né con la professoressa, che non sentirà mai nell’arco di tempo monitorato (1 dicembre 2020-25 giugno 2021), né con il giornalisti. Il suo cellulare tace nella pace dell’antivigilia di Natale immerso nella campagna toscana. In sostanza non partecipa in nessun modo al presunto «complotto». Commenta la notizia a posteriori. Come ne chiosa molte altre in trasmissioni come Di Martedì di Giovanni Floris.E, per quanto riguarda la docente, le indagini hanno confermato in modo inequivocabile l’inesistenza di qualsivoglia rapporto con apparati di intelligence.LA LUNGA SOSTAC’è poi la questione della lunga permanenza dell’indagata all’autogrill, 40 minuti circa. Ma la signora nel suo interrogatorio giustifica la pausa in modo credibile. Il padre si sarebbe sentito male già all’altezza dell’uscita Settebagni, dove avrebbe fatto una prima sosta, «dando di stomaco». A Fiano Romano avrebbe avuto un «altro malessere» e sarebbe ricorso altre due volte al bagno, cercando tra una ritirata e l’altra di riprendersi con una camomilla calda e con un bicchiere d’acqua. Dunque se la professoressa è rimasta così tanto nell’area di servizio il motivo era legato allo stato di salute del suo babbo.E dal posto di guida è riuscita a riprendere Renzi e Mancini che parlavano a poco più di dieci metri da lei, mentre i quattro uomini delle due rispettive scorte non si accorgevano di nulla. Forse perché una donna alla guida di un’utilitaria con due anziani a bordo non desterebbe sospetto in nessuno. La docente venne colpita dall’arrivo di Mancini, perché era accompagnato da due uomini di scorta e perché «era vestito molto elegantemente». Successivamente vide arrivare anche l’auto di Renzi con il lampeggiante acceso. L’ex premier, appena sceso, avrebbe indossato la mascherina, «l’uomo dai capelli bianchi» si sarebbe avvicinato e i due sarebbero passati «in prossimità dell’auto» dell’indagata, per poi appartarsi «in posizione defilata».L’Audi di Renzi aveva ostruito la strada alla 500 della professoressa e i due personaggi si sarebbero salutati praticamente davanti alla donna e per questo, essendo abbassato il finestrino dalla parte del padre, la docente ha avuto modo di sentire l’ex premier pronunciare questa frase: «Tanto per qualsiasi cosa sai come (o dove) trovarmi». La signora a quel punto sarebbe ripartita lentamente in direzione Viterbo. Questo il racconto di quello che è avvenuto subito dopo: «Poco prima delle gallerie sono stata superata dall’Audi di Renzi che ho riconosciuto perché aveva il lampeggiante acceso e viaggiava a velocità sostenuta».INCONGRUENZE VENIALILa professoressa non avrebbe avvistato, invece, l’altra auto e per questo avrebbe «dedotto che la stessa avesse preso una diversa direzione». Ma poiché in tv e nelle mail ha sostenuto che si fosse diretta in direzione Roma i suoi detrattori hanno provato a inchiodarla a quella imprecisione.Ma la ricostruzione della donna è stata confermata oltre che dalle ricevute del Telepass anche da tabulati e celle telefoniche, documentazione che la docente ha potuto visionare solo alla fine delle investigazioni, una quindicina di giorni dopo il suo interrogatorio. Dunque la lunga sosta sembra spiegata in modo del tutto coerente e in quell’autogrill, davanti alla testimone, ferma per la nausea del genitore, iniziò a materializzarsi l’incontro dei misteri.IL VERBALE«Non ho difficoltà ad ammettere che sono stata molto incuriosita dalla particolare situazione a cui assistevo» ha detto V. a verbale. «Da semplice cittadina, innegabilmente curiosa sono rimasta profondamente colpita da questo singolare episodio […] ci tengo a precisare però che ho ritenuto di effettuare le riprese e le fotografie del senatore Renzi mentre dialogava con il suo interlocutore perché ho intuito il rapporto pubblico e non meramente privatistico che univa i due soggetti: di cui l’uno era uno dei massimi leader politici italiani e l’altro un personaggio munito di scorta e auto di servizio». Proprio per tale motivo la professoressa, a questo punto si potrebbe parlare di una giornalista ad honorem, avrebbe immaginato che «il fatto fosse meritevole di essere raccontato nell’esercizio del diritto di cronaca». Il suo avvocato Giulio Vasaturo ha specificato che la sua assistita avrebbe assunto «consapevolmente il ruolo di “fonte giornalistica”» e che «non ha mai chiesto né percepito alcun compenso economico o di altro genere, per il contributo che da semplice cittadina ha volontariamente dato a questa inchiesta giornalistica». Renzi non ha voluto incontrare la donna, né ha accettato di essere sentito dalla difesa della docente come consente il codice. Meglio mantenere la vicenda nel limbo e sollevare sospetti. La Procura anziché chiedere l’archiviazione della professoressa dopo aver visionato i tabulati, ha preferito inviarle l’avviso di chiusura delle indagini dando la possibilità a Renzi e Mancini di accedere agli atti, tra l’altro con l’esplicito consenso della stessa indagata. La contestazione è quella prevista dall’artico 617 septies che colpisce con pene sino a quattro anni «chiunque, al fine di recare danno all’altrui reputazione o immagine, diffonde con qualsiasi mezzo riprese audio o video, compiute fraudolentemente, di incontri privati». La punibilità è esclusa se la diffusione avviene nell’esercizio del diritto di cronaca, caso che ci sembra essere quello di specie.007 E AUTOGRILLEppure su alcuni giornali è stato paventato persino che dietro a quei video potessero esserci i servizi segreti cinesi oppure quelli russi, a cui Mancini avrebbe pestato i calli. Adesso i supporter dell’ex dirigente del Dis sono alla ricerca di altri mandanti. Se Parolisi è stato «mascherato» (anche se la voce resta perfettamente riconoscibile), Report ha mandato in onda un altro ex 007 ed ex compagno di avventure di Mancini e Tavaroli, Marco Bernardini, il quale è stato condannato in via definitiva a 5 anni e 8 mesi per aver prodotto migliaia di dossier illegali per conto della security di Telecom Pirelli. Bernardini, senza peli sulla lingua, ha raccontato quella che già quindici anni fa sarebbe stata una specialità della ditta. «L’autogrill è un luogo abituale di incontri?» gli hanno domandato quelli di Report. E Bernardini ha risposto: «Un luogo abituale sì. Quando venivo giù da Milano a Roma e facevo i viaggi con Giuliano Tavaroli ogni tanto ci si fermava in qualche autogrill tra Bologna e Firenze e lui parlava con Marco Mancini». Quindi a nostro modesto avvisto sarebbe più interessante sapere non perché la professoressa fosse a Fiano Romano ma perché ci fossero Renzi e Mancini e che cosa si siano detti.
Il tocco è il copricapo che viene indossato insieme alla toga (Imagoeconomica)
La nuova legge sulla violenza sessuale poggia su presupposti inquietanti: anziché dimostrare gli abusi, sarà l’imputato in aula a dover certificare di aver ricevuto il consenso al rapporto. Muove tutto da un pregiudizio grave: ogni uomo è un molestatore.
Una legge non è mai tanto cattiva da non poter essere peggiorata in via interpretativa. Questo sembra essere il destino al quale, stando a taluni, autorevoli commenti comparsi sulla stampa, appare destinata la legge attualmente in discussione alla Camera dei deputati, recante quella che dovrebbe diventare la nuova formulazione del reato di violenza sessuale, previsto dall’articolo 609 bis del codice penale. Come già illustrato nel precedente articolo comparso sulla Verità del 18 novembre scorso, essa si differenzia dalla precedente formulazione essenzialmente per il fatto che viene ad essere definita e punita come violenza sessuale non più soltanto quella di chi, a fini sessuali, adoperi violenza, minaccia, inganno, o abusi della sua autorità o delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa (come stabilito dall’articolo 609 bis nel testo attualmente vigente), ma anche, ed in primo luogo, quella che consista soltanto nel compimento di atti sessuali «senza il consenso libero e attuale» del partner.
Tampone Covid (iStock)
Stefano Merler in commissione confessa di aver ricevuto dati sul Covid a dicembre del 2019: forse, ammette, serrando prima la Bergamasca avremmo evitato il lockdown nazionale. E incalzato da Claudio Borghi sulle previsioni errate dice: «Le mie erano stime, colpa della stampa».
Zero tituli. Forse proprio zero no, visto il «curriculum ragguardevole» evocato (per carità di patria) dall’onorevole Alberto Bagnai della Lega; ma uno dei piccoli-grandi dettagli usciti dall’audizione di Stefano Merler della Fondazione Bruno Kessler in commissione Covid è che questo custode dei big data, colui che in pandemia ha fornito ai governi di Giuseppe Conte e Mario Draghi le cosiddette «pezze d’appoggio» per poter chiudere il Paese e imporre le misure più draconiane di tutto l’emisfero occidentale, non era un clinico né un epidemiologo, né un accademico di ruolo.
La Marina colombiana ha cominciato il recupero del contenuto della stiva del galeone spagnolo «San José», affondato dagli inglesi nel 1708. Il tesoro sul fondo del mare è stimato in svariati miliardi di dollari, che il governo di Bogotà rivendica. Il video delle operazioni subacquee e la storia della nave.
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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Manifestazione ex Ilva (Ansa)
Ok del cdm al decreto che autorizza la società siderurgica a usare i fondi del prestito: 108 milioni per la continuità degli impianti. Altri 20 a sostegno dei 1.550 che evitano la Cig. Lavoratori in protesta: blocchi e occupazioni. Il 28 novembre Adolfo Urso vede i sindacati.
Proteste, manifestazioni, occupazioni di fabbriche, blocchi stradali, annunci di scioperi. La questione ex Ilva surriscalda il primo freddo invernale. Da Genova a Taranto i sindacati dei metalmeccanici hanno organizzato sit-in per chiedere che il governo faccia qualcosa per evitare la chiusura della società. E il Consiglio dei ministri ha dato il via libera al nuovo decreto sull’acciaieria più martoriata d’Italia, che autorizza l’utilizzo dei 108 milioni di euro residui dall’ultimo prestito ponte e stanzia 20 milioni per il 2025 e il 2026.







