2021-07-19
Spicchi di melone per fare il pieno di vitamine estive
Poverissimo di calorie, il frutto è ricco di elementi che aiutano il metabolismo e il sistema immunitario: combatte la febbre e contribuisce a star su di moraleSono, questi, i giorni degli accrescitivi: c’è il «frocione» indirizzato a Ivan Scalfarotto da Rosa Maria Sorge, esponente del Pd civitavecchiese, a suo dire per dimostrare che non approvare il ddl Zan consentirebbe insulti come quello; e c’è il «terfona» che gli attivisti Lgbtq+ scagliano contro le donne contrarie a considerare anagraficamente donne anche uomini che non hanno compiuto un percorso di ricostruzione chirurgica di un organo femminile. Di solito, tramite l’accrescimento si vuole potenziare l’insulto. Accanto a questi, c’è un accrescitivo che non ha niente a che vedere con l’attualità, nel senso che esiste da secoli, e che allude solo a una caratteristica di maggiori dimensioni rispetto a un altro frutto: il melone. Che è un po’... un grande frutto. La parola melone deriva dal latino tardo melone(m) da melo, forma abbreviata di melopepo, composto da melon cioè «melo, frutto», e pépon cioè «popone». Con il nome melone si indica sia il frutto, sia la pianta. Che è la Cucumis melo, diminutivo appunto di Cucumis melopepon, infatti in alcuni dialetti italiani il melone è chiamato popone. Appartenente alla famiglia delle cucurbitacee, il melone è un classico dell’alimentazione estiva assieme all’anguria. Sono le grandi sfere di frutta estive che ci dissetano masticando, con una differenza importante. Il cocomero si mangia più da solo che come ingrediente, il melone si mangia da solo, ma è anche ingrediente, in primo luogo di un piatto diffusissimo nella nostra cucina che è anche un raro piatto agrodolce, prosciutto e melone. esportato dagli egiziSi è sempre creduto che il melone fosse arrivato in Italia grazie all’esportazione da parte del popolo egizio nel V secolo a.C. nel bacino del Mediterraneo. Nel suo libro Naturalis Historia Plinio scriveva che vi fosse giunto nella prima età imperiale, ma sull’avvento del frutto in epoca romana sono sorti grossi dubbi dopo le scoperte archeologiche in Sardegna che hanno riportato alla luce semi di melone databili a epoca decisamente preromana, cioè all’età del Bronzo (tra il 1310-1120 a.C., epoca nuragica), nel sito archeologico di Sa Osa a Cabras, Oristano. Però, durante l’Impero Romano, il melone si diffuse molto: addirittura, un editto dell’imperatore Diocleziano tassava gli esemplari di melone con peso superiore a 200 grammi. Allora si mangiava anche in insalata e l’abitudine di associarlo al salato è infatti di derivazione romana. Secondo le teorie del medico Galeno, bisognava associare ai cibi freddi e umidi come la frutta, che da soli avrebbero potuto spegnere il «fuoco interno» che scaldava il corpo umano, cibi caldi e secchi, come il vino oppure il prosciutto, in grado di mitigarne gli effetti. Sì, anche gli antichi Romani mangiavano il prosciutto benché essi lo chiamassero perna, cioè coscia e, sulla scia del prosciutto e melone, anche altre accoppiate agrodolci come formaggio e pere, pesche con il vino, pane tostato con miele e caciofiore (una specie di pecorino) o con prosciutto e fichi, abbinamenti che ancora facciamo. In un menù di agosto proposto da Pellegrino Artusi nel suo La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene compare (tra i principii, cioè antipasti) il «Popone col prosciutto e vino generoso perché giusta il proverbio: “Quando sole est in leone / pone muliem in cantone / bibe vinum cum sifone”, cioè: “Quando il sole è nel Leone / metti le donne nel cantone / bevi vino col sifone”». Anche Alexandre Dumas padre aderisce al canone antico-romano di consumo salato e «annaffiato», infatti scrisse: «Per rendere il melone digeribile, bisogna mangiarlo con pepe e sale, e berci sopra un mezzo bicchiere di Madera, o meglio di Marsala». Ne era goloso, tanto che acconsentì alla richiesta di volumi, donandone circa 400, della biblioteca della città di Cavaillon, nota località francese di coltivazione di meloni, chiedendo in cambio un vitalizio di 12 meloni l’anno, cosa che accadde fino alla sua morte nel 1870. Nel 1988 è stata perfino istituita in suo onore la Confraternita dei cavalieri dei meloni di Cavaillon. Nell’antichità il melone era considerato un simbolo di fecondità, forse per via del gran numero di semi che contiene al suo interno, ed era anche associato al concetto di sciocchezza e goffaggine, infatti lo sciocco era anche detto mellone e la sciocchezza mellonaggine, sempre per il tramite del simbolismo iperriproduttivo, perché riprodursi senza controllo era considerato poco intelligente, un po’ come dire che il coniglio, altro esempio di riproduzione «allegra», sia, per questo motivo, stupido. In tempi nei quali la voluntary childlessness, cioè la volontaria non procreazione, anche detta no kidding, che identifica il popolo dei childfree, è un movimento e anche gli uomini che mettono al mondo figli sono considerati degli sciocchi, non stupiamoci. E non stupiamoci nemmeno del fatto che altri affermavano l’esatto contrario, associando il melone all’infertilità, come il medico e botanico rinascimentale Castore Durante che nel suo Herbario Nuovo del 1585 scrisse che i meloni «sminuiscono il seme genitale». Perciò ammoniva di non abusarne. Una proprietà certamente presunta e non vera, ma prima di volgerci a quelle vere, una piccola ricognizione. Diversamente da ciò che si dedurrebbe credendo unica quella a palla da baseball, il melone può avere altre forme, a seconda della varietà. Varietà che si dividono in due categorie. La prima è quella del melone come frutto, raccolto a fine maturazione, come il cantalupensis o cantalupio (medio-grande, con epicarpo liscio e polpa giallo-arancio, chiamato così perché portato da missionari asiatici al castello pontificio della cittadina di Cantalupo, in provincia di Rieti), il reticulatus o melone retato (medio, polpa bianca o giallo-verde, epicarpo dalla superficie reticolata) e l’inodorus o melone d’inverno (dalla polpa biancastra o appena rosata e con la buccia liscia). tondo e ovaleLa seconda è quella del melone come ortaggio, che deve essere raccolto prima della maturazione. A essa appartengono i meloni del tipo flexuosus, chiamati serpentini, tortarelli o cocomeri di Turchia, di colore verde e usati crudi e salati, proprio come se fossero cetrioli, dei quali ricordano un po’ la forma, infatti sembrano lunghi cetrioli piegati a semicerchio a mo’ di boomerang; poi, quelli del tipo momordica anche detto melone amaro o zucca spinosa o zucca della colonna vertebrale, che si usa per lo più come pianta medicinale e si può trovare in forma di integratore in farmacia (alcuni studi sostengono che, grazie al contenuto di polipeptide-P, abbia effetto simile a quello dell’insulina, regolando i livelli di zucchero nel sangue nei diabetici). La nostra pianta di melone normale è un’annuale rampicante, con fusto peloso, strisciante e ramificato con cirri (viticci), foglie lunghe con picciolo altrettanto lungo, fiori gialli a 5 lobi molto belli e abbondanti che però si trasformano in frutti solo nella misura del 10%. Il melone è ottimo trasformato in confettura e in composta: provate a farle in casa, visto che non è molto facile trovarle proprio perché il melone si mangia preferibilmente fresco a fette. Sono squisite. Il melone ha soltanto 33 calorie ogni 100 grammi, suddivisi in 90,1 grammi di acqua, 0,8 grammi di proteine, 0,2 grammi di lipidi, 7,4 grammi di carboidrati di cui tutti zuccheri complessi, fibra totale 0,70 grammi di cui solubile 0,19 grammi e insolubile 0,55. Tra semi e buccia, scartiamo circa il 53% del melone e la sua restante parte edibile ci fornisce innanzitutto uno snack - o un ingrediente, se consumato insieme ad altro - dissetante e ricco di vitamine e sali minerali che ci aiutano a contrastare la stanchezza e proteggere la pelle dal sole, tipiche esigenze estive. combatte la stanchezzaIl melone è ricco di vitamina C, 32 milligrammi su 100 grammi, circa il 35% del fabbisogno giornaliero maschile che è di circa 90 milligrammi e il 46% del fabbisogno femminile che è di circa 70 milligrammi. La vitamina C è una vitamina termolabile, come anche le vitamine B1 (ne contiene 0,05 milligrammi), B2 (0,04 milligrammi) e B3 o PP (0,6 milligrammi). Termolabile è anche la vitamina A che nel melone, essendo un vegetale, troviamo in forma di retinolo equivalente (189 microgrammi). Perciò, consumando il melone crudo, si acquisiscono integre. La vitamina C o acido ascorbico ci è necessaria per molte reazioni metaboliche e la biosintesi di aminoacidi, ormoni e collagene. È un fortissimo antiossidante che contrasta i radicali liberi, perciò fortifica il sistema immunitario ed è un preventivo tumorale soprattutto per lo stomaco (si assume durante febbre e influenza perché in grado di accorciarne la durata). La vitamina B1 (tiamina), come la B2, contribuisce al processo di conversione del glucosio in energia, tanto che è chiamata «vitamina del morale» perché tira su anche l’umore e l’attenzione. La vitamina B3, detta anche niacina oltre che PP (preventiva della pellagra), ha anch’essa un ruolo importante per il sistema nervoso, protegge la pelle e aiuta la digestione. La vitamina A fortifica il sistema immunitario, aiuta la vista coadiuvando la visione notturna, protegge la pelle dai danni dell’esposizione solare, è un potente antiossidante perché combatte i radicali liberi responsabili dell’invecchiamento cellulare e protegge anche dal cancro, soprattutto da quello alla prostata. La vitamina A è anche liposolubile, viene assorbita insieme ai lipidi e si immagazzina a livello epatico. Ecco perché conviene non sgrassare il prosciutto quando prepariamo prosciutto e melone.
Charlie Kirk (Getty Images). Nel riquadro Tyler Robinson
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