2021-10-06
«Speranza mi ignorò su cure e monoclonali»
Nel suo libro, Ranieri Guerra svela di aver sostenuto fin dall'inizio la necessità di trattare i malati con le terapie domiciliari e gli anticorpi Inoltre, propose l'utilizzo dei mezzi privati per potenziare il trasporto pubblico. Ma le indicazioni furono trascurate dal ministero.Ogni pagina un disastro. Ieri abbiamo presentato ai lettori della Verità una piccola anticipazione del contenuto di un libro intitolato Bugie, verità, manipolazioni. Controstoria della pandemia appena pubblicato da Piemme e firmato da Ranieri Guerra. Quest'ultimo, come noto, dall'11 marzo 2020 all'estate 2021 è stato special adviser dell'Organizzazione mondiale della sanità in Italia. In buona sostanza, è stato mandato dall'Oms a supportare il nostro governo e, in particolare, il ministro Roberto Speranza nella gestione del Covid, diventando una sorta di membro aggiunto del Comitato tecnico scientifico. Come siano andate poi le cose si sa: dopo il caso del rapporto Oms sulla gestione della pandemia (curato da Francesco Zambon e altri) misteriosamente fatto sparire, Guerra ha lasciato l'organizzazione. Ma non è rimasto con le mani in mano: ha appunto dato alle stampe un volume che ricostruisce nel dettaglio la sua esperienza a fianco dell'esecutivo. Mentre lo si sfoglia sembra di assistere a una sistematica opera di demolizione dell'operato di Speranza e soci. Ieri, dicevamo, abbiamo dato conto di una parte delle pesanti critiche mosse da Guerra: mancati controlli sugli ingressi di cinesi in Italia; mancata attivazione del piano pandemico, seppure datato; clamorosi ritardi sulle mascherine. Ma l'inquietante elenco non è finito: ci sono vari altri passaggi del testo che meritano di essere esaminati. Il primo riguarda la tanto discussa gestione dei trasporti. Fin da subito, i mezzi pubblici sono stati indicati come fenomenali vettori di contagio, e per mesi i politici di ogni ordine e grado hanno continuato a ribadire la necessità di intervenire sul settore. Qualcuno fece anche proposte costruttive non furono recepite. Guerra si colloca fra questi inascoltati: «Tra le mie proposte», scrive, «vi fu quella di indicare all'allora ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti l'opportunità di coinvolgere il settore del trasporto privato, fermo a causa del lockdown, per risolvere al contempo due problemi: il rafforzamento del trasporto pubblico e il sostegno economico a una categoria rimasta senza lavoro. Ci sarebbero stati benefici per tutti, ma anche in quel caso non se ne fece nulla - per ragioni, immagino, ideologiche: tutto quello che è privato non è considerato parte del sistema». Niente male: a quanto pare, per l'ennesima volta, l'ideologia si è imposta sulla tanto sbandierata «scienza», finendo per danneggiare tutti. Il governo di allora non si è fatto scrupoli a chiuderci tutti in casa, ma non ha nemmeno preso in considerazione l'ipotesi di rivolgersi immediatamente ai privati per mettere in sicurezza i trasporti. Certo, la faccenda non è nuova e a suo tempo anche il nostro giornale si è molto speso sul tema. Ma ora a infilare il dito nella piaga non è un semplice cronista, bensì un signore che è stato per parecchio tempo nelle stanze dei bottoni, e che ha partecipato direttamente alla gestione dell'emergenza, per lo meno come consulente. Ma andiamo avanti, perché il meglio deve ancora venire. Guerra, infatti, fornisce un'ultima informazione di enorme interesse. Racconta, infatti, quel che successe a proposito delle famose «cure domiciliari» su cui da mesi ci si scanna più o meno ovunque. Lo sappiamo: quando il virus si è abbattuto sull'Italia alcuni medici di base non hanno seguito i pazienti, altri invece hanno cercato di affrontare la malattia con le armi che avevano. Alcuni di questi (migliaia, a dire il vero) hanno condiviso le loro esperienze nel tentativo di elaborare un protocollo di cura precoce che consentisse di salvare vite o comunque di evitare ospedalizzazioni. Sentite che dice Guerra al riguardo. «Nel frattempo», scrive, «avevo fatto notare ai miei colleghi che mancava anche un'altra sorveglianza: quella domiciliare, riguardante i pazienti che potevano essere gestiti e valutati da casa senza intasare le strutture ospedaliere». Pensate un po': non solo è possibile intervenire a domicilio sui pazienti, ma si sarebbe dovuto fare da subito. A parere di Guerra, «questa è un'altra grande occasione persa, al di là delle recenti polemiche - purtroppo sempre politicizzate - relative alle terapie domiciliari. La sorveglianza domiciliare sarebbe stata uno strumento cruciale non solo per diminuire il carico sugli ospedali, ma anche per garantire la tempestività degli accessi». Incredibile: oggi in giro c'è chi tratta come criminali i sostenitori delle cure domiciliari, e adesso arriva Ranieri Guerra a dire che bisognava curare i pazienti a casa? E non è tutto, perché il nostro esperto prosegue parlando «dei molto celebrati anticorpi monoclonali, che, per avere un'azione terapeutica efficace, devono essere somministrati nelle prime ore dell'infezione. All'atto pratico, su questo fronte venne fatto troppo poco: nessuno opponeva resistenza, ma nessuno dava seguito alla proposta».Chiaro? Le cure precoci servivano, i monoclonali pure, ma tutto ciò è stato trascurato. Vero, nel libro Guerra prova a scaricare parte della responsabilità sul suo «Grande Avversario» Francesco Zambon. Ma è inutile girarci intorno: le parole dell'ex funzionario sono pesantissime, e ricadono tutte sulle spalle del ministero guidato da Speranza e sui vari espertoni che ne hanno guidato le scelte. Curare si doveva, ma non lo abbiamo fatto. E qualcuno, prima o poi, dovrà renderne conto.
(Guardia di Finanza)
I peluches, originariamente disegnati da un artista di Hong Kong e venduti in tutto il mondo dal colosso nella produzione e vendita di giocattoli Pop Mart, sono diventati in poco tempo un vero trend, che ha generato una corsa frenetica all’acquisto dopo essere stati indossati sui social da star internazionali della musica e del cinema.
In particolare, i Baschi Verdi del Gruppo Pronto Impiego, attraverso un’analisi sulla distribuzione e vendita di giocattoli a Palermo nonché in virtù del costante monitoraggio dei profili social creati dagli operatori del settore, hanno individuato sette esercizi commerciali che disponevano anche degli iconici Labubu, focalizzando l’attenzione soprattutto sul prezzo di vendita, considerando che gli originali, a seconda della tipologia e della dimensione vengono venduti con un prezzo di partenza di circa 35 euro fino ad arrivare a diverse migliaia di euro per i pezzi meno diffusi o a tiratura limitata.
A seguito dei preliminari sopralluoghi effettuati all’interno dei negozi di giocattoli individuati, i finanzieri ne hanno selezionati sette, i quali, per prezzi praticati, fattura e packaging dei prodotti destavano particolari sospetti circa la loro originalità e provenienza.
I controlli eseguiti presso i sette esercizi commerciali hanno fatto emergere come nella quasi totalità dei casi i Labubu fossero imitazioni perfette degli originali, realizzati con materiali di qualità inferiore ma riprodotti con una cura tale da rendere difficile per un comune acquirente distinguere gli esemplari autentici da quelli falsi. I prodotti, acquistati senza fattura da canali non ufficiali o da piattaforme e-commerce, perlopiù facenti parte della grande distribuzione, venivano venduti a prezzi di poco inferiori a quelli praticati per gli originali e riportavano loghi, colori e confezioni del tutto simili a questi ultimi, spesso corredati da etichette e codici identificativi non conformi o totalmente falsificati.
Questi elementi, oltre al fatto che in alcuni casi i negozi che li ponevano in vendita fossero specializzati in giocattoli originali di ogni tipo e delle più note marche, potevano indurre il potenziale acquirente a pensare che si trattasse di prodotti originali venduti a prezzi concorrenziali.
In particolare, in un caso, l’intervento dei Baschi Verdi è stato effettuato in un negozio di giocattoli appartenente a una nota catena di distribuzione all’interno di un centro commerciale cittadino. Proprio in questo negozio è stato rinvenuto il maggior numero di pupazzetti falsi, ben 3.000 tra esercizio e magazzino, dove sono stati trovati molti cartoni pieni sia di Labubu imbustati che di scatole per il confezionamento, segno evidente che gli addetti al negozio provvedevano anche a creare i pacchetti sorpresa, diventati molto popolari proprio grazie alla loro distribuzione tramite blind box, ossia scatole a sorpresa, che hanno creato una vera e propria dipendenza dall’acquisto per i collezionisti di tutto il mondo. Tra gli esemplari sequestrati anche alcune copie più piccole di un modello, in teoria introvabile, venduto nel mese di giugno a un’asta di Pechino per 130.000 euro.
Soprattutto in questo caso la collocazione all’interno di un punto vendita regolare e inserito in un contesto commerciale di fiducia, unita alla cura nella realizzazione delle confezioni, avrebbe potuto facilmente indurre in errore i consumatori convinti di acquistare un prodotto ufficiale.
I sette titolari degli esercizi commerciali ispezionati e destinatari dei sequestri degli oltre 10.000 Labubu falsi che, se immessi sul mercato avrebbero potuto fruttare oltre 500.000 euro, sono stati denunciati all’Autorità Giudiziaria per vendita di prodotti recanti marchi contraffatti.
L’attività s’inquadra nel quotidiano contrasto delle Fiamme Gialle al dilagante fenomeno della contraffazione a tutela dei consumatori e delle aziende che si collocano sul mercato in maniera corretta e che, solo nell’ultimo anno, ha portato i Baschi Verdi del Gruppo P.I. di Palermo a denunciare 37 titolari di esercizi commerciali e a sequestrare oltre 500.000 articoli contraffatti, tra pelletteria, capi d’abbigliamento e profumi recanti marchi delle più note griffe italiane e internazionali.
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