2022-04-19
Il sorriso eterno di Catherine Spaak. La ragazza ideale degli anni Sessanta
Morta l’attrice d’origine belga che con la sua eleganza ha stregato generazioni di spettatori: salì alla ribalta con «La voglia matta» accanto a Ugo Tognazzi. Mai volgare, incarnò alla perfezione l’immaginario dei giovani.Avendo deciso di lasciarci per sempre, Catherine Spaak non solo si porta via il suo sorriso eterno, la voce delicata e dolce, il portamento elegante di una ragazza splendida mai invecchiata davvero, di una intelligenza raffinata e curiosa. Si porta via il sogno degli anni Sessanta. La stagione più bella per gli italiani che hanno avuto la fortuna di viverla (e anche per quelli che l’hanno solo sognata). Da vecchi. Da giovani. Da adolescenti. In cerca di lavoro o ben sistemati. Ricchi o poveri. Meridionali o settentrionali. Con il diploma preso alle scuole serali o con la laurea. È stata una stagione unica e irrepetibile. Le famiglie erano numerose. C’era il babbo e la mamma. I nonni in casa. La domenica si metteva l’abito della festa e si compravano le paste. La sale cinematografiche, con le seggiole di legno, si riempivano all’inverosimile. L’estate le città si svuotavano e si correva tutti al mare. C’eravamo lasciati alle spalle le paure e le ristrettezze della guerra. Il boom economico si manifestava in ogni angolo. La felicità bussava quasi a ogni porta. Le gonne si accorciavano. La musica scandiva l’esistenza. Nel decennio precedente sullo schermo avevano trionfato le maggiorate e le ragazze povere seppur belle. Poi arrivò Catherine. Francese di origine belga. Ricca e di ottima famiglia. Molto diversa dalle italiane alla moda. Sapeva cantare e ballare. Parlava un italiano dolcissimo, talvolta quasi sussurrato, con la erre arrotata. Esplose con La voglia matta (1962) di Luciano Salce. Un tipico industriale milanese di mezza età (l’ineguagliabile e indimenticabile Ugo Tognazzi), si imbatte in una comitiva di giovani. Ha tutto: la fabbrica, l’auto sportiva, il danaro. È un uomo di successo. Sfrontato. Sicuro di sé. Domina il mondo. Nella comitiva c’è Francesca. Suona la chitarra e canta. È carina da morire. Gli piace. Lei lo provoca. Lui è certo di conquistarla. Invece di passare una serata al night club si aggrega alla compagnia. È un matusa. Si toglie prima la cravatta. Poi la giacca. Anche le scarpe. Ma è patetico. Sprofonda nel ridicolo, diventando lo zimbello di quei giovani che pensava di dominare. Convinto di sedurre la ragazza con estrema facilità, si rende conto che è lei ad averlo illuso. Sembrava ingenua e indifesa. A portata di mano. Il padrone della fabbrichetta col portafogli gonfio, davanti alla ragazza yè yè si scopre vecchio. Il mondo è loro. Saranno loro a guidare la rivoluzione antropologica. Francesca un decennio dopo avrà la gonna lunga a fiori, leggerà il Libretto rosso di Mao e Porci con le ali di Marco Lombardo Radice e Lidia Ravera, rivendicherà la propria autonomia sessuale, magari lancerà anche qualche sasso e persino una molotov. Due decenni dopo Francesca avrà la gonna stretta grigia e firmata. Si muoverà in aereo, regolarmente in prima classe, tra la Milano da bere e la New York da mangiare. Francesca è stata la sorella più grande della prima e la zia adorata della seconda. Ma, onestamente, è stata anni luce diversa da entrambe. Della prima non aveva la testardaggine e la stoltezza ideologica. Rispetto alla seconda era priva dell’aridità umana e dalla sete di comando. Francesca/Catherine di La voglia matta è stata la ragazza ideale, vissuta miracolosamente in una stagione ideale. Libera senza eccessi. Emancipata senza arie da salvatrice dell’universo. Ben vestita senza stravaganze finto povere o finto ricche. Forbita nel parlare priva di sconcezze. L’icona di un’esistenza dolce, spensierata. Sicura che il passato non fosse un ingombro. Che il presente si dovesse vivere senza troppi problemi. E che il futuro, tutto sommato, riservasse piacevoli sorprese. Francesca/Catherine ha rappresentato al meglio l’immagine dei giovani non ancora diventati «ggiovani». Aveva la sana voglia di vivere. Non la voglia matta di vivere. Dopo quella magica apparizione in bianco e nero, Francesca/Catherine è stata tutto: cantante, presentatrice, opinionista, ospite, intrattenitrice, ricercatrice delle nuove forme della spiritualità, salutista. È stata questo, e altro ancora, con intelligenza, ironia, eleganza, semplicità. Il mondo dello spettacolo, nel frattempo diventato sempre più sguaiato e volgare, non l’ha contaminata. Da ragazza del proprio tempo, ha attraversato il cambiamento, integrandosi ma senza troppi entusiasmi. In fondo, non si è spostata troppo dall’ideale della gioventù. Scoprire il mondo senza paura. Orgogliosa di essere donna senza estremismi femministi. Comunicare senza ricerca del protagonismo. Come tutte le storie anche quella di Francesca/Catherine ha una fine. Non è un lieto fine, poiché l’addio lascia sempre l’amore in bocca, lo scorrere delle lacrime, la tristezza del tramonto dopo una giornata luminosa. E allora salutiamo questa nostra amica e sorella d’Oltralpe con le parole, allegre e ritmate, di una sua canzone: «Noi siamo i giovani, i giovani, più giovani / noi siamo i giovani, l’esercito del surf».