2025-05-17
Solo l’amore di Cristo ci salva dalle tenebre
In un’omelia inedita, Benedetto XVI rilegge la guarigione del cieco nato. Un miracolo e un segno per l’uomo di oggi che non vede Dio Ma anche un simbolo del Battesimo, che immerge tutti quelli che lo ricevono nel mistero di Gesù. Trasformandoli in figli della luce.Cari amici,nella storia della guarigione del cieco nato, l’evangelista San Giovanni fa trasparire tutto il mistero di Dio e dell’uomo, ci mostra che i miracoli del Signore non sono semplici fatti momentanei, ma sono segni, trasparenza del mistero di Dio, apparizione della verità.Anzitutto osserviamo che quest’uomo, il quale non può vedere, rappresenta l’umanità segnata dal peccato originale. Questa umanità è incapace di vedere Dio, di vedere, di conoscere la verità, di vedere l’essenziale. Certo, non può mai ignorare totalmente Dio, perché Dio è inscritto profondamente nel nostro essere, nel nostro cuore. Qualche visione, qualche idea di Dio c’è sempre; talvolta si avvicina molto alla vera visione di Dio, ma non vi arriva mai realmente, neppure nei più grandi tentativi di spiriti elevati o di grandi religioni; talvolta invece diventa una vera caricatura.Tuttavia, mai l’uomo segnato dal peccato originale riesce a vedere bene, in realtà, chi è Dio, il volto di Dio. Per guarire l’uomo decaduto, Dio stesso deve intervenire, deve farsi suo medico, deve entrare nella storia umana. I Padri della Chiesa dicono che il canto degli angeli a Natale sarebbe nato dalla loro gioiosa sorpresa per il fatto che quel Dio, che fino ad allora conoscevano nella grande saggezza delle strutture del cosmo, quel Dio creatore è entrato nella storia, si è reso una figura nella storia. Questa gioiosa sorpresa si realizza qui in modo molto concreto.San Giovanni racconta questa storia in tre tappe. La prima è rappresentata dal fango, che il Signore mette sugli occhi del cieco nato. È difficile da interpretare che cosa ciò voglia dire, che cosa significhi. Sant’Agostino ha dato un’interpretazione, allegorica e un po’ forzata, che però mi sembra guidarci sulla strada giusta. Sant’Agostino chiama questo fango «collirio» e il collirio è composto, come vediamo nel Vangelo, da due elementi: terra e saliva. La saliva nel mondo antico era considerata come il respiro materializzato, come comunicazione dell’anima; così sant’Agostino vede in questa composizione tra terra e respiro di Gesù un simbolo dell’umanità di Gesù. Perciò, conoscere l’umanità di Gesù, incontrare l’uomo Gesù sarebbe il primo passo verso la guarigione. Forse è forzato, ma in ogni caso mi sembra che sia un simbolo del catecumenato, dell’avvicinarsi a Gesù, del cominciare a vedere la sua figura, del cominciare a conoscere dapprima l’uomo Gesù per poi arrivare al Figlio dell’uomo, al Figlio di Dio.Un movimento simile a quello che pure San Giovanni ci racconta, quando i primi discepoli seguono con un po’ di ansia Gesù e alla fine osano dire: «Dove abiti?» (Gv 1,38).Questo primo momento di guarigione è sempre nuovamente necessario anche per noi: conoscere l’uomo Gesù, avvicinarsi a Lui, sapere dove abita, seguirlo.La seconda tappa è il bagno nella piscina di Siloe. San Giovanni sottolinea che Siloe vuol dire «l’inviato». Ciò indica il mistero di Gesù, che è l’inviato da Dio, colui nel quale Dio stesso entra nella storia, esce dalla grandezza della sua gloria e diventa uomo in questa storia umana.Il bagno nella piscina di Siloe significa immergersi, essere immerso nel mistero di Gesù, essere penetrato dal mistero di Gesù, che ci lava dall’interno, entra nell’intimo del nostro essere.È facile riconoscere che questo bagno nella piscina di Siloe, cioè nell’inviato, è simbolo del Battesimo stesso, della nostra immersione nel mistero di Gesù che avviene in questo sacramento. Ciò vuol dire che non basta conoscere Gesù, avere le idee di Gesù, leggere la Scrittura, ma che abbiamo bisogno di una sua azione, abbiamo bisogno della sua Chiesa, abbiamo bisogno di essere immersi nel suo mistero, nei sacramenti.Così, da una parte, appare l’unicità del sacramento del Battesimo, questo atto in cui Gesù stesso agisce, con cui ci immerge nella sua stessa umanità e divinità e, dall’altra, si vede che è anche simbolo di una realtà che deve continuare nella nostra vita, che occorre lavarci sempre di nuovo nell’inviato, nel mistero di Gesù, che è necessario lasciar «lavare» i nostri pensieri, i nostri affetti, la nostra volontà, ed entrare nella comunione con la Santa Chiesa, nella vita dei sacramenti, nella vita di preghiera, nella meditazione, nell’incontro con Gesù nella Chiesa. Che abbiamo bisogno di lasciarci immergere, penetrare sempre più dal mistero di Dio, di essere sempre più battezzati, sempre più uniti al suo essere e rinnovati, non solo essere «bagnati» ma rinati.Infine, la terza tappa. Il cieco nato, il quale sapeva solo che l’uomo che l’aveva guarito si chiama Gesù, lo riconosce come Figlio di Dio, Figlio dell’uomo; crede e adora.Questa parola: «Si prostrò», nel testo greco del Vangelo prosekinesen (Gv 9,38), che vuol dire non solo il gesto esterno del prostrarsi, ma il gesto totale dell’essere di un uomo, l’adorazione del corpo e del cuore.Alla fine il cieco nato crede, e credere è adorare, e solo così finalmente egli vede, vede non solo con gli occhi corporali ma vede anche col cuore, vede con la sua mente, è realmente illuminato, diviene uno che è guarito, e vede quanto dobbiamo vedere per vivere realmente, per arrivare alla vera vita.Solo l’atto della fede in Gesù che diventa adorazione è l’illuminazione completa e perfetta. Solo chi adora Dio in Cristo Gesù, solo chi crede in Cristo e lo adora, vede bene, è realmente arrivato alla luce, è figlio della luce. Questo duplice atto - credere e adorare - non è solo una realtà intellettuale o esteriore, ma penetra la vita; significa riconoscere l’autorità di Gesù e sottometterci in tutta la nostra vita alla sua autorità, e così vedere bene, essere figli della luce.Come dice la seconda lettura, il mistero di questa guarigione è che non riceviamo solamente in modo passivo la luce, ma noi stessi diventiamo luce, figli della luce, o, come dice San Paolo ai Filippesi, diveniamo stelle nella notte del mondo (cfr. Fil 2,15). Anche noi, con Cristo, diveniamo luce. Per questo preghiamo che Gesù ci guarisca completamente, così che non solo lo possiamo vedere, come oggetto del nostro vedere, ma diventiamo noi stessi attivamente, con Lui, luce in questo mondo.Tutto ciò la Chiesa ci annuncia in questa Domenica Laetare, nella domenica della gioia; così vuol dirci che tutto quanto abbiamo appena ascoltato è il motivo della vera gioia che il Vangelo ci porta. La gioia: Dio mi conosce, Dio mi ama, Dio si occupa di me. La grande sorpresa degli angeli nella notte di Natale, perché questo Dio che conoscevano nella bellezza del mondo si era fatto uomo nella storia, questa sorpresa gioiosa dovrebbe essere anche la nostra sorpresa sempre nuova: che il grande Dio mi conosce, si occupa di me, mi ama, e io posso conoscerlo, anzi, posso essere in contatto con Lui, camminare con Lui, sperimentare che Lui è mio amico.Nelle correnti teologiche post-conciliari, è stato detto che in questa gioia - dell’essere conosciuti da Dio e del conoscerlo - vi sarebbe un trionfalismo incompatibile con l’umiltà cristiana. Questo è un grande errore. Non è un vanto il fatto che noi conosciamo, è un dono, è un dono sorprendente! Come Israele riconosceva nei Salmi e si rallegrava, dicendo: «A nessun altro popolo Dio si è rivelato, a noi ha mostrato la sua parola» (cfr. Sal 147,19s).Che gioia conoscere la tua volontà, Signore, che gioia nell’oscurità della vita conoscere Te e conoscere la vita, essere in contatto con Te! Tanto più questa gioia vale per noi, perché Dio non si è più mostrato solo come legge, come parola, ma si è mostrato come uomo, come figlio dell’uomo, come uno di noi, come uno che mi ama e, nei sacramenti, si dà nelle mie mani, si offre al mio cuore. Questa gioiosa sorpresa dovrebbe essere il motivo del Laetare di questa domenica, del riconoscere realmente che la fede è Vangelo ed è luce.Preghiamo il Signore perché ci guarisca sempre di nuovo, ci aiuti a vedere e ci doni questa grande gioia: «Egli è con me, è luce, e con Lui posso essere anch’io nella luce. La sua grazia è sempre più grande della mia debolezza, il Signore è luce della mia vita». Amen!
Marco Risi (Getty Images)
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