2023-01-11
I soldi per coprire lo sconto sulle accise si trovano tagliando i sussidi all’elettrico
Giancarlo Giorgetti e Matteo Salvini (Ansa)
Eliminando gli incentivi verdi il governo può reperire i fondi per calmierare la benzina. Ma intanto è ripartito l’ecobonus.Dalle 10 di ieri mattina è ripartita la ridda degli incentivi all’auto elettrica. Si tratta di 600 e rotti milioni destinati a chi vuole acquistare una vettura totalmente elettrica oppure una ibrida. Qualche spicciolo anche per le due ruote. Il tutto con un criterio di assegnazione legato alla fascia di emissioni con il rischio tra l’altro che su alcune categorie i fondi si esauriscano subito e su altre invece restino a giacere nel cassetto dell’ecobonus. A noi non interessa però l’efficienza della spesa ma proprio il concetto di spesa in sé. È sempre più chiaro che il veicolo che funziona senza energia tradizionale è destinato a una categoria di persone in grado di spendere. Sia per via del costo dell’auto sia per via dei costi crescenti delle ricariche. Si pone dunque un tema prettamente politico: perché continuare a sussidiare vetture destinate a fasce di reddito alte e invece penalizzare chi ha introiti economici più bassi e si trova per necessità a fare il pieno di benzina alla vecchia auto? In questi giorni è scoppiato il tema accise. O meglio la fine dello sconto di 18 centesimi al litro sostenuto dal governo di Mario Draghi. Varrebbe la pena per la prima volta legare i due concetti e attendersi una risposta chiara dal governo. Che tipo di politiche vuole sostenere?Prima di cercare di dare una risposta vale la pena svolgere una breve premessa. Nel corso del 2022 la riduzione delle imposte sui carburanti è stata finanziata in gran parte grazie all’extragettito assicurato proprio dagli aumenti del prezzo dei carburanti, ma il meccanismo di copertura non vale più dato che nel settembre scorso, con la nota di aggiornamento al Def, si è stabilito di considerare l’extragettito non più una maggiore entrata per i conti pubblici, bensì un incasso ordinario, dunque non utilizzabile per finanziare gli sconti. Dal primo gennaio il governo Meloni avrebbe dovuto trovare un’altra copertura per sostenere un’operazione che pesa per le casse circa 1 miliardo al mese. Non solo. Da Bruxelles poco prima di Natale è arrivata la raccomandazione di eliminare i bonus generalizzati, sostituendoli con misure più selettive e mirate in modo di avere aiuti in grado di seguire la logica della progressività. Tradotto in altre parole l’escamotage usato dall’esecutivo Draghi con un occhio di riguardo Ue non era più valido per il 2023. D’altra parte il nuovo governo ha scelto di stanziare oltre 22 miliardi della manovra contro il caro bollette nonostante abbia più volte fatto campagna elettorale contro l’enorme peso delle accise su un singolo litro di benzina. Ha evidentemente sottostimato l’aspetto comunicativo. Nascondersi dietro alle presunte speculazioni serve a poco. Tanto più che ieri uno dei ministeri che compone l’esecutivo, quello guidato da Gilberto Pichetto Fratin, ha tagliato la testa al toro. «Nella prima settimana di gennaio il ministero dell’Ambiente ha rilevato nel consueto monitoraggio nazionale un aumento dei prezzi sostanzialmente in linea con il rialzo dovuto alla mancata proroga del taglio delle accise», si legge in una nota diffusa ieri. «La benzina è salita da 1,644 euro a 1,812 euro al litro con un aumento di 16,8 centesimi. Il gasolio è passato da 1,708 a 1,868 euro, con un rialzo dei 16 centesimi. Dal primo gennaio il rialzo delle accise è stato di 18 centesimi». Un testo che appare tombale e ci riporta alla necessità di dire basta escamotage. Se questo governo crede che le tasse siano eccessive e colpiscano le classi più povere - costrette a pagare per fare un pieno più caro e a spendere di più quando acquistano beni per il 75% trasportati su camion a gasolio - allora le tagli e basta. Se i fondi non ci sono dovrà fare una scelta. L’idea che proviamo a lanciare è semplice. Tagliare gli incentivi all’elettrico e tagliare altri incentivi per racimolare almeno 6 miliardi l’anno. Il risultato potrebbe essere quello di garantire un taglio definitivo e stabile delle accise. Almeno 10 centesimi al litro. Siamo consapevoli che il miliardo e 200 milioni (in tre anni) serva a poco. Sarebbe però il segno di una scelta di fondo. Per il resto si potrebbe riorganizzare anche il sistema di incentivi alle rinnovabili. Tra il 2010 e il 2020 in Italia sono stati spesi ben 85 miliardi di euro in energia rinnovabile. La Francia, per fare un paragone più vicino a noi, ha speso nello stesso lasso di tempo soltanto la metà. Tutta questa montagna di euro è stata sovvenzionata dalle tasche degli italiani in termini di denaro pubblico, ma soprattutto in termini di bollette. Uno dei motivi per i quali da noi l’energia elettrica costa mediamente il 25% rispetto agli altri Stati europei sta nel fatto che, a partire dal 2018, nelle bollette vengono inseriti oltre 11 miliardi di oneri di sistema di incentivazione. Grazie a questa enorme partita di giro, l’Italia è il settimo Paese al mondo nella classifica sugli investimenti per le rinnovabili. Stando ai diktat e alle scelte dell’Ue dovremmo ritrovarci in piazza a stappare champagne o prosecco. Siamo stati i più virtuosi. Nessuno però si era preso la briga di spiegare agli italiani che arrivare primi in questa gara significa anche vincere lo scettro fatto del binomio ambiente-povertà. Con la crisi energetica alcuni criteri stanno cambiando ma al momento nessun governo europeo ha dato un segnale di vero cambio di passo. Al contrario si subiscono sempre più i diktat di Bruxelles e della Bce. Nel frattempo il cdm di ieri si è limitato a un decreto make up che serve ad alzare l’asticella di controllo sui prezzi del carburante. Per evitare insomma qualunque forma di irregolarità. Nulla però che riconduca il tema al livello che merita: quello di una scelta di fondo politica.