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2018-06-14
Soldi, armi e Libia dietro gli attacchi di Macron
ANSA
Ma davvero è pensabile che il livello dello scontro diplomatico tra Francia e Italia sia da attribuire solo alla pur drammatica vicenda della Aquarius? Vicenda nella quale, è giusto ricordarlo, Parigi non c'entra nulla, né è stata in alcun modo coinvolta dal nostro governo né dai partiti che lo sostengono fino alle incredibili dichiarazioni dell'altro ieri?
Emmanuel Macron è stato peraltro il primo presidente in assoluto a congratularsi con Giuseppe Conte durante il primo, effimero incarico del professore pugliese, culminato nello stop a Paolo Savona: «Il presidente vuole tendere la mano al nuovo esecutivo. Vogliamo stabilire rapidamente il contatto con il nuovo presidente del Consiglio già nei prossimi giorni, non appena sarà ufficializzato il governo. Stiamo già lavorando su punti che sono importanti per l'Italia come la riforma eurozona e il controllo dei flussi migratori», cinguettava l'Eliseo il 25 maggio scorso. Parole che suonarono poi quasi ridicole, visto che 48 ore dopo il presidente incaricato diventava Carlo Cottarelli. Perché dunque Parigi passa, in meno di 15 giorni, da una dichiarazione preventiva di simpatia perfino eccessiva a una situazione diplomaticamente imbarazzante che inguaia l'opposizione al governo M5s-Lega, la quale mettendosi contro l'esecutivo rischia di stare con chi denigra un'intera nazione?
Le ragioni sono diverse, e rispetto ad esse la nave carica di immigrati è poco più di un pretesto. Certo, l'imbarcazione già in forza alla Guardia marina tedesca appartiene pur sempre a Medecins sans Frontiers, l'organizzazione fondata da Bernard Kouchner, teorico dell'ingerenza umanitaria e uomo fortissimo della politica parigina (fu sottosegretario di Stato, ministro della Sanità e degli Esteri saltando da François Mitterrand a Nicholas Sarkozy, e venne spedito all'Onu da Jacques Chirac): toccare Msf vuol dire pestare i calli al governo francese. Ma non basta a giustificare il delirio di queste ore, tanto più che nel 2017 ancora Macron aveva accusato l'allora premier Paolo Gentiloni di lassismo eccessivo sulla questione migranti.
Nel breve periodo, il dato più esplosivo è la svolta italiana maturata al G7. «Paolo Gentiloni era rimasto spiazzato dall'asse sorto improvvisamente tra Macron e Trump nel luglio scorso. Ora è Conte a sorprendere Macron aprendo a Trump, che ha mostrato di gradire», spiega Germano Dottori, docente di Studi strategici alla Luiss e consigliere scientifico di Limes. «La nuova sintonia emersa in Canada tra Italia ed Usa potrebbe ridurre l'influenza francese nel nostro Paese e forse anche nel Mediterraneo. La reazione macroniana riflette quindi un'insoddisfazione geopolitica, più che un dissenso ideologico». Ieri peraltro Conte ha ricevuto l'ambasciatore americano: difficile pensare che non si sia affrontato il tema dei rapporti con Parigi.
Macron ha anzitutto un motivo epidermico di fastidio nei confronti di questo governo: considerava i grillini malleabili (i recenti report dell'Institut Montaigne, think tank ora d'area En Marche, davano per probabile un'alleanza con il Pd ancora in aprile di quest'anno), era pronto a inglobarli all'Europarlamento nel nuovo gruppone - decisivo per accedere ai relativi fondi - ed era convinto di avere un riferimento tanto «comodo» per Parigi quanto i vari Letta e Gentiloni, considerati particolarmente in sintonia con gli interessi francesi. L'alleanza con la Lega ha decisamente scombinato i piani, e l'asse Conte-Trump ha fatto il resto, gettando una lunga ombra sulle chiacchiere a proposito della fratellanza europea.
Dove questo cambio di rotta può produrre i maggiori dolori per la Francia? Economicamente, la partita più grande è la difesa comune europea. Sotto la retorica della «sovranità europea» che infesta i discorsi di Macron c'è un progetto piuttosto preciso di ampliamento del giro di commesse militari sotto l'ombrello comunitario, con l'ok della Germania: per motivi che non è il caso di spiegare, Berlino ha qualche problemino a impostare la sua strategia di sviluppo europeo sulle commesse militari. Non è un mistero che l'ex ministro della Difesa Roberta Pinotti fosse sostenitrice del progetto. Anche rispetto a questo tema, è prevedibile che il governo gialloblù imprima una certa sterzata. Se il piano fosse stato quello di usare Fincantieri (a discapito di Leonardo) come cavallo di Troia per portare a Parigi commesse in cui la parte più prelibata fosse la componentistica elettronica di marca transalpina (Naval group), qualcosa rischierebbe seriamente di andare storto. E costerebbe svariati miliardi ai francesi, abituati ad avere a Roma interlocutori che hanno rischiato di regalare migliaia di chilometri quadri di mare ai cugini.
Un secondo ambito è la Libia. Il disastro compiuto da Parigi (e dalla vecchia amministrazione Usa) a Tripoli e dintorni non ha prodotto solo la tragedia umanitaria (ieri peraltro la Marina libica ha ringraziato l'Italia per essersi «svegliata dopo essere stata a lungo un centro di sversamento di migranti da parte del mondo»), ma anche un problema per i nostri affari nel paese di Gheddafi. I buoni rapporti tra l'Eni e la Lega da questo punto di vista sono un altro fronte di potenziale attrito con Parigi, che ha in Total un potente fattore della sua politica estera, in buona parte concorrenziale alla nostra, soprattutto nell'area mediterranea e negli Stati nordafricani (appunto Libia e Tunisia su tutti).
Poi c'è la partita economico finanziaria, dove Parigi e Roma sono strettamente intrecciate. Fin troppo facile citare Vivendi, destinata comunque ad avere un ruolo di primo piano nel risiko delle Tlc (guarda caso, in guerra con il fondo americano Elliott) e non solo. Lo scenario che si aprirà su Generali - che è pur sempre guidata da un francese - vede Parigi in un ruolo non certo riducibile a quello dello spettatore interessato, e di recente le voci su una possibile fusione tra Unicredit (altro colosso con ad francese) e Socgen hanno riacceso il nodo degli equilibri Roma-Parigi in campo finanziario, soprattutto in rapporto a Berlino.
Da questo punto di vista, c'è chi guarda alla Francia anche come possibile partner di un colosso in sofferenza, e cioè Mps. Anche qui, però, chi immaginasse nozze francesi rischia di rimanere molto deluso. La rissa con Macron si spegnerà, ma i motivi che l'hanno scatenata no. Per En Marche, Matteo Salvini è un problema enorme: ha portato Di Maio e soci al fianco di Trump e lontanissimi dal Pd, e questo non potrà mai perdonarglielo.
Martino Cervo
Macron rifiuta di scusarsi. Conte non è un Gentiloni e annulla il viaggio di Stato
Una giornata ad altissima tensione tra Roma e Parigi, quella di ieri, dopo gli insulti piovuti dalla Francia 48 ore fa sul nostro governo per la gestione del caso Aquarius, definita «vomitevole e immonda» da Gabriel Attal, portavoce de La Republique En Marche, il partito del presidente francese Emmanuel Macron, che nelle stesse ore accusava l'Italia di «cinismo e irresponsabilità». La visita di domani a Parigi del premier Giuseppe Conte è quasi definitivamente annullata.
Sono le 8.54 di ieri quando la Farnesina annuncia che «a seguito delle dichiarazioni rilasciate ieri a Parigi sulla vicenda Aquarius, il ministro degli Esteri, Enzo Moavero Milanesi, ha convocato l'ambasciatore di Francia in Italia». Alla Farnesina, però, l'ambasciatore francese, Christian Masset, non si presenta perché «fuori sede» (è a Milano). Al suo posto, a incontrare Moavero Milanesi, va la numero due della diplomazia francese in Italia, l'incaricata d'affari, Claire Anne Raulin. Uno sgarbo vero e proprio. Moavero comunica alla Raulin che il governo italiano «considera inaccettabili le parole usate nelle dichiarazioni pubbliche rese nella giornata di ieri a Parigi, anche a livello governativo, sulla vicenda della nave Aquarius. Il ministro Moavero», recita una nota del ministero degli Esteri, «ha chiarito che simili dichiarazioni stanno compromettendo le relazioni tra Italia e Francia. Ora va sanata la situazione». Traduzione: vogliamo le scuse ufficiali.
Alle 11 il ministro dell'Interno, Matteo Salvini, è in Senato per l'informativa sul caso Aquarius. Salvini attacca a testa bassa l'Eliseo: «Non abbiamo niente da imparare», dice il vicepremier, «in termini di accoglienza, generosità e solidarietà da nessuno. Il problema non è il derby Italia-Francia, il problema è che la nostra storia non merita di essere apostrofata con certi termini e spero il governo francese dia le scuse ufficiali nel più breve tempo possibile». L'ipotesi che Conte annulli il viaggio a Parigi si fa sempre più concreta. «Conte», dichiara Salvini, «è totalmente legittimato a non andare in Francia, lo sosterremo. Di fronte a un atteggiamento così infondato e volgare di un paese amico ci sono ragioni molto fondate per prendere questa decisione. Conte rappresenta un popolo, non solo un governo. Io sostengo le scelte del presidente Conte, che farà in piena autonomia».
Mezzogiorno di fuoco, e il primo pomeriggio non è da meno. Poco prima delle 14, il ministro dell'Economia, Giovanni Tria, comunica ufficialmente l'annullamento del viaggio a Parigi, previsto per ieri, e l'incontro con l'omologo francese Bruno Le Maire, con il quale ha un colloquio telefonico. Alle 17, l'Eliseo fa sapere che «al momento la Francia non ha ricevuto alcuna informazione da parte della presidenza del Consiglio italiana su una richiesta di scuse o su un possibile annullamento della visita di Giuseppe Conte».
Alle 17.50, il presidente francese Emmanuel Macron, parlando del caso Aquarius, rincara la dose e attacca, senza nominarlo, Salvini: «Chi cerca», dice Macron, «la provocazione? Chi è che dice: io sono più forte dei democratici e una nave che vedo arrivare davanti alle mie coste la caccio via? Se gli do ragione, aiuto la democrazia? Non dimentichiamo chi ci sta parlando e chi si rivolge a noi. Non lo dimentichiamo», sibila Macron, riferendosi a Marine Le Pen, «perché anche noi abbiamo a che fare con gli stessi. Non bisogna cedere alle emozioni, che qualcuno manipola».
Altro che scuse: il presidente francese affonda i colpi, mentre dalla Libia arriva pieno sostegno a Salvini: «Grazie a Dio», dice all'Ansa il portavoce della Marina libica, Ayob Amr Ghasem, «l'Italia si è finalmente risvegliata dopo essere stata a lungo un centro di sversamento di migranti da parte del mondo e siamo molto contenti di questa decisione. L'Italia ha subito le malefatte dell'immigrazione clandestina, tutti i suoi misfatti, compreso evidentemente l'arrivo di terroristi».
Palazzo Chigi affida all'Adnkronos una dichiarazione di Giuseppe Conte: «Nessun dubbio: senza un chiarimento e le scuse di Macron all'Italia», dice il premier, «io resto a Roma. Non ho il minimo tentennamento, chi sbaglia, chiunque esso sia, deve chiedere scusa, prima che a me all'Italia». In serata, Conte, subito dopo aver incontrato l'Ambasciatore degli Stati Uniti in Italia, Lewis Eisenberg, fa sapere di essere «orientato a rinviare» il viaggio a Parigi, in quanto «non ci sono le condizioni». La crisi diplomatica tra Italia e Francia ha una caratteristica che è molto importante sottolineare: le prese di posizione durissime che sono arrivate ieri dal ministro dell'Economia, Giovanni Tria, e da quello degli Esteri, Enzo Moavero Milanesi. Due pezzi da 90 del governo guidato da Giuseppe Conte ma anche le punte di diamante di quella pattuglia di ministri tecnici che il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha fortemente voluto facessero parte dell'esecutivo Lega-M5s, per temperarne le politiche più radicali su alcuni temi, a partire proprio dai rapporti con l'Unione europea.
Carlo Tarallo
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Il caso della Aquarius è solo una foglia di fico: le bordate dei francesi nascono dal cambio di rotta geopolitico del nostro esecutivo. Che li danneggia sui terreni della difesa comune Ue, degli interessi petroliferi e del risiko bancario. Con lo zampino di Donald Trump...Il premier Giuseppe Conte chiedeva un segnale dopo gli insulti, ma l'Eliseo: «Non diamo ragione a chi provoca». Il professore cancella il vertice di domani e anche il ministro Giovanni Tria fa saltare il suo.Lo speciale contiene due articoliMa davvero è pensabile che il livello dello scontro diplomatico tra Francia e Italia sia da attribuire solo alla pur drammatica vicenda della Aquarius? Vicenda nella quale, è giusto ricordarlo, Parigi non c'entra nulla, né è stata in alcun modo coinvolta dal nostro governo né dai partiti che lo sostengono fino alle incredibili dichiarazioni dell'altro ieri?Emmanuel Macron è stato peraltro il primo presidente in assoluto a congratularsi con Giuseppe Conte durante il primo, effimero incarico del professore pugliese, culminato nello stop a Paolo Savona: «Il presidente vuole tendere la mano al nuovo esecutivo. Vogliamo stabilire rapidamente il contatto con il nuovo presidente del Consiglio già nei prossimi giorni, non appena sarà ufficializzato il governo. Stiamo già lavorando su punti che sono importanti per l'Italia come la riforma eurozona e il controllo dei flussi migratori», cinguettava l'Eliseo il 25 maggio scorso. Parole che suonarono poi quasi ridicole, visto che 48 ore dopo il presidente incaricato diventava Carlo Cottarelli. Perché dunque Parigi passa, in meno di 15 giorni, da una dichiarazione preventiva di simpatia perfino eccessiva a una situazione diplomaticamente imbarazzante che inguaia l'opposizione al governo M5s-Lega, la quale mettendosi contro l'esecutivo rischia di stare con chi denigra un'intera nazione?Le ragioni sono diverse, e rispetto ad esse la nave carica di immigrati è poco più di un pretesto. Certo, l'imbarcazione già in forza alla Guardia marina tedesca appartiene pur sempre a Medecins sans Frontiers, l'organizzazione fondata da Bernard Kouchner, teorico dell'ingerenza umanitaria e uomo fortissimo della politica parigina (fu sottosegretario di Stato, ministro della Sanità e degli Esteri saltando da François Mitterrand a Nicholas Sarkozy, e venne spedito all'Onu da Jacques Chirac): toccare Msf vuol dire pestare i calli al governo francese. Ma non basta a giustificare il delirio di queste ore, tanto più che nel 2017 ancora Macron aveva accusato l'allora premier Paolo Gentiloni di lassismo eccessivo sulla questione migranti.Nel breve periodo, il dato più esplosivo è la svolta italiana maturata al G7. «Paolo Gentiloni era rimasto spiazzato dall'asse sorto improvvisamente tra Macron e Trump nel luglio scorso. Ora è Conte a sorprendere Macron aprendo a Trump, che ha mostrato di gradire», spiega Germano Dottori, docente di Studi strategici alla Luiss e consigliere scientifico di Limes. «La nuova sintonia emersa in Canada tra Italia ed Usa potrebbe ridurre l'influenza francese nel nostro Paese e forse anche nel Mediterraneo. La reazione macroniana riflette quindi un'insoddisfazione geopolitica, più che un dissenso ideologico». Ieri peraltro Conte ha ricevuto l'ambasciatore americano: difficile pensare che non si sia affrontato il tema dei rapporti con Parigi.Macron ha anzitutto un motivo epidermico di fastidio nei confronti di questo governo: considerava i grillini malleabili (i recenti report dell'Institut Montaigne, think tank ora d'area En Marche, davano per probabile un'alleanza con il Pd ancora in aprile di quest'anno), era pronto a inglobarli all'Europarlamento nel nuovo gruppone - decisivo per accedere ai relativi fondi - ed era convinto di avere un riferimento tanto «comodo» per Parigi quanto i vari Letta e Gentiloni, considerati particolarmente in sintonia con gli interessi francesi. L'alleanza con la Lega ha decisamente scombinato i piani, e l'asse Conte-Trump ha fatto il resto, gettando una lunga ombra sulle chiacchiere a proposito della fratellanza europea.Dove questo cambio di rotta può produrre i maggiori dolori per la Francia? Economicamente, la partita più grande è la difesa comune europea. Sotto la retorica della «sovranità europea» che infesta i discorsi di Macron c'è un progetto piuttosto preciso di ampliamento del giro di commesse militari sotto l'ombrello comunitario, con l'ok della Germania: per motivi che non è il caso di spiegare, Berlino ha qualche problemino a impostare la sua strategia di sviluppo europeo sulle commesse militari. Non è un mistero che l'ex ministro della Difesa Roberta Pinotti fosse sostenitrice del progetto. Anche rispetto a questo tema, è prevedibile che il governo gialloblù imprima una certa sterzata. Se il piano fosse stato quello di usare Fincantieri (a discapito di Leonardo) come cavallo di Troia per portare a Parigi commesse in cui la parte più prelibata fosse la componentistica elettronica di marca transalpina (Naval group), qualcosa rischierebbe seriamente di andare storto. E costerebbe svariati miliardi ai francesi, abituati ad avere a Roma interlocutori che hanno rischiato di regalare migliaia di chilometri quadri di mare ai cugini.Un secondo ambito è la Libia. Il disastro compiuto da Parigi (e dalla vecchia amministrazione Usa) a Tripoli e dintorni non ha prodotto solo la tragedia umanitaria (ieri peraltro la Marina libica ha ringraziato l'Italia per essersi «svegliata dopo essere stata a lungo un centro di sversamento di migranti da parte del mondo»), ma anche un problema per i nostri affari nel paese di Gheddafi. I buoni rapporti tra l'Eni e la Lega da questo punto di vista sono un altro fronte di potenziale attrito con Parigi, che ha in Total un potente fattore della sua politica estera, in buona parte concorrenziale alla nostra, soprattutto nell'area mediterranea e negli Stati nordafricani (appunto Libia e Tunisia su tutti).Poi c'è la partita economico finanziaria, dove Parigi e Roma sono strettamente intrecciate. Fin troppo facile citare Vivendi, destinata comunque ad avere un ruolo di primo piano nel risiko delle Tlc (guarda caso, in guerra con il fondo americano Elliott) e non solo. Lo scenario che si aprirà su Generali - che è pur sempre guidata da un francese - vede Parigi in un ruolo non certo riducibile a quello dello spettatore interessato, e di recente le voci su una possibile fusione tra Unicredit (altro colosso con ad francese) e Socgen hanno riacceso il nodo degli equilibri Roma-Parigi in campo finanziario, soprattutto in rapporto a Berlino. Da questo punto di vista, c'è chi guarda alla Francia anche come possibile partner di un colosso in sofferenza, e cioè Mps. Anche qui, però, chi immaginasse nozze francesi rischia di rimanere molto deluso. La rissa con Macron si spegnerà, ma i motivi che l'hanno scatenata no. Per En Marche, Matteo Salvini è un problema enorme: ha portato Di Maio e soci al fianco di Trump e lontanissimi dal Pd, e questo non potrà mai perdonarglielo.Martino Cervo<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/soldi-armi-e-libia-dietro-le-bordate-di-parigi-2577831445.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="macron-rifiuta-di-scusarsi-conte-non-e-un-gentiloni-e-annulla-il-viaggio-di-stato" data-post-id="2577831445" data-published-at="1765091695" data-use-pagination="False"> Macron rifiuta di scusarsi. Conte non è un Gentiloni e annulla il viaggio di Stato Una giornata ad altissima tensione tra Roma e Parigi, quella di ieri, dopo gli insulti piovuti dalla Francia 48 ore fa sul nostro governo per la gestione del caso Aquarius, definita «vomitevole e immonda» da Gabriel Attal, portavoce de La Republique En Marche, il partito del presidente francese Emmanuel Macron, che nelle stesse ore accusava l'Italia di «cinismo e irresponsabilità». La visita di domani a Parigi del premier Giuseppe Conte è quasi definitivamente annullata. Sono le 8.54 di ieri quando la Farnesina annuncia che «a seguito delle dichiarazioni rilasciate ieri a Parigi sulla vicenda Aquarius, il ministro degli Esteri, Enzo Moavero Milanesi, ha convocato l'ambasciatore di Francia in Italia». Alla Farnesina, però, l'ambasciatore francese, Christian Masset, non si presenta perché «fuori sede» (è a Milano). Al suo posto, a incontrare Moavero Milanesi, va la numero due della diplomazia francese in Italia, l'incaricata d'affari, Claire Anne Raulin. Uno sgarbo vero e proprio. Moavero comunica alla Raulin che il governo italiano «considera inaccettabili le parole usate nelle dichiarazioni pubbliche rese nella giornata di ieri a Parigi, anche a livello governativo, sulla vicenda della nave Aquarius. Il ministro Moavero», recita una nota del ministero degli Esteri, «ha chiarito che simili dichiarazioni stanno compromettendo le relazioni tra Italia e Francia. Ora va sanata la situazione». Traduzione: vogliamo le scuse ufficiali. Alle 11 il ministro dell'Interno, Matteo Salvini, è in Senato per l'informativa sul caso Aquarius. Salvini attacca a testa bassa l'Eliseo: «Non abbiamo niente da imparare», dice il vicepremier, «in termini di accoglienza, generosità e solidarietà da nessuno. Il problema non è il derby Italia-Francia, il problema è che la nostra storia non merita di essere apostrofata con certi termini e spero il governo francese dia le scuse ufficiali nel più breve tempo possibile». L'ipotesi che Conte annulli il viaggio a Parigi si fa sempre più concreta. «Conte», dichiara Salvini, «è totalmente legittimato a non andare in Francia, lo sosterremo. Di fronte a un atteggiamento così infondato e volgare di un paese amico ci sono ragioni molto fondate per prendere questa decisione. Conte rappresenta un popolo, non solo un governo. Io sostengo le scelte del presidente Conte, che farà in piena autonomia». Mezzogiorno di fuoco, e il primo pomeriggio non è da meno. Poco prima delle 14, il ministro dell'Economia, Giovanni Tria, comunica ufficialmente l'annullamento del viaggio a Parigi, previsto per ieri, e l'incontro con l'omologo francese Bruno Le Maire, con il quale ha un colloquio telefonico. Alle 17, l'Eliseo fa sapere che «al momento la Francia non ha ricevuto alcuna informazione da parte della presidenza del Consiglio italiana su una richiesta di scuse o su un possibile annullamento della visita di Giuseppe Conte». Alle 17.50, il presidente francese Emmanuel Macron, parlando del caso Aquarius, rincara la dose e attacca, senza nominarlo, Salvini: «Chi cerca», dice Macron, «la provocazione? Chi è che dice: io sono più forte dei democratici e una nave che vedo arrivare davanti alle mie coste la caccio via? Se gli do ragione, aiuto la democrazia? Non dimentichiamo chi ci sta parlando e chi si rivolge a noi. Non lo dimentichiamo», sibila Macron, riferendosi a Marine Le Pen, «perché anche noi abbiamo a che fare con gli stessi. Non bisogna cedere alle emozioni, che qualcuno manipola». Altro che scuse: il presidente francese affonda i colpi, mentre dalla Libia arriva pieno sostegno a Salvini: «Grazie a Dio», dice all'Ansa il portavoce della Marina libica, Ayob Amr Ghasem, «l'Italia si è finalmente risvegliata dopo essere stata a lungo un centro di sversamento di migranti da parte del mondo e siamo molto contenti di questa decisione. L'Italia ha subito le malefatte dell'immigrazione clandestina, tutti i suoi misfatti, compreso evidentemente l'arrivo di terroristi». Palazzo Chigi affida all'Adnkronos una dichiarazione di Giuseppe Conte: «Nessun dubbio: senza un chiarimento e le scuse di Macron all'Italia», dice il premier, «io resto a Roma. Non ho il minimo tentennamento, chi sbaglia, chiunque esso sia, deve chiedere scusa, prima che a me all'Italia». In serata, Conte, subito dopo aver incontrato l'Ambasciatore degli Stati Uniti in Italia, Lewis Eisenberg, fa sapere di essere «orientato a rinviare» il viaggio a Parigi, in quanto «non ci sono le condizioni». La crisi diplomatica tra Italia e Francia ha una caratteristica che è molto importante sottolineare: le prese di posizione durissime che sono arrivate ieri dal ministro dell'Economia, Giovanni Tria, e da quello degli Esteri, Enzo Moavero Milanesi. Due pezzi da 90 del governo guidato da Giuseppe Conte ma anche le punte di diamante di quella pattuglia di ministri tecnici che il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha fortemente voluto facessero parte dell'esecutivo Lega-M5s, per temperarne le politiche più radicali su alcuni temi, a partire proprio dai rapporti con l'Unione europea. Carlo Tarallo
Raffaele Speranzon (Imagoeconomica)
Nel processo appena conclusosi avevano chiesto quasi 3 milioni, gliene sono stati riconosciuti 480.000. Roggero gliene aveva già pagati 300.000, racimolati svendendo due appartamenti di famiglia. A questi vanno aggiunti altri 300.000 euro per le spese legali. Il senatore di Fratelli d’Italia, Raffaele Speranzon, e altri 18 colleghi dello stesso partito, a luglio avevano presentato un disegno di legge: niente più risarcimenti a chi commette quel genere di reati.
Onorevole Speranzon, il suo disegno di legge intende diminuire o azzerare il risarcimento dovuto all’aggressore in caso di eccesso colposo di legittima difesa. A che punto è?
«Sto aspettando che venga incardinato in commissione, spero che in breve tempo possiamo andare a discussione e approvarlo entro la fine della legislatura».
Il suo obiettivo è quello di colmare una lacuna normativa e ristabilire un criterio di giustizia. Ci spieghi meglio.
«L’obiettivo è quello di evitare che chi ha messo in pericolo qualcuno con violenza e minacce abbia diritto ad un indennizzo. Chi minaccia l’integrità fisica o patrimoniale di un altro individuo deve sapere che, se quell’azione gli andasse male, non riceverebbe un euro di risarcimento».
Potrebbe essere un deterrente.
«Certamente. Qualcuno potrebbe pensare di sistemare la propria famiglia in questo modo: se la rapina mi va bene, porto a casa qualcosa, se mi va male, comunque la mia famiglia otterrebbe un sacco di soldi. Sostanzialmente se non riesco a rapinarlo, lo rapino lo stesso grazie alla legge e quel risarcimento potrebbe addirittura essere superiore a quello che gli avrei potuto rubare. Se il nostro ddl diventasse legge, questo cortocircuito sparirebbe».
Se sei un ladro non puoi chiedere risarcimenti. Sembra una cosa normale.
«Dovrebbe. Se decidi di attentare alla mia incolumità o a quella della mia famiglia o al mio patrimonio, non puoi aver titolo a ricevere alcun risarcimento, anche se l’aggredito ha ecceduto nella sua difesa. La reazione all’offesa di un ladro, un rapinatore o un violentatore, può anche essere eccessiva ma non può dare adito a risarcimenti. Il sistema attuale lo consente, noi vogliamo cancellare questa possibilità».
Poteva servire al povero Roggero?
«Poteva servire se, più coerentemente con i fatti, il giudice, invece di condannarlo per omicidio volontario, lo avesse condannato per eccesso di legittima difesa, un reato più consono a quello che ha fatto».
Invece per il giudice è paragonabile a un assassino.
«Sono andati loro ad aggredirlo nel suo negozio. C’è poi da considerare l’esasperazione di un uomo che era stato rapinato cinque volte, il suo stato psicologico nel lavorare in un contesto come quello, sentendosi continuamente minacciato. Sicuramente ha ecceduto nella legittima difesa, ma certo non è un assassino e non dovrebbe risarcire nessuno. È lui che semmai avrebbe diritto a un ristoro. È lui la vittima».
Ma nel mondo dell’assurdo in cui viviamo, ai familiari di chi muore sul lavoro vanno, sì e no, 12.000 euro; e ai familiari di chi rapina, mezzo milione.
«Una cosa indecente, che dimostra ancor di più la lacuna normativa in ambito civile che va colmata. È la ragione per la quale decisi di presentare questo ddl».
Ma se poi un giudice trasforma un eccesso di legittima difesa in un omicidio volontario plurimo, c’è poco da fare…
«Eh sì, se il magistrato di turno contesta l’omicidio volontario si esce dal confine del ddl. A Roggero non sarebbe servito nemmeno il nostro ddl perché l’interpretazione da parte del giudice di ciò che è accaduto, a nostro avviso sbagliata, lo fa uscire da quel confine».
Cosa c’è dentro quel confine?
«C’è l’eccesso colposo di legittima difesa, per il quale Roggero è giusto che risponda. Non certo per omicidio volontario. Le condizioni psicologiche nelle quali si trovava dovevano portare il giudice a riconoscere solo quella fattispecie di reato».
Non sarebbe il caso di rimettere mano anche alla legge sulla legittima difesa? Non servirebbe un provvedimento che tenesse conto più delle ragioni degli aggrediti che di quelle degli aggressori?
«La riforma è andata in quella direzione, il nostro ddl lo stesso. L’errore nella sentenza sul gioielliere sta alla base. Chi attenta all’incolumità fisica di una persona o al suo patrimonio, deve mettere in conto la possibilità di una reazione anche durissima e fatale nei suoi confronti. Noi sosteniamo che quella reazione non dovrebbe essere sanzionata né dal punto di vista penale, né tanto meno civile».
Uno che reagisce a una rapina finisce in galera per 15 anni e viene condannato a un risarcimento ai parenti di chi lo ha rapinato. Non è pazzesco?
«Chi subisce una rapina vede la propria vita rovinata, indipendentemente dal fatto che la sventi o meno. Noi le leggi le possiamo anche fare, ma serve una cultura giuridica di chi interpreta i fatti, che veda nella difesa dell’aggredito il punto di partenza nella valutazione degli accadimenti».
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Così, all’incirca venti case editrici (su oltre 600 espositori, il 3 per cento circa) si sono riunite di fronte agli stand di Bao, che pubblica Zerocalcare e Momo e, dopo un breve discorso programmatico, hanno marciato compatte verso Passaggio al bosco. Immaginiamo il loro stato d’animo: la loro voglia di libertà mentre schiacciano quella altrui; i paragoni con l’Aventino e pure con la lotta partigiana. Si parte, dunque. Si blocca la Nuvola, che ospita a Roma «Più libri più liberi», e si creano disagi agli ospiti. Ma poco importa. Si canta «Bella ciao» e si urla «fuori i fascisti dalla fiera», senza rendersi conto che i primi intolleranti sono loro. Uno dei ragazzi alla testa del mini corteo, non appena arriva di fronte allo stand di Passaggio al bosco, si scontra verbalmente con un signore al quale dice di risolvere la questione fuori (immaginiamo non con una lezione sul Capitale di Marx). Poco prima, Daniele Dell’Orco, fondatore di Idrovolante Edizioni, era rimasto bloccato all’interno del corteo, non proprio una situazione piacevole per una persona finita in mezzo a una campagna stampa d’odio.
Molto rumore per nulla. I soliti slogan, le solite canzoni. Le solite frangette blu fuori moda e i soliti gonnelloni in tartan. Qualche giorno fa, alcune ragazze hanno raggiunto lo stand di Passaggio al bosco e, indicando uno degli ultimi libri pubblicati - Charlie Kirk. La fede, il coraggio e la famiglia, scritto da Gabriele Caramelli - hanno chiesto all’editore: «Ma tu la pensi davvero come lui?». La risposta, che non si sente, avrebbe dovuto essere «no». Perché la destra italiana è molto diversa da quella americana. Eppure, nonostante le differenze, quella casa editrice «nazista» ha deciso di raccontare un personaggio così diverso da sé. Le due ragazze antifasciste avrebbero dovuto sfogliare il libriccino, almeno fino a pagina 14, dove avrebbero potuto leggere queste parole: «Oggi, invece, il suo compito (del volume, ndr) è quello di illustrare l’importanza del dialogo anche tra poli opposti, perché come diceva Charlie: “Quando le persone smettono di parlare, accadono cose brutte”». Che è proprio quello che è successo a lui. E che tanti vorrebbero replicare ancora oggi, come si vede nelle tante dimostrazioni di intolleranza nei confronti di chi viene bollato con l’etichetta «fascista». E così ci troviamo di fronte a un paradosso in cui Marco Scatarzi, l’editore di destra, dice «stiamo continuando a fare il nostro lavoro in piena libertà. Ognuno è libero di criticare, noi continuiamo a svolgere il nostro lavoro» mentre gli altri vorrebbero imporre la censura. «Ciò che pubblichiamo» - prosegue l’editore - «è anche qui esposto, grazie a tutti. Noi rispondiamo col sorriso, siamo una casa editrice con tantissimi autori, tantissimi collaboratori delle più svariate esperienze e facciamo cultura».
Ecco, forse è questo il punto fondamentale. Per decenni, la cultura, specie quella giovanile, è stata dominata dalla sinistra. I testi che andavano di moda arrivavano da lì. Ora qualcosa è cambiato. I ragazzi vogliono sentire anche l’altra campana e, per questo, si avvicinano a questa casa editrice così diversa, dalle copertine pop e dai titoli taglienti. Non ne condividono tutto, forse. Ma sicuramente trovano ciò che è proibito. Come la ristampa di Decima flotilla Mas. Dalle origini all’armistizio di Junio Valerio Borghese. Oppure Il razzismo contro i bianchi. L’inchiesta vietata di François Bousquet, che racconta, con dati alla mano, il fallimento del multiculturalismo in Francia.
Perché l’unico modo oggi per far leggere qualcosa è dire che è vietato. Era successo con Roberto Vannacci, sta succedendo oggi con Passaggio al bosco. Che, nonostante le minacce e i tentativi di censura, resta a «Più libri più liberi». Giustificando così il nome della kermesse.
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l GNL statunitense in sofferenza sui margini. Le raffinerie private cinesi si aggiudicano il petrolio iraniano. Londra tassa le auto elettriche. L’Ue dà l’addio definitivo al gas russo dal 2027.
È vero, ci sono quasi quattro milioni di lavoratori che versano i contributi, ma nel bilancio dell’ente figurano 252.000 percettori di prestazioni a sostegno del reddito e 378.000 pensionati (+ 18,5% rispetto all’anno precedente). Nel primo caso non c’è neppure da discutere: si tratta di immigrati che sono o disoccupati o in mobilità e dunque ricevono un sussidio statale. Nel secondo caso basta leggere le spiegazioni che accompagnano i dati per scoprire che più della metà di quei «pensionati» percepiscono un assegno assistenziale, per un importo medio annuo di poco superiore a 7.000 euro. Di questi 195.000 soggetti, 150.000 sono extracomunitari e 45.000 fanno parte della Ue. L’altro 48,5 per cento di pensionati stranieri che non incassa il sussidio è composto invece prevalentemente da chi beneficia di trattamenti previdenziali sempre a carico della collettività in tutto o in parte. Ovvero pensioni di invalidità, di vecchiaia o destinate ai superstiti. In totale, parliamo di 322.000 persone che godono di un trattamento che non è assistito dalla contropartita di una contribuzione. In altre parole, pagano gli italiani. Qualcuno potrebbe obiettare che a fronte di questi 570.000 assegni che ogni mese escono dalle casse dell’Inps senza che in precedenza siano stati versati i soldi che legittimano la quiescenza ci sono quasi quattro milioni di lavoratori iscritti nei ruoli dell’ente previdenziale. Ma se si scorre il valore delle retribuzioni attuali si scopre che su circa tre milioni e mezzo di dipendenti di imprese private il reddito annuo è di poco superiore a 16.000 euro e dunque il versamento dei contributi è conseguente. Cioè basso. Dunque, non soltanto parliamo di cifre ridotte, ma in futuro, quando andranno in pensione, molti di questi lavoratori più che pagare la pensione agli italiani, avranno bisogno di veder integrare la propria da un sussidio statale. Cioè saranno in parte a carico della collettività e riceveranno l’integrazione al minimo, soprattutto se non potranno vantare una contribuzione quarantennale. Del resto non c’è da stupirsi. Le statistiche dell’Istat parlano chiaro: quando si discute di povertà si scopre che negli anni è leggermente diminuita la quota delle famiglie italiane indigenti, mentre è cresciuta quella dei nuclei di origine straniera. Il 35 per cento degli immigrati con moglie e figli vive in quella che in base al reddito è classificata come povertà assoluta. Dunque è difficile che questa quota di popolazione possa in futuro pagare la pensione ad altri. Più probabile che prima o poi chieda che qualcuno gliela paghi e a questo punto dovrà pensarci lo Stato. Dimenticavo: mentre è abbastanza improbabile che i salari bassi di lavoratori extracomunitari possano rifinanziare le casse dell’Inps (già malmesse per le troppe prestazioni non sorrette da contributi: Alberto Brambilla di Itinerari previdenziali calcolò che oltre quattro milioni di pensionati riceve un assegno che non ha maturato), è invece certo che gran parte degli immigrati beneficia di servizi sociali a carico della fiscalità generale. Che vuol dire? Che l’assistenza sanitaria, quella scolastica e tutti gli altri servizi che lo Stato eroga a favore dei cittadini sono sorretti dalle tasse. Ma chi guadagna poco è praticamente esente da ogni imposizione fiscale e dunque il peso di pensioni, cure ed educazione resta a carico di circa 11 milioni di contribuenti che le imposte le versano regolarmente ogni mese. Sono loro a pagare, altro che gli immigrati.
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