2025-09-27
«Soldi per archiviare Sempio». Indagato l’ex procuratore Venditti
Chiara Poggi (a sinistra), Andrea Sempio (a destra) e l'ex procuratore di Pavia Mario Venditti (al centro) (Ansa)
I pm di Brescia contestano al collega in pensione la corruzione in atti giudiziari. Avrebbe ricevuto circa 30.000 euro per chiudere il caso. Il padre del ragazzo disse: «Serve un pagamento non tracciabile». A Garlasco ieri la giustizia si è sdoppiata: tra l’incidente probatorio e l’ombra della corruzione per archiviare le precedenti indagini su Andrea Sempio, 38 anni, amico storico di Marco Poggi, due archiviazioni alle spalle e ora un’ipotesi di omicidio dalla quale difendersi. Da un lato, a Pavia, l’incidente probatorio con i periti chiamati a sciogliere nodi vecchi e nuovi sull’omicidio di Chiara Poggi. Dall’altro, a Brescia, un’inchiesta che prova a riscrivere la storia giudiziaria del caso, con al centro l’ex procuratore aggiunto e poi reggente (dal 2021) di Pavia, Mario Venditti, indagato per corruzione in atti giudiziari. E mentre il gip di Pavia Daniela Garlaschelli concedeva altri 70 giorni ai consulenti (compreso il nuovo perito che dovrà valutare le impronte sul pacco di cereali e sul sacchetto della spazzatura) anche per i due profili di Dna trovati sotto le unghie della vittima, con la famigerata «impronta 33», quella individuata su una parete delle scale che portano al seminterrato, rimasta fuori dalle verifiche, a Brescia gli investigatori della Guardia di finanza eseguivano nove perquisizioni. E ascoltavano i testimoni. Come l’ex maresciallo dei carabinieri Giuseppe Spoto. Coinvolto, a leggere le pagine del decreto di perquisizione a carico di Venditti, con il luogotenente Silvio Sapone nell’intrigo che i pm di Brescia stanno cercando di sbrogliare. Perché a casa dei genitori di Sempio il 14 maggio scorso è stato trovato un foglietto con scritto: «Venditti/gip archivia x 20-30 €». Per i magistrati di Brescia non è un dettaglio: è un elemento che lascia ipotizzare un accordo corruttivo che avrebbe portato, nel marzo 2017, all’archiviazione dell’indagine. «Sono accuse che mi fanno ridere», ha liquidato la vicenda l’avvocato Massimo Lovati, che difende Sempio. Poi ha precisato: «Il pm può chiedere l’archiviazione ma a disporla è un gip». Ma il decreto di perquisizione evidenzia che quello scritto, messo «in relazione all’omicidio», lascerebbe pensare che «fosse stata proposta o comunque ipotizzata la corresponsione» a Venditti «di una somma di denaro correlata all’archiviazione del procedimento». Le radici dell’inchiesta bresciana, però, sembrano ramificarsi nelle intercettazioni del 2017. Alcuni passaggi, secondo i pm, non furono mai trascritti. In una conversazione del 9 febbraio, alla vigilia dell’interrogatorio, Giuseppe Sempio rassicura il figlio: «Comunque ha detto che ti chiederà le cose che sono state depositate. Non è che… Massimo se ti infila dentro qualche domanda che non… dici: guardi io non mi ricordo, sono passati dieci anni». Il giorno dopo, al termine dell’audizione, Andrea e il padre commentano di aver «cannato una risposta» sullo scontrino del parcheggio che costituiva il suo alibi. Ma ci sono alcuni passaggi, riportati nel decreto di perquisizione, che sembrano ricondurre agli inquirenti: «A parte che erano dalla nostra… perché mi han fatto alcune domande che io ho capito perché me le facevano». Riferendosi a «domande connesse», si legge nel decreto, «alla localizzazione del telefono cellulare dell’indagato». Non solo. Un altro passaggio mai verbalizzato contiene il riferimento alla necessità di «pagare quei signori lì» con modalità «non tracciabili». La Procura di Brescia sottolinea: frasi «di forte valenza indiziaria» mai accompagnate da accertamenti bancari. E allora gli inquirenti hanno ricostruito i flussi di denaro. Tra dicembre 2016 e giugno 2017 le zie paterne di Andrea, Ivana e Silvia Maria Sempio, hanno emesso assegni per 43.000 euro al fratello Giuseppe. Nello stesso periodo padre e figlio hanno prelevato in contanti 35.000 euro, mentre un assegno da 5.000 euro è passato dal padre allo zio Patrizio e subito convertito in contanti. «Mi sembra un normale preventivo di spesa, vuol dire che il costo per gli avvocati sarà di 20-30.000 euro», ha replicato l’avvocato Lovati. «Movimentazioni del tutto incongrue rispetto alle loro ordinarie operazioni bancarie», annotano i pm. «L’archiviazione è in effetti stata richiesta in data 15 marzo 2017 e accolta dal gip in data 23 marzo». Da qui la decisione di perquisire non solo Venditti, ma anche i membri della famiglia Sempio e i due carabinieri ormai in congedo. I nomi sono quelli di Giuseppe Spoto e di Silvio Sapone, all’epoca in servizio nella Sezione di polizia giudiziaria della Procura di Pavia. «Contatti opachi», li definiscono i pm bresciani. Spoto, ad esempio, si trattenne a casa di Sempio per oltre un’ora per una notifica che avrebbe richiesto pochi minuti. «Non sono preoccupato», ha detto all’uscita dalla caserma. «Era una raccolta di sommarie informazioni testimoniali», ha precisato il suo difensore, Marcella Laneri, che ha aggiunto: «È cominciata e finita come tale, il maresciallo ha risposto alle domande in quanto testimone». Sapone, invece, secondo le ipotesi dell’accusa, avrebbe avuto «rapporti di particolare confidenza e correlazione con l’indagato Venditti» e un contatto con Sempio «pur non risultando una ragione investigativa correlata a tale necessità». E, così, la gestione dell’inchiesta è finita nel mirino per «la breve durata dell’interrogatorio di Sempio, la conoscenza anticipata da parte dei membri della famiglia dei temi su cui sarebbero stati sentiti e la conclusione dell’annotazione d’indagine datata 7 marzo 2017 con formula tranchant circa la completa assenza di elementi a supporto delle ipotesi accusatorie a carico dell’indagato», sono per i magistrati bresciani dei tasselli che «denotano una gestione anomala delle indagini». La presenza dei due carabinieri non è un fulmine a ciel sereno. Il nome di Sapone compare anche nei procedimenti Clean 1 e Clean 2 (ribattezzate così per la volontà degli inquirenti di fare pulizia attorno agli uffici giudiziari), le inchieste pavesi che hanno portato al processo di Antonio Scoppetta, altro carabiniere della stessa aliquota di Pg, accusato di aver asservito le funzioni investigative agli interessi del suo ex comandante, il maggiore Maurizio Pappalardo. Nel decreto di giudizio immediato, infatti, si legge che Scoppetta «avrebbe seguito personalmente, insieme al luogotenente Sapone», una denuncia. Un filo rosso che lega le due indagini. E che non è sfuggito al nuovo procuratore di Pavia Fabio Napoleone, che ha trasferito a Brescia gli atti su Venditti e i documenti delle inchieste Clean. Un groviglio di relazioni e frequentazioni che affonda le radici nella piccola geografia giudiziaria pavese, dove ufficiali di polizia giudiziaria si sarebbero mossi all’interno di cerchie ristrette, spesso finite non solo nei fascicoli ma anche sulla stampa. La prima indagine, per «scambi di favori e informazioni coperte da segreto» in cambio «di utilità», del 2023. La seconda, del 2024, sul rapporto personale e patrimoniale tra Scoppetta e Pappalardo. Per ora, stando al decreto di perquisizione, è il solo fascicolo del 2017. Ma finì in archivio in tempi da record anche la seconda indagine, quella del 2020, nella quale Sempio non era stato formalmente iscritto. Il 30 luglio di quell’anno, dopo che Venditti solo il giorno prima aveva chiesto l’archiviazione, il gip Pasquale Villani accolse l’istanza. Il giudice scrisse: «Non sono emersi elementi utili per l’identificazione» di altri «responsabili» dell’omicidio dopo la «condanna definitiva» nel 2015 di Stasi. Non è stato sufficiente a mettere una pietra tombale sulla posizione di Sempio.«Con una simile surreale impostazione si destabilizza l’intero sistema giudiziario», tuona Domenico Aiello, difensore di Venditti, che in una nota indirizzata anche al Guardasigilli Carlo Nordio contesta le accuse nei confronti del suo assistito: «Se un appunto proveniente dall’ambiente familiare di un indagato diventa dopo anni sufficiente a produrre una indagine per corruzione a carico di colui, l’unico di una lunga serie di magistrati, che ha assunto quella che riteneva una decisione giusta, addirittura confermata dalla Cassazione, allora vale tutto, ma per cortesia non parliamo più di Costituzione e di garanzie per gli indagati. Non parliamo di proporzione o di misura, senza la quale la giustizia diventa violenza o vendetta». Non solo, per l’avvocato Aiello, si tratta di «un singolare e variegato iter giudiziario, con diverse istanze di revisione respinte, anni e anni di processo, che cede il passo di fronte a una sola riga di un appunto, allo stato privo di autore, non certo univoco e rinvenuto guarda caso proprio adesso, il cui contenuto è stato già spiegato in diretta dal difensore dell’allora indagato Sempio, con coraggio e onestà. La banalità dell’ovvio». In coda, un passaggio sul circo mediatico: «Ancora prima che entrassi per assistere alle operazioni di perquisizione, sulle Tv scorrevano immagini dei soliti volti che da mesi alimentano il palinsesto Garlasco. Altro che segreto investigativo. Tutto avviene in diretta e forse è ora di smetterla». I coniugi Sempio sono rimasti per sette ore nella caserma della Guardia di finanza di Pavia, dove sono stati ascoltati, e sono rientrati a casa dal figlio nel primo pomeriggio. Ma è il legale di Marco Poggi, Francesco Compagna, a tendere una mano all’amico del suo assistito: «Non è che qualcuno abbia scagionato Sempio a prescindere», spiega, «semplicemente non è mai emerso un solo elemento o una prova contro di lui, a prescindere da quale sia stata la condotta dei familiari o di altri». E i pm di Pavia e di Brescia stanno cercando di capire perché.
Il leader di Reform Uk Nigel Farage (Ansa)