2020-09-09
Soldi all’estero e assegni fantasma. L’antiriciclaggio «punta» i De Luca
Il governatore Pd avrebbe pagato 70.000 euro in più la nuova casa a Salerno rispetto al prezzo ufficiale. Il figlio Piero (deputato dem) e la nuora hanno fatto rientrare in Italia oltre 1 milione dal Lussemburgo.Chi lo conosce come uomo parsimonioso si stupirà a leggere che Vincenzo De Luca avrebbe pagato la sua nuova casa 70.000 euro in più del prezzo fissato sul contratto. Chi lo conosce come governatore della Campania ha pensato bene, invece, di comunicare questa anomalia all'antiriciclaggio di Bankitalia. Segnalazione di operazione sospetta che porta la data del 15 maggio 2019 e che La Verità ha potuto visionare. La verifica nasce da un controllo interno dell'istituto di credito, e coinvolge anche il figlio maggiore del presidente della Regione, il deputato Pd Piero De Luca. Ma di lui ci occuperemo più avanti. Gli accertamenti sul più famoso papà, da parte degli esperti dell'Unità di informazione finanziaria, si concentrano su un conto corrente cointestato a lui e ai due rampolli, Piero e Roberto, ex assessore comunale a Salerno. Il conto corrente di famiglia alimenta tre assegni a favore di Umberto e Nicolò Maria S.: i primi due, addebitati il 6 novembre 2018, sono di 90.000 e 10.000 euro. Mentre il terzo, incassato l'8 gennaio 2019, è di 60.000 euro. In totale 160.000 euro. Da dove viene questa provvista finanziaria del governatore? I risk manager della banca ipotizzano che sia collegata ad assegni circolari emessi dalla filiale del Montepaschi di Salerno nel gennaio 2018 e incassati solo nel luglio di quello stesso anno. Sono quattro titoli: tre da 50.000 euro e uno da 10.000 euro. I fratelli Umberto e Nicolò Maria S. sono i venditori della nuova abitazione di De Luca, in Via Vicinanza, una delle strade più eleganti di Salerno. Un appartamento di oltre 230 metri quadrati, per otto vani e mezzo, che domina dal sesto piano il golfo della città. Per il rogito, l'ufficio competente dell'Agenzia delle entrate di Salerno ha creato un meccanismo molto macchinoso: bisogna prenotare le visure cartacee via mail e chiedere un appuntamento in ufficio. A volte ci vogliono anche un paio di settimane, commenta un utente in coda, mentre al cronista viene suggerito di informarsi sul nome del notaio e chiedere direttamente a lui «per fare prima». Il contratto d'acquisto dell'immobile cita un prezzo di 860.000 euro, la metà dei quali (420.000 euro) coperta da un mutuo fondiario erogato il 7 gennaio 2019. Incrociando causali degli assegni e movimenti finanziari, i risk manager della banca di De Luca si accorgono però che il governatore del Pd avrebbe versato ai fratelli S. circa 70.000 euro in più. Infatti, tolta la caparra da 90.000 euro e calcolati i restanti 770.000 euro che sono stati pagati ai vecchi proprietari con due assegni da 250.000 euro, uno da 170.000 e l'ultimo da 99.000; non trovano spiegazione i due assegni emessi il 6 novembre 2018 (quello da 10.000 euro) e l'8 gennaio 2019 (quello da 60.000 euro, ricordate?). Perché allora De Luca ha versato ai fratelli S. più soldi di quelli pattuiti nel contratto? L'antiriciclaggio non ipotizza risposte, limitandosi a segnalare però una importante movimentazione finanziaria sui rapporti bancari riconducibili all'intera famiglia De Luca. Ed è proprio verificando le attività bancarie dei De Lucas che spunta la posizione di Piero, astro nascente della politica campana. Prima renziano poi zingarettiano. Intimamente deluchiano. Anche lui, infatti, è destinatario di una segnalazione di operazione sospetta per un bonifico relativo alla vendita di un appartamento a Bruxelles del valore di 1,4 milioni di euro, in comproprietà con la moglie Laura Zanarini. De Luca jr ha fatto rientrare dal Lussemburgo su un nuovo conto italiano aperto appena una settimana prima (e inserendo l'importo, sostiene, nel modello Rw per il nostro fisco) circa 770.000 euro con causale «pour solde et cloture de tous les comptes» (per saldo e chiusura di tutti i conti). Nella stessa data (7 agosto 2018) altri 407.000 euro sono stati accreditati sul conto della moglie, sempre dal Lussemburgo, con la causale «cloture compte». De Luca jr ha spiegato la movimentazione con la vendita dell'abitazione e coi compensi professionali come avvocato presso la Corte europea, mentre la consorte ha dichiarato, all'audit della banca italiana che ha poi fatto partire la segnalazione, di aver lavorato come distaccata del ministero dell'Economia dal 2013 al 2018 in qualità di esperto nazionale alla Corte dei conti europea. E di aver incassato i soldi della vendita della casa a Bruxelles. Gli esperti dell'Uif, indagando negli archivi degli istituti di credito coinvolti, hanno scoperto pure che il 6 settembre 2012 dal famoso conto cointestato a Vincenzo De Luca e ai suoi due figli, fu fatto partire un bonifico di 200.000 euro verso la banca lussemburghese dove aveva il conto il figlio Piero. Soldi, c'è scritto nella comunicazione, frutto di un disinvestimento titoli. Nella segnalazione antiriciclaggio si dà atto che i De Lucas sono stati oggetto di indagini da parte della Procura di Salerno proprio per questioni lussemburghesi. Piero, infatti, sta affrontando un processo per bancarotta fraudolenta per il fallimento della Ifil, società satellite del pastificio Amato, che secondo gli inquirenti faceva affari sia con il Comune di Salerno che con il pastificio. Mentre Piero, tra il 2009 ed il 2011, otteneva il pagamento di viaggi verso il Lussemburgo proprio dalla Ifil. Ma non è tutto. All'attenzione dell'antiriclaggio finisce pure l'altro rampollo del governatore, Roberto, di professione commercialista. Era incappato in un'inchiesta condotta dall'Antimafia per tangenti in materia smaltimento rifiuti. La stampa amica sostenne subito che la carriera politica di Roberto fu gravemente compromessa da quella vicenda. Che poi, però, è finita in archivio. L'attività professionale, invece, ha prodotto altri giri di denaro che non sono sfuggiti ai risk manager: Roberto «si dichiara titolare effettivo», insieme a un altro De Luca che di nome fa Carlo, «di tre imprese che condividono la medesima sede: Core finance srl e Core finance società di revisione srl (entrambe attive nella certificazione dei bilanci) e Core business srl (elaborazione elettronica dei dati contabili). I due De Luca, Roberto e Carlo, si ritrovano soci al 50 per cento. E ricevono giri fondi a «cifra tonda» sui conti della Core finance «di importo nettamente superiore alla media degli altri bonifici in arrivo». Le causali? «Generiche», annotano i risk manager: «Pagamento fattura» e «saldo consulenza». Operazioni ripetute più volte. E con società con le quali la Core finance condivide il commercialista: una che opera nel settore dell'installazione di impianti di illuminazione stradale e dispositivi di segnalazione delle piste degli aeroporti, l'altra del settore dell'energia. E con questa integrazione, le segnalazioni in cui compaiono i De Lucas sono quattro. Sempre per il «reiterarsi di giri fondi posti in essere da società riconducibili al nucleo familiare» dello sceriffo. Che sarà saltato sulla sedia quando ieri ha saputo che oltre all'indagine penale per i quattro vigili chaffeur che dal Comune di Salerno si è portato nel suo staff alla Regione Campania, incrementando non poco i loro stipendi, c'è un fascicolo pure alla Corte dei conti. «Ho fatto risparmiare l'ente», si era difeso il parsimonioso governatore. Ma ora sarà la Procura contabile a stabilirlo.
Alberto Stefani (Imagoeconomica)
(Arma dei Carabinieri)
All'alba di oggi i Carabinieri del Nucleo Ispettorato del Lavoro di Chieti, con il supporto operativo dei militari dei Comandi Provinciali di Pescara, L’Aquila e Teramo, su delega della Direzione Distrettuale Antimafia de L’Aquila, hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di un quarantacinquenne bengalese ed hanno notificato un avviso di conclusione delle indagini preliminari nei confronti di 19 persone, tutte gravemente indiziate dei delitti di associazione per delinquere finalizzata a commettere una serie indeterminata di reati in materia di immigrazione clandestina, tentata estorsione e rapina.
I provvedimenti giudiziari sono stati emessi sulla base delle risultanze della complessa attività investigativa condotta dai militari del NIL di Chieti che, sotto il coordinamento della Direzione Distrettuale Antimafia, hanno fatto luce su un sodalizio criminale operante fin dal 2022 a Pescara e in altre località abruzzesi, con proiezioni in Puglia e Campania che, utilizzando in maniera fraudolenta il Decreto flussi, sono riusciti a far entrare in Italia diverse centinaia di cittadini extracomunitari provenienti prevalentemente dal Bangladesh, confezionando false proposte di lavoro per ottenere il visto d’ingresso in Italia ovvero falsificando gli stessi visti. L’associazione, oggi disarticolata, era strutturata su più livelli e si avvaleva di imprenditori compiacenti, disponibili a predisporre contratti di lavoro fittizi o società create in vista dei “click day” oltre che di di professionisti che curavano la documentazione necessaria per far risultare regolari le richieste di ingresso tramite i decreti flussi. Si servivano di intermediari, anche operanti in Bangladesh, incaricati di reclutare cittadini stranieri e di organizzarne l’arrivo in Italia, spesso dietro pagamento e con sistemazioni di fortuna.
I profitti illeciti derivanti dalla gestione delle pratiche migratorie sono stimati in oltre 3 milioni di euro, considerando che ciascuno degli stranieri fatti entrare irregolarmente in Italia versava somme consistenti. Non a caso alcuni indagati definivano il sistema una vera e propria «miniera».
Nel corso delle indagini nel luglio 2024, i Carabinieri del NIL di Chieti hanno eseguito un intervento a Pescara sorprendendo due imprenditori mentre consegnavano a cittadini stranieri documentazione falsa per l’ingresso in Italia dietro pagamento.
Lo straniero destinatario del provvedimento cautelare svolgeva funzioni di organizzazione e raccordo con l’estero, effettuando anche trasferte per individuare connazionali disponibili a entrare in Italia. In un episodio, per recuperare somme pretese, ha inoltre minacciato e aggredito un connazionale. Considerata la gravità e l’attualità delle esigenze cautelari, è stata disposta la custodia in carcere presso la Casa Circondariale di Pescara.
Nei confronti degli altri 19 indagati, pur sussistendo gravi indizi di colpevolezza, non vi è l’attualità delle esigenze cautelari.
Il Comando Carabinieri per la Tutela del Lavoro, da anni, è impegnato nel fronteggiare su tutto il territorio nazionale il favoreggiamento dell’immigrazione irregolare, fenomeno strettamente collegato a quello dello sfruttamento lavorativo.
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