
Il neopresidente della tv di Stato: «Avvierò un cambiamento culturale, abbassando il tasso di politicizzazione e aumentando il pluralismo. E poi occorre recuperare il ritardo sul digitale, avvicinarsi ai giovani e confermarsi leader per gli ultracinquantenni».Un marziano in Rai. Marcello Foa, che fino a qualche mese fa avrebbe dovuto mettere il navigatore per arrivare a Saxa Rubra, è il nuovo presidente della più importante azienda culturale d'Italia. Quella che Enzo Jannacci definiva in dialetto milanese con «una forsa de leun» che «la te indurmenta cume un cujun». Il giornalista, blogger, ad del gruppo Corriere del Ticino, ex responsabile Esteri del Giornale, ha vinto la partita nel secondo tempo ( 27 i sì, 3 i contrari, una scheda nulla e una bianca; hanno votato 32 componenti su 40 della Commissione di Vigilanza). E a notte, per consunzione, si è fatto rubare un'intervista da un vecchio frequentatore delle stesse stanze montanelliane. Ma non gli chiediamo perdono.Presidente Foa, più che una nomina è stata una traversata del deserto. Mai pensato di dire: grazie scendo?«No, perché in questi due mesi difficili ho ricevuto da esponenti della maggioranza messaggi di solidarietà, attenzione e premura. Da Matteo Salvini, da Luigi Di Maio, dallo stesso premier Giuseppe Conte che non ho mai incontrato, mi è stata trasferita fiducia per una soluzione positiva».I politici sono sempre fiduciosi fino a un attimo prima di mollarti.«Siamo abituati a politici cinici, utilizzatori del metodo usa e getta, ma qui la solidarietà e il calore umano mi hanno rincuorato. E hanno fatto la differenza».Annunciando l'irrituale audizione in Commissione di Vigilanza l'ha chiamata sul web «deposizione» come se si trattasse di un tribunale politico. Lapsus freudiano?«L'ho scritto su Twitter senza rendermene conto e subito corretto. La Commissione mi ha accolto bene ed è stata ovviamente un'audizione. Certo, alcune domande dei rappresentanti del Pd e alcuni articoli di questo periodo sono stati inquisitori. Ma è mia abitudine rispondere alle provocazioni non raccogliendole».Più che indagare sulla sua professionalità le hanno fatto l'esame del sangue.«In qualche momento sembrava un processo alle idee più che una valutazione delle competenze. Rimproverare a un professionista le sue idee o lanciare accuse su cose presunte, riportate male o in malafede, non è correttissimo. Ma guardo avanti».Il Pd ha inondato il Tribunale di ricorsi per una presunta illegalità della seconda candidatura. Non rischia di trascorrere tre anni a difendersi?«Spero di no. Ho preso molto sul serio le riserve legali. Non sono un temerario e posso rassicurare: dall'esame fatto con eminenti giuristi emerge un quadro molto rassicurante. In più, stiamo agendo su impulso della stessa Commissione di Vigilanza che ha invitato ad eleggere il presidente e ha validato la mia seconda candidatura. Se così non fosse stato non mi sarei ricandidato».Una vita dai quotidiani alla Rai, da Indro Montanelli al cavallo di Messina. Che avventura è?«Soprattutto è una grande sorpresa, faccio ancora fatica a crederci. Solo il 25 luglio in Grecia se qualcuno me l'avesse ipotizzato mi sarei messo a ridere. L'incarico mi è stato proposto sulla base della stima di Lega e 5 stelle, cosa che mi ha molto onorato. Ma non avrei mai immaginato di passare da Lugano a Roma, dove ovviamente mi trasferirò con la residenza com'è doveroso per il presidente della Rai».È possibile che un marziano cambi le cose e non finisca prigioniero del grande abbraccio di mamma Rai?«Ennio Flaiano scrisse Un marziano a Roma, me lo sono riletto. Per la verità in consiglio d'amministrazione non sono l'unico marziano, molti consiglieri arrivano da mondo diversi. Sono consapevole che in tre anni non si fa la rivoluzione in Rai».Subito una frenata?«Tutt'altro, perché in questo periodo bisognerà avviare un cambiamento culturale, con un'informazione più corretta e meno di parte come viene considerata con rimprovero dai cittadini. E questo anche per il bene dell'azienda, dei 13.000 dipendenti Rai che rappresentano grandi potenzialità. Un valore assoluto talvolta inespresso. Faremo tanti passi avanti».Presidente Foa, ma è vero che lei è amico di Vladimir Putin?«Non lo conosco. Mi sono sempre occupato di Esteri, sulla Russia ho idee sviluppate con l'esperienza e con la mia testa. Semplicemente non capisco perché l'Europa debba alzare così tanto la tensione con la Russia attraverso sanzioni che danneggiano la nostra economia. L'interesse del mondo è una convivenza pacifica con la potenza di Mosca. Per la verità anche Romano Prodi esprime concetti analoghi senza che questo crei scandalo».Qual è il difetto principale dell'informazione italiana?«La mania di catalogare gli opinionisti attribuendo casacche come se fossero tifosi. Essere indipendenti significa anche non pensarla tutti allo stesso modo. Se i giornali scrivono tutti le stesse cose, dov'è la libertà di opinione?».Però lei ha il peccato originale, è sovranista.«L'articolo uno della Costituzione dice che la sovranità appartiene al popolo. Mi attengo, lo rispetto e non capisco perché essere sovranisti sia definito uno scandalo. Chiamatemi come volete, giudicatemi per il mio lavoro».È pentito per il tweet su Sergio Mattarella?«Quella critica ha una storia. Il passaggio del suo discorso in cui sembrava più sensibile alle ragioni dei mercati che dei cittadini italiani non mi era piaciuto. Ero irritato dal concetto, non certo dalla persona, che rispetto profondamente per il ruolo istituzionale, per la storia politica e per il sacrificio familiare al quale fu costretto».Come sarà la Rai di Marcello Foa?«Non sarà mia, ma apparterrà a questo cda e anche all'amministratore delegato Fabrizio Salini, grande professionista con un ruolo strategico. Questa Rai dovrà recuperare il ritardo sul mondo digitale, avvicinarsi ai giovani oltre che confermarsi leader per gli ultracinquantenni. Sogno una Rai che si avvicini a Netflix, una Raiflix. E poi vorrei che si abbassasse il tasso di politicizzazione e aumentasse il pluralismo. È un sogno, ma ci muoveremo con tenacia verso gli obiettivi».Nella sua storia ha documentato il crollo del Muro di Berlino, l'11 Settembre, l'elezione di Barack Obama. Ed è stato additato come un retwittatore di fake news. Cosa risponde?«È stata un'offesa, un'ingiustizia. Nel mio libro Gli stregoni della notizia ho descritto le tecniche usate per demonizzare gli avversari; non avrei mai immaginato che venissero usate anche contro di me».Che significato attribuisce a tutto questo?«È sempre più utile una stampa che aiuti a capire e che non distrugga la reputazione delle persone a prescindere. Vedere il mio volto in apertura dei Tg o sui giornali generalisti dell'informazione mainstream dipinto con giudizi tutt'altro che lusinghieri non lo auguro a nessuno. Io ho retto il colpo, sono allenato. Ma vorrei che tutto ciò non venga riservato a chi non può difendersi».Perché Silvio Berlusconi decise di non votare un giornalista che aveva lavorato 25 anni al Giornale?«Quei giorni di fine luglio furono molto complicati, lui era in clinica per controlli e alcuni colonnelli di Forza Italia avevano sposato una linea intransigente. Ho la certezza di essere stato in mezzo a una battaglia combattuta non sulla mia persona. Ma agosto ha fatto decantare tutto».Cosa significa essere considerato fuori dagli schemi?«Significa pensare con la propria testa, non fare affidamento a legami con i partiti per fare carriera. Mai avuto una tessera di partito in vita mia».Enzo Biagi diceva che in Rai, su tre giornalisti assunti uno era Dc, il secondo Pci è il terzo bravo. «Battuta stupenda, ma so anche che in azienda ci sono grandi professionalità. Se uno è bravo non mi interessa per chi vota».
Nadia e Aimo Moroni
Prima puntata sulla vita di un gigante della cucina italiana, morto un mese fa a 91 anni. È da mamma Nunzia che apprende l’arte di riconoscere a occhio una gallina di qualità. Poi il lavoro a Milano, all’inizio come ambulante e successivamente come lavapiatti.
È mancato serenamente a 91 anni il mese scorso. Aimo Moroni si era ritirato oramai da un po’ di tempo dalla prima linea dei fornelli del locale da lui fondato nel 1962 con la sua Nadia, ovvero «Il luogo di Aimo e Nadia», ora affidato nelle salde mani della figlia Stefania e dei due bravi eredi Fabio Pisani e Alessandro Negrini, ma l’eredità che ha lasciato e la storia, per certi versi unica, del suo impegno e della passione dedicata a valorizzare la cucina italiana, i suoi prodotti e quel mondo di artigiani che, silenziosi, hanno sempre operato dietro le quinte, merita adeguato onore.
Franz Botrè (nel riquadro) e Francesco Florio
Il direttore di «Arbiter» Franz Botrè: «Il trofeo “Su misura” celebra la maestria artigiana e la bellezza del “fatto bene”. Il tema di quest’anno, Winter elegance, grazie alla partnership di Loro Piana porterà lo stile alle Olimpiadi».
C’è un’Italia che continua a credere nella bellezza del tempo speso bene, nel valore dei gesti sapienti e nella perfezione di un punto cucito a mano. È l’Italia della sartoria, un’eccellenza che Arbiter celebra da sempre come forma d’arte, cultura e stile di vita. In questo spirito nasce il «Su misura - Trofeo Arbiter», il premio ideato da Franz Botrè, direttore della storica rivista, giunto alla quinta edizione, vinta quest’anno da Francesco Florio della Sartoria Florio di Parigi mentre Hanna Bond, dell’atelier Norton & Sons di Londra, si è aggiudicata lo Spillo d’Oro, assegnato dagli studenti del Master in fashion & luxury management dell’università Bocconi. Un appuntamento, quello del trofeo, che riunisce i migliori maestri sarti italiani e internazionali, protagonisti di una competizione che è prima di tutto un omaggio al mestiere, alla passione e alla capacità di trasformare il tessuto in emozione. Il tema scelto per questa edizione, «Winter elegance», richiama l’eleganza invernale e rende tributo ai prossimi Giochi olimpici di Milano-Cortina 2026, unendo sport, stile e territorio in un’unica narrazione di eccellenza. A firmare la partnership, un nome che è sinonimo di qualità assoluta: Loro Piana, simbolo di lusso discreto e artigianalità senza tempo. Con Franz Botrè abbiamo parlato delle origini del premio, del significato profondo della sartoria su misura e di come, in un mondo dominato dalla velocità, l’abito del sarto resti l’emblema di un’eleganza autentica e duratura.
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A rischiare di cadere nella trappola dei «nuovi» vizi anche i bambini di dieci anni.
Dopo quattro anni dalla precedente edizione, che si era tenuta in forma ridotta a causa della pandemia Covid, si è svolta a Roma la VII Conferenza nazionale sulle dipendenze, che ha visto la numerosa partecipazione dei soggetti, pubblici e privati del terzo settore, che operano nel campo non solo delle tossicodipendenze da stupefacenti, ma anche nel campo di quelle che potremmo definire le «nuove dipendenze»: da condotte e comportamenti, legate all’abuso di internet, con giochi online (gaming), gioco d’azzardo patologico (gambling), che richiedono un’attenzione speciale per i comportamenti a rischio dei giovani e giovanissimi (10/13 anni!). In ordine alla tossicodipendenza, il messaggio unanime degli operatori sul campo è stato molto chiaro e forte: non esistono droghe leggere!
Messi in campo dell’esecutivo 165 milioni nella lotta agli stupefacenti. Meloni: «È una sfida prioritaria e un lavoro di squadra». Tra le misure varate, pure la possibilità di destinare l’8 per mille alle attività di prevenzione e recupero dei tossicodipendenti.
Il governo raddoppia sforzi e risorse nella lotta contro le dipendenze. «Dal 2024 al 2025 l’investimento economico è raddoppiato, toccando quota 165 milioni di euro» ha spiegato il premier Giorgia Meloni in occasione dell’apertura dei lavori del VII Conferenza nazionale sulle dipendenze organizzata dal Dipartimento delle politiche contro la droga e le altre dipendenze. Alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, a cui Meloni ha rivolto i suoi sentiti ringraziamenti, il premier ha spiegato che quella contro le dipendenze è una sfida che lo Stato italiano considera prioritaria». Lo dimostra il fatto che «in questi tre anni non ci siamo limitati a stanziare più risorse, ci siamo preoccupati di costruire un nuovo metodo di lavoro fondato sul confronto e sulla condivisione delle responsabilità. Lo abbiamo fatto perché siamo consapevoli che il lavoro riesce solo se è di squadra».





