2019-05-06
Soccorso rosso in difesa di Raimo. Boicottaggio per il Salone del libro
Lo scrittore satirico Sgargabonzi straccia l'invito su Facebook, il collettivo Wu Ming annulla il suo evento per protestare contro la presenza dello stand della casa editrice Altaforte: «Non stiamo accanto ai neri».Prosegue senza sosta la surreale saga del Salone del libro di Torino: la «puntata» di ieri ha visto - in un clamoroso e un po' maldestro tentativo di rovesciamento della frittata - il fronte dei censori impegnatissimi a presentarsi come vittime. Con inevitabile effetto comico. I lettori della Verità conoscono l'antefatto. Prima, il fuoco di fila «antifascista» contro la presenza di uno stand (8 metri quadrati) della casa editrice Altaforte, vicina a CasaPound; poi, le parole fuori controllo del consulente del Salone, lo scrittore Christian Raimo, che alla fine si è inevitabilmente dovuto dimettere, dopo aver sparacchiato infamanti accuse di «razzismo esplicito».In un mondo normale, la direzione del Salone si sarebbe chiusa in un lungo e imbarazzato silenzio. E invece il direttore della manifestazione, Nicola Lagioia, è singolarmente passato all'offensiva, dicendosi dispiaciuto per le dimissioni del suo amico Raimo e aggiungendo: «Mi dispiace per come uomini politici di partiti dove ci sono gli inquisiti per mafia abbiano cavalcato la vicenda. Mi dispiace per come tanti commentatori cerchino di strumentalizzare il Salone ai soli fini della campagna elettorale o per avere visibilità. Sacrificare una parte di sé per un bene comune è una cosa ormai da pochi. Raimo l'ha fatto senza che nessuno gliel'abbia imposto, e questo ai miei occhi lo nobilita. Gli altri si guardino allo specchio». E poi il gran finale: «Chi ha creduto di sfruttare i contenuti del post di Raimo, scritto solo a titolo personale, e le polemiche sui neofascismi per intimidirci, per scalfire l'indipendenza editoriale del Salone e quindi per danneggiare un progetto bellissimo e l'intero territorio, sbaglia di grosso». Rovesciamento curioso: sono stati uomini del Salone a innescare un tentativo di censura e a insultare. Che ora il direttore dica che non si farà intimidire è abbastanza curioso. La sensazione è che una grande specchiera serva proprio al comitato organizzatore: o per provare ad arrampicarvisi o per scoprire chi abbia intimidito chi... Ma Lagioia («Mai una gioia», hanno scritto i più perfidi sui social network) non è stato l'unico a tentare di fare la vittima. Ieri è sceso in campo al fianco di Raimo lo scrittore Giuseppe Genna: su Twitter (dove si definisce nientemeno che «novelist and consciousness essayist», roba grossa insomma) ha espresso «solidarietà fraterna, politica, intellettuale» a Raimo, dimessosi «contro le indegne pressioni di fascisti al governo». Genna, già pronto alla nuova Resistenza, ha concluso: «La posizione di Raimo è l'unica che si deve tenere contro la deriva imposta dagli assassini della democrazia». Che - presumiamo - siano quelli che prenotano e pagano regolarmente uno spazio espositivo al Salone, e ovviamente chi ha osato difenderli. Non da meno di Genna, un'altra autrice, Lia Celi, pure lei sulle barricate contro il libro intervista di Matteo Salvini pubblicato da Altaforte. Con quel libro a Torino, secondo la Celi, «più che Salone del libro chiamiamolo Salò del libro». Ma la fantasia progressista non conosce confini. Un altro «cervello in fuga» (dal Salone) è lo scrittore satirico Sgargabonzi, che, immaginando di gettare tutti nello sconforto, ha pubblicato su Facebook la notizia del suo abbandono: «Ecco cosa resta del mio invito al Salone del libro dopo le dimissioni del mio amico e collega Christian Raimo». E, sotto queste due righe, una foto dell'invito fatto a pezzetti più un bicchiere colmo di un digestivo effervescente. Morale, non c'è più bisogno di Salvini per prenderli in giro sul Maalox: la sinistra «intellettuale» ormai provvede da sé. Ma il colpo di teatro della giornata è venuto dal collettivo bolognese di scrittori Wu Ming, che non si dà pace per la mancata esclusione delle edizioni Altaforte, e ha preannunciato il suo ritiro, al grido di «mai con i fascisti». «A Torino», proclamano, «si è compiuto un passo ulteriore nell'accettazione delle nuove camicie nere sulla scena politico culturale italiana. Accettazione che da anni premia soprattutto i fascisti di CasaPound, sempre intenti a rappresentarsi come “carini e coccolosi"». E quindi che fa il collettivo Wu Ming? Immaginando di gettare le folle nel panico, dichiara «di non aver intenzione di condividere alcuno spazio o cornice coi fascisti. Mai accanto a loro. Per questo non andremo al Salone». Da segnalare infine una (doppia) coda - francamente evitabilissima - al comizio tenuto nei giorni scorsi da Matteo Salvini a Forlì dal balcone del municipio a piazza Saffi, subito rilanciato nei titoli di molti giornali come il «discorso dal balcone di Benito Mussolini». Un candidato della lista del Pd per il Comune di Pavia, tale Ottavio Giulio Rizzo, ha pubblicato sui social una doppia immagine «rovesciata» e affiancata di Mussolini e Salvini, con la seguente chiosa di dubbio gusto: «Se ci tiene tanto a rievocarlo, tenga presente che piazzale Loreto verrà finalmente trasformata in una piazza pedonale». Ieri, travolto dalle polemiche e dalle reazioni, Rizzo ha fatto sapere, bontà sua, di «non auspicare l'impiccagione di chicchessia». Non ha contribuito a distendere il clima neanche l'economista Carlo Alberto Carnevale Maffè, che ha postato su Twitter la tragica foto dell'agosto 1944, con i corpi dei quattro partigiani della Brigata Corbari orribilmente appesi dai nazifascisti ai lampioni di piazza Saffi, a Forlì, proprio davanti al famigerato balcone. Commento di Carnevale Maffè: «Il balcone di Forlì, l'altra volta». Viene da chiedersi: 75 anni dopo, è forse colpa di Salvini?
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