2024-12-11
In Cina i giudici umani non contano. Le sentenze in mano agli algoritmi
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I tribunali digitali gestiti dall'intelligenza artificiale erano nati inizialmente per decongestionare il sistema giudiziario. Sono diventati dopo la pandemia uno strumento di controllo assoluto nelle mani della Corte suprema del popolo. L'attuale sistema giuridico cinese, nato negli anni di Deng Xiaoping, è plasmato per consolidare il dominio assoluto del Partito comunista e non prevede di fatto alcuna separazione dei poteri.Lo speciale contiene due articoli.Anno domini 2024. Sei giunto dinanzi ad un tribunale cinese in attesa della tua sentenza, il tuo sguardo incontra quello nocciola del rigido giudice. Ecco, la sua voce si pronuncia e ti immobilizzi, finché non realizzi che la tua condanna non dipende neppure da lui, che potresti guardare negli occhi almeno, ma dal suo assistente Ia, il giudice robot che prende le decisioni per la magistratura cinese.Eppure, quel giudice robot, quell’assistente artificiale che determina il tuo destino con l’algida perfezione che solo un algoritmo può avere, non è figlio di un romanzo fantascientifico. È la creatura di un progetto concreto, chiamato Smart Court.Le Smart Courts, tribunali intelligenti, nascono da un’ambizione, o forse da un’ossessione. Quella di costruire un sistema che soddisfi la necessità di controllo assoluto, in ogni sua possibile dimensione.L’idea germoglia nei primi anni duemila. È da allora che si comincia a parlare di digitalizzazione dei tribunali, soprattutto perché la Cina è appena entrata nel WTO e vuole a tutti i costi recuperare il terreno perso nel corso del suo isolamento commerciale ed economico.Le premesse si intrecciano provvidenzialmente con la nuova Via della Seta, il progetto lanciato nel 2013 che promette di riplasmare il destino della Cina, ma ben presto si scontra con l’eccessiva burocrazia del paese e l’inefficienza dei suoi tribunali oberati, non preparati ad una mole di richieste del genere.Infatti, secondo i dati forniti da C. Shi, nel 2015 la magistratura cinese si trova sommersa da un’ondata di 16,714 milioni di casi pendenti. Ventisette volte di più rispetto al 1978, l’anno in cui Deng Xiaoping aprì le porte al mondo. Un contatto che portò con sé controversie civili e commerciali in quantità impensabili: nel 2015 erano 11,045 milioni, trentacinque volte di più rispetto al 1978.Eppure, i giudici cinesi – quei pochi che c’erano – non erano cresciuti al ritmo delle dispute. Nel 2015, ce n’erano appena 196 mila in tutto il paese, un aumento modesto rispetto ai 60 mila del 1981. Un incremento di appena 3,27 volte contro un’esplosione esponenziale delle cause. Ogni giudice si ritrovava sulle spalle il peso di decine, se non centinaia, di fascicoli.Qui sta la radice delle Smart Courts. Così, la Corte Suprema del Popolo, il vertice giuridico sotto il dominio del Partito, ha presentato nel 2014 il piano quinquennale di riforma dei tribunali del popolo in cui viene definito come obiettivo principale l’implementazione delle tecnologie moderne di controllo nei tribunali cinesi, costruendo un vero e proprio sistema giudiziario socialista.L'accelerazione del progetto è stata innescata da due fattori principali: la creazione delle Internet Courts e la pandemia. Le Internet Courts, lanciate nel 2017, hanno rappresentato il primo passo verso questo modello. Tribunali completamente digitali, progettati per risolvere controversie di e-commerce, ma che presto sono diventati un laboratorio per sperimentare la totale automazione dei processi giudiziari.L'uso di blockchain, riconoscimento facciale e intelligenza artificiale non è stato pensato per garantire una giustizia trasparente, bensì per rafforzare il controllo su ogni fase del processo. L’ossessione del Partito per monitorare ogni dettaglio si è ulteriormente consolidata durante la pandemia, quando il Covid-19 ha accelerato l’adozione di questi strumenti.A queste premesse hanno fatto eco le opinioni della Corte Suprema del Popolo sulla costruzione accelerata delle Smart Courts.Al centro di questa trasformazione si trovano oltre 3.000 tribunali, 10.000 sezioni distaccate e più di 4.000 dipartimenti collaborativi, il progetto è una elefantesca rete di infrastrutture digitali, sistemi applicativi e risorse dati, tutti intrecciati in una complessità senza precedenti.Internamente, i «tribunali intelligenti» sono progettati per essere delle vere e proprie «gabbie di ferro», un sistema di controllo totale in cui il comportamento dei funzionari giudiziari è monitorato e guidato da piattaforme digitali automatizzate. Ogni decisione, ogni procedura, ogni parola è tracciata. Questa sorveglianza totale non è fine a sé stessa: è presentata come un mezzo per garantire disciplina e risultati «equi».Ma attenzione: in Cina, ciò che è «equo» non si misura secondo principi universali. È il Partito comunista a decidere cosa sia giusto, e il suo protocollo diventa la legge suprema.Il protagonista assoluto del progetto è lo «smart judge», di fatto, la controparte robot per i giudici umani. Alimentato da un’enorme banca dati che copre 60 anni di storia giuridica cinese, il sistema non si limita a fornire risposte: rielabora precedenti, formula considerazioni e offre previsioni, automatizzando così molte delle fasi del processo decisionale.Dietro il suo sviluppo, sono stati arruolati i colossi tecnologici cinesi come iFlytek, Tencent e Alibaba, Tuttavia, la stretta relazione tra queste aziende e il governo cinese solleva interrogativi inquietanti, considerando che gli algoritmi non sono auto-coscienti, ma rispondono alle linee guida dei suoi creatori.Ma qui arriviamo al punto: un elemento cruciale del sistema è il cosiddetto accountability check judge, che registra ogni discrepanza tra le decisioni del giudice umano e quelle proposte dal giudice robot. Questo meccanismo di verifica agisce come una forma di controllo continuo sull’operato dei giudici, legando direttamente la loro performance alle scelte prese in tribunale.Parallelamente, nell’ambito della riforma sulla responsabilità giudiziaria, è stato introdotto il principio della «responsabilità a vita». In pratica, i pubblici ministeri vedono la loro reputazione e le prospettive di carriera dipendere dalla qualità e dall’accuratezza dei casi gestiti. Questa misura, almeno sulla carta, mira a garantire efficienza e correttezza, cercando di contrastare le accuse di corruzione che storicamente hanno caratterizzato il sistema giudiziario cinese.Queste riforme si inseriscono in una struttura giudiziaria già criticata per il suo sistema di «doppia dipendenza». Le corti locali non rispondono solo alla Corte Suprema del Popolo attraverso una gerarchia verticale, ma anche alle Assemblee Popolari di corrispondenza a livello territoriale. L’introduzione del giudice robot, con tutte le conseguenze sopraccitate, aggiunge sostanzialmente una «tripla dipendenza», riducendo ulteriormente l’autonomia del giudice umano, che diviene un mero strumento de facto spogliato non solo della sua figura professionale, ma soprattutto umana. Così analizzate, queste smart courts, se antropizzate, si traducono in un processo di mutazione del corpo socialista: da un lato, lo strumento della giustizia si attorciglia ancor di più nel suo Leviatano, dall’altro ne fa una trasfusione di sangue per rianimare la smunta utopia marxista.In una perfetta ripetizione dell’abusato 1984 di George Orwell, la concezione della giustizia nella visione del Partito Comunista cinese è chiara: chiama «giusto» ciò che serve a consolidare la stabilità politica. Attraverso la propaganda, i cittadini devono essere educati a comprendere cosa significhi «giusto». Attraverso il controllo, i funzionari dello Stato devono garantire che questa concezione unilaterale prevalga.Sicché, adesso, silenzio. Il giudice si pronuncia, la voce risuona, la sentenza è emessa, quegli stessi occhi nocciola ti stanno evitando, e non ti resta altro che respirare. Quello che c’era da sapere è stato chirurgico, freddo, preciso e neppure umano. Però è efficiente, rapido e moderno, così ci dicono.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/smart-courts-cina-2670432697.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="il-sistema-giudiziario-cinese-una-perfetta-piramide-d-acciaio" data-post-id="2670432697" data-published-at="1733917873" data-use-pagination="False"> Il sistema giudiziario cinese: una perfetta piramide d'acciaio Nella sua ossessione per mantenere il controllo su un miliardo e mezzo di persone, la Cina ha progettato un sistema giudiziario che non risponde alla giustizia, ma al Partito, trasformando ogni aspetto della società in un elemento di disciplina centralizzata sotto un’unica bandiera rossa.Ma cominciamo dall’inizio: la Cina ha una storia giuridica relativamente recente. Basti pensare che, durante la Rivoluzione Culturale maoista – di cui tutt’oggi si fatica a parlare nel paese del Dragone - le professioni giuridiche furono sostanzialmente spazzate via, condannando i cinesi a un ventennio di nichilismo giuridico.Fu solo negli anni Ottanta, con l’ascesa di Deng Xiaoping, che il vento iniziò a cambiare. Deng comprese che la Cina non poteva apparire credibile sul piano internazionale senza un sistema giuridico che desse una parvenza di modernità. Tuttavia, questa riforma è servita più a consolidare il potere del Partito che a garantire una giustizia imparziale.Insieme alla rinascita economica e al ritorno dello spirito imprenditoriale, si fece strada anche l’esigenza di riorganizzare il diritto. E non si partì da zero, ma da una tradizione importata, quella romanistica.Se il sistema giudiziario cinese fosse un edificio, sarebbe una piramide. Asfissiante, immensa, ma costruita con una logica che riflette non solo una struttura gerarchica, bensì una precisa filosofia politica: concentrare il potere nelle mani del Partito, soffocando ogni autonomia.Al vertice di questa piramide troviamo la Corte Suprema del Popolo, la Spc, il cuore pulsante della giustizia cinese. È lì che si decidono le cause più delicate, quelle di grande risonanza internazionale, ed è lì che si custodisce l’immagine – più che la sostanza – di un sistema moderno e funzionante.La Spc non è solo un organo di giudizio: è un supervisore, un occhio vigile che controlla i tribunali inferiori. Tribunali che, da ingranaggi di una macchina complessa, sono suddivisi in quattro livelli: 3117 Corti di base, seguite da Corti intermedie e Alte corti, prima di arrivare al vertice della piramide. Un sistema organizzato secondo la Legge organica del 1983 di radice sovietica, arricchito dalla legge sui giudici del 1995 e da un insieme di norme procedurali che regolano le dispute civili, penali e amministrative.I giudici cinesi non applicano Montesquieu. Non possono. Tra le pieghe della loro toga non c’è spazio per la separazione dei poteri: al contrario, devono piegarsi al principio della cosiddetta doppia dipendenza. La prima, orizzontale, li lega al potere legislativo locale. La seconda, verticale, li subordina alle corti superiori. E poi, sopra di loro, sempre il Partito. Perché è il Partito che, attraverso l’Assemblea Nazionale del Popolo, decide chi deve occupare la poltrona più alta, quella del Presidente della Corte Suprema.Tra le pareti di questa piramide d’acciaio l’autonomia decisionale non trova spiragli. Le nomine e le destituzioni dei giudici dipendono dall’Assemblea popolare, e dunque dal Partito. Ma non basta. Anche i tribunali – e chi vi lavora – sopravvivono grazie al sostegno economico dei governi locali, anch’essi diretti dal Partito. Un circolo perfetto e asfissiante, dove il magistrato è poco più che una rotella dell’ingranaggio. Mal retribuito, oltretutto. Nonostante il carico di lavoro e le aspettative sempre crescenti, gli stipendi rimangono bassi, tanto che molti giudici abbandonano la professione dopo pochi anni, logorati da un sistema che non li sostiene.E mentre i giudici lasciano, Xi Jinping resta. E rilancia. La sua campagna anti-corruzione, ormai onnipresente, è diventata il cuore pulsante della narrativa governativa sulla magistratura.La corruzione nel sistema giudiziario cinese, amplificata dalla mancanza di indipendenza, è stata sfruttata da Xi Jinping come pretesto per giustificare una campagna di purghe politiche. Ogni giudice non allineato viene messo sotto accusa, consolidando ulteriormente il dominio del Partito. Come? Attraverso l’introduzione di un’educazione politica obbligatoria per i magistrati. Una rieducazione che lascia poco spazio alla libertà: chi non si allinea è accusato di slealtà o disonestà. E rischia il posto.In parallelo, il regime ha scelto di puntare sulla tecnologia come nuovo baluardo della trasparenza: tribunali automatizzati, giudici robot, le cosiddette smart courts. Un apparato narrativo imponente, costruito per convincere il mondo che la Cina è un modello di efficienza e integrità.Avvicinandosi a questa piramide d’acciaio, si realizza che funziona mediante un chirurgico meccanismo: creare un problema per poi imporre la propria soluzione. La corruzione, reale o percepita, ha offerto al regime il pretesto perfetto per costruire una macchina burocratica sempre più centralizzata.Una struttura mastodontica, lucidata per il palcoscenico internazionale, progettata non per servire il popolo, ma per asservirlo. Dietro la facciata di modernità si nasconde un sistema che rigetta ogni principio di libertà per abbracciare l’ossessione di un controllo totale. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/smart-courts-cina-2670432697.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="bibliografia" data-post-id="2670432697" data-published-at="1733925928" data-use-pagination="False"> Bibliografia C. Shi, T. Sourdin, B. Li, The Smart Court – A New Pathway to Justice in China?, in International Journal for Court Administration, vol. 12, n. 1, 2021. Opinions of the Supreme People’s Court No. 3, On Deepening the Reform of People’s Courts in All Respects – The Fourth Five-Year Reform Plan of the People’s Courts (2014–2018), 2015, disponibile online: https://www.hshfy.sh.cnT. Liao, How Emerging Technologies Shape the Face of Chinese Courts?, Ph.D. candidate, Wuhan University Institute of International Law, disponibile online: https://conflictoflaws.net