
La leggenda del tennis spara a zero sull’Antidoping: «Il sistema è marcio. Se la prendono con l’italiano per una contaminazione quando con i cinesi positivi non fecero nulla». Washington congela i fondi all’Agenzia.Il nuovo anno di Jannik Sinner è iniziato come è finito il precedente: con una vittoria. Il tennista altoatesino, alla sua prima partita ufficiale, ha liquidato Nicolas Jarry in tre set (7-6, 7-6, 6-1), conquistando il secondo turno degli Australian Open (dove l’hanno scorso ha vinto il suo primo Slam). La corsa per difendere il titolo è quindi cominciata nel migliore dei modi, con un match duro e allenante (i primi due set sono stati decisi al tie-break) ma al contempo sotto controllo e gestito bene dal punto di vista mentale. Proprio come l’anno scorso, però, il numero uno al mondo è costretto ad affrontare domande e polemiche sull’assurdo caso di doping ancora pendente. Come noto, infatti, la Wada (Agenzia mondiale antidoping) ha fatto ricorso al Tas, il Tribunale arbitrale dello sport, contro l’assoluzione di Sinner e l’udienza si terrà a Losanna tra il 16 e il 17 aprile. Prima dell’incontro, Jarry - che nel 2020 è stato fermato quasi un anno per esser risultato positivo al Ligandrol e allo Stanozololo, due sostanze proibite - si è lamentato per la disparità di trattamento subita. «Cerco di lavorarci, di parlarne, di non farmi influenzare, ma è qualcosa che non riesco ancora a superare del tutto», ha dichiarato ai microfoni l’atleta cileno. La replica di Jannik, provocata dai giornalisti, è arrivata nella conferenza stampa post-partita: «C’è un protocollo», ha affermato. «Se il protocollo ha qualche problema, la colpa non è mia. Certo, mi dispiace molto per i giocatori che si trovano ad affrontare queste situazioni. Ma non conosco esattamente i dettagli del suo caso, so solo che cos’è successo a me, so che cosa ho dovuto passare. La quantità che avevo nel mio corpo era inferiore al miliardesimo di grammo ed è stata una contaminazione».Prima del ricorso della Wada, infatti, l’Itia (International tennis integrity agency) aveva giudicato vera la versione di Sinner secondo cui le tracce di Clostebol trovate nel suo sangue - una quantità talmente piccola da non poter alterare in alcun modo le prestazioni sportive - fossero riconducibili a un’accidentale contaminazione avvenuta attraverso il suo fisioterapista di allora, Giacomo Naldi, il quale si stava curando una ferita al dito con uno spray contenente la sostanza. «Sinceramente sono molto positivo perché non dovrebbe uscire niente», ha anche detto il due volte campione Slam, «mi hanno sempre detto che non è stata colpa mia e il tutto si è verificato in maniera involontaria. Quello che era presente nel mio corpo era talmente infinitesimale… Però è da fare, vediamo come va. Quello che esce, esce. Io so quello che è successo e in teoria cambia poco, perché so la verità». Prima che si esprima il Tas, però, il campione di Sesto Pusteria ha davanti a sé un calendario non banale. In prima battuta, la partita di mercoledì contro Tristan Schoolkate e la difesa del titolo in Australia. Poi, per citare solo i tornei più importanti, i due master 1.000 sul cemento di Indian Wells e Miami a marzo e, all’inizio di aprile, quello di Montecarlo sulla terra. Non c’è tempo di pensare troppo alle accuse.A difenderlo, tanto, ci pensano pesi massimi del tennis come Martina Navratilova. La leggenda statunitense, che vanta il maggior numero di tornei vinti nella storia del circuito femminile (ben 167) e il terzo posto per numero di Slam conquistati in singolare (sotto solo a Serena Williams e Steffi Graf), nei giorni scorsi ha lanciato un siluro contro la Wada. All’ex tennista il ricorso al Tas contro Jannik, dopo l’assoluzione del tribunale indipendente, non è andato giù. «Non sarò molto diplomatica sull’argomento», ha commentato nel corso della trasmissione Tc Live, «e vi dico che tutto questo puzza. L’intero sistema va fatto saltare in aria e bisogna ricominciare da zero. In questo momento la Wada è sotto osservazione per quello che ha fatto con gli atleti cinesi, anzi sarebbe meglio dire quello che non ha fatto. I casi di Sinner e della Swiatek (tennista di nazionalità polacca, sospesa per un mese dopo esser risultata positiva alla Trimetazidina, sostanza presente in un farmaco di melatonina assunto per problemi di sonno legati al jet lag, ndr) non hanno nulla a che fare con il doping. Invece di provare davvero a trovare chi imbroglia, ci concentriamo su creme da massaggio o su una pillola per dormire, presa per cinque anni e che ora è risultata contaminata». «Ormai il concetto è che gli atleti siano colpevoli finché non dimostrano la loro innocenza», ha anche aggiunto la statunitense. «Sinner pensava che il suo caso fosse concluso e ora si trova a fare i conti con un appello. Ma perché? È una cosa che non capisco. Credo che su questo caso ci sia da fare chiarezza al più presto». Chiarezza che, nei confronti della Wada, non viene richiesta solo dal mondo del tennis. L’ente è un’emanazione del Comitato olimpico internazionale (il Cio, tanto discusso quest’estate in occasione dei giochi parigini), da cui viene finanziato per metà, mentre l’altra metà arriva dai 140 Paesi aderenti al programma. Ebbene, gli Stati Uniti hanno congelato i loro fondi del 2024, circa 3,6 milioni di dollari, come reazione al discusso caso - menzionato anche dalla Navratilova - degli atleti cinesi risultati positivi e mai condannati. Per ricapitolare brevemente i fatti, otto mesi prima delle Olimpiadi di Tokyo del 2021 un gruppo di 23 nuotatori cinesi - tra cui anche qualche futura medaglia d’oro - risultò positivo alla Trimetazidina. L’agenzia antidoping del Dragone, dopo un’indagine quantomeno sommaria, li scagionò immediatamente, sostenendo che si trattasse di una contaminazione accidentale avvenuta nelle cucine dell’hotel (la molecola, però, non si trova negli alimenti). La Wada in quel caso decise di non fare alcun ricorso e, da allora, su di essa grava un’ombra di diffidenza, specialmente negli Stati Uniti. Ecco perché fare oggi la voce grossa con Sinner, la cui vicenda è piuttosto chiara, risulta davvero poco credibile.
La maxi operazione nella favela di Rio de Janeiro. Nel riquadro, Gaetano Trivelli (Ansa)
Parla Gaetano Trivelli, uno dei leader del team Recap, il gruppo che dà la caccia ai trafficanti che cercano di fuggire dalla legge.
Nicolas Maduro e Hugo Chavez nel 2012. Maduro è stato ministro degli Esteri dal 2006 al 2013 (Ansa)
Su un testo riservato appare il nome del partito creato da Grillo. Dietro a questi finanziamenti una vera internazionale di sinistra.
Un disegno che ricostruisce i 16 mulini in serie del sito industriale di Barbegal, nel Sud della Francia (Getty Images)
Nel 1937 l’archeologo francese Fernand Benoit fece una scoperta clamorosa. Durante gli scavi archeologici nei pressi dell’acquedotto romano di Arles, la sua città, riportò alla luce un sito straordinario. Lungo un crinale ripido e roccioso, scoprì quello che probabilmente è stato il primo impianto industriale della storia, un complesso che anticipò di oltre un millennio la prima rivoluzione industriale, quella della forza idraulica.
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Situato a circa 8 km a nord di Arelate (odierna Arles), il sito archeologico di Barbegal ha riportato alla luce una fabbrica per la macinazione del grano che, secondo gli studiosi, era in grado di servire una popolazione di circa 25.000 persone. Ma la vera meraviglia è la tecnica applicata allo stabilimento, dove le macine erano mosse da 16 mulini ad acqua in serie. Il sito di Barbegal, costruito si ritiene attorno al 2° secolo dC, si trova ai piedi di una collina rocciosa piuttosto ripida, con un gradiente del 30% circa. Le grandi ruote erano disposte all’esterno degli edifici di fabbrica centrali, 8 per lato. Erano alimentate da due acquedotti che convergevano in un canale la cui portata era regolata da chiuse che permettevano di controllare il flusso idraulico.
Gli studi sui resti degli edifici, i cui muri perimetrali sono oggi ben visibili, hanno stabilito che l’impianto ha funzionato per almeno un secolo. La datazione è stata resa possibile dall’analisi dei resti delle ruote e dei canali di legno che portavano l’acqua alle pale. Anche questi ultimi erano stati perfettamente studiati, con la possibilità di regolarne l’inclinazione per ottimizzare la forza idraulica sulle ruote. La fabbrica era lunga 61 metri e larga 20, con una scala di passaggio tra un mulino e l’altro che la attraversava nel mezzo. Secondo le ipotesi a cui gli archeologi sono giunti studiando i resti dei mulini, il complesso di Barbegal avrebbe funzionato ciclicamente, con un’interruzione tra la fine dell’estate e l’autunno. Il fatto che questo periodo coincidesse con le partenze delle navi mercantili, ha fatto ritenere possibile che la produzione dei 16 mulini fosse dedicata alle derrate alimentari per i naviganti, che in quel periodo rifornivano le navi con scorte di pane a lunga conservazione per affrontare i lunghi mesi della navigazione commerciale.
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