
La destra pragmatica ha intercettato le esigenze delle fasce povere della popolazione, mandando in tilt partiti e sindacati rossi. La loro reazione è sempre più conflittuale. Viene meno così una competizione sulle proposte necessaria a migliorare il sistema.I partiti della coalizione di destra in Italia hanno colto che c’è un cambio di mondo che richiede una governabilità precisa, positiva ed innovativa. Quelli di sinistra non lo stanno facendo, diventando un problema per la stabilità e il funzionamento della democrazia.In sintesi, emerge come rischio destabilizzante per la nazione l’irrazionalità sempre più spesso violenta o troppo conflittuale dei movimenti di sinistra, partitici e sindacali, divergenti dalla ricerca di una formula di buon governo. Scrivo questo perché ritengo che una democrazia - la forma più complessa e fragile di organizzazione sociale - possa sopravvivere, fornire libertà ed opportunità crescenti agli individui, tutti, se ogni parte politica compete per il meglio.Devo dire che il rischio degenerativo qui individuato fu oggetto di analisi nel lontano 1994 quando Edward Luttwak, Giulio Tremonti ed io ci trovammo in un convegno sul Lago di Como: concordammo, pur con analisi da punti di vista diversi, che nello scenario futuro a 25 anni c’era il rischio di un impoverimento delle democrazie che le avrebbe destabilizzate. Disegnammo sui tovaglioli di un ristorante le tendenze negative e decidemmo di scrivere insieme, con capitoli separati, un libro che sia mostrasse il rischio sia le possibili soluzioni. Tremonti volle come titolo Il fantasma della povertà (Mondadori, 1995). Ci parve corretto per il fatto che tale spettro lo vedevamo in via di materializzazione. Il punto, qui: con mia sorpresa fui invitato da Alfredo Reichlin, prestigioso politico del Partito comunista dei tempi, a presentare il libro, e il mio saggio al suo interno, «Crisi e riforma del capitale», a una platea di gente di sinistra. Quando ci incontrammo si disse sorpreso che un liberista come me si ponesse un problema di tutela del capitalismo di massa, perfino suggerendo soluzioni, che egli riteneva una missione cognitiva e di offerta politica esclusiva della sinistra. E voleva capire cosa stasse succedendo nella destra. Gli risposi che la costruzione del capitalismo di massa, o più accademicamente «capitalismo diffuso socialmente», è il pilastro della democrazia perché induce destra liberale e sinistra socialista a trovare modi per realizzarlo. E se non ci riesce, la democrazia salta a causa dell’aumento degli impoveriti, o senza speranza o comunque con forti motivi rivendicativi perché il consenso si sposta all’estrema sinistra o destra, ambedue con offerte di verticalità inefficiente e inefficace, con incremento dei linguaggi nazionalisti aggressivi per compensare il gap di ricchezza diffusa. Gli mostrai gli scenari fatti dal mio gruppo di ricerca che mostravano come in tutte le democrazie, chi più chi meno, c’era la tendenza a passare da una configurazione di 2/3 di ricchi (capacità di risparmio) e 1/3 di poveri, ma con speranza di diventare ricchi, a 1/3 di molto ricchi e al resto in impoverimento con un aumento dei poverissimi e senza più speranza. Aggiunsi i dati proiettivi della mobilità ascendente (il figlio guadagna più del padre) che stava calando per confermare le tendenze, pur solo agli inizi, nel mondo. Concordò che la sinistra dovesse cambiare, ma disse che anche la destra liberale avrebbe dovuto farlo. Concordammo, pur mantenendo la diversità: io predicai la trasformazione del welfare redistributivo in uno di investimento (meno tasse e più stimoli al privato portando l’assistenza solo a casi di vero bisogno) e lui si disse convinto che il welfare redistributivo poteva essere armonizzato con un’economia della crescita. Bene, competiamo per lo stesso obiettivo, dissi, ma nella diversità concorrenziale condividiamo l’idea che il capitalismo sia buono se è per tutti e cattivo se solo per pochi. Rispose: sì, possiamo competere e dialogare per il medesimo obiettivo. Lettori, questa era una sinistra seria, avversaria, ma competente e convergente con la destra liberale sui requisiti di stabilità e miglioramento della condizione umana. Ora non vedo più una sinistra concorrente per competenza. Ne vedo una isterica, irrealistica e violenta. Ne capisco il nervosismo: cresce nelle democrazie la tendenza dei poveri o di chi è in ansia a farsi rappresentare dalle destre piuttosto che dalle sinistre, caso recente più evidente le elezioni presidenziali in America. La gente impoverita e/o pessimista vuole soluzioni forti. All’interno delle destre io temo il protezionismo o degenerazioni peroniste. Per rafforzare la destra liberale - che per nostra fortuna in Italia è solida - penso ci voglia una sinistra competitiva sul piano del realismo economico. Sentire il leader della Cgil che invoca insurrezioni mi fa venire i brividi. Vedere la leder del Pd inseguire il consenso verso le estreme anche. Osservare i contenuti irrealistici M5s mi riempie di pessimismo. Tutti questi cercano di cavalcare la crisi di ricchezza nel sistema non cercando l’inversione del declino, ma la loro sopravvivenza senza cercare nuovi modelli di governo realistico. In sintesi, promettono più soldi a tutti senza spiegare come si crea la ricchezza poi socialmente diffondibile. Pericolosi? Gli impoveriti potrebbero cadere nella trappola illusoria della sinistra oppure alimentare una destra altrettanto irrazionale. La destra pragmatica ora al governo in Italia è razionale e sta affrontando una missione difficilissima di revisione di un modello impoverente ormai esaurito. Nelle contingenze vi invito a votare destra, ma il cambiamento necessario del sistema nel medio e lungo termine richiede una competizione di qualità per il medesimo obiettivo tra destra e sinistra: la ricchezza di massa e l’ottimismo per raggiungerlo. Gente di sinistra, cambiate i vostri leader cercandone di migliori, salvate la democrazia. www.carlopelanda.com
Donald trump e Viktor Orbán (Ansa)
Il premier ungherese è stato ricevuto a pranzo dall’inquilino della Casa Bianca. In agenda anche petrolio russo e guerra in Ucraina. Mosca contro l’Ue sui visti.
Ieri Viktor Orbán è stato ricevuto alla Casa Bianca da Donald Trump, che ha definito il premier ungherese «un grande leader». Di più: tessendo le sue lodi, il tycoon ci ha tenuto a sottolineare che «sull’immigrazione l’Europa ha fatto errori enormi, mentre Orbán non li ha fatti». Durante la visita, in particolare, è stato firmato un nuovo accordo di cooperazione nucleare tra Stati Uniti e Ungheria, destinato a rafforzare i legami energetici e tecnologici fra i due Paesi. In proposito, il ministro degli Esteri magiaro, Péter Szijjártó, ha sottolineato che la partnership con Washington non preclude il diritto di Budapest a mantenere rapporti con Mosca sul piano energetico. «Considerata la nostra realtà geografica, mantenere la possibilità di acquistare energia dalla Russia senza sanzioni o restrizioni legali è essenziale per la sicurezza energetica dell’Ungheria», ha dichiarato il ministro.
Bivacco di immigrati in Francia. Nel riquadro, Jean Eudes Gannat (Getty Images)
Inquietante caso di censura: prelevato dalla polizia per un video TikTok il figlio di un collaboratore storico di Jean-Marie Le Pen, Gannat. Intanto i media invitano la Sweeney a chiedere perdono per lo spot dei jeans.
Sarà pure che, come sostengono in molti, il wokismo è morto e il politicamente corretto ha subito qualche battuta d’arresto. Ma sembra proprio che la nefasta influenza da essi esercitata per anni sulla cultura occidentale abbia prodotto conseguenze pesanti e durature. Lo testimoniano due recentissimi casi di diversa portata ma di analoga origine. Il primo e più inquietante è quello che coinvolge Jean Eudes Gannat, trentunenne attivista e giornalista destrorso francese, figlio di Pascal Gannat, storico collaboratore di Jean-Marie Le Pen. Giovedì sera, Gannat è stato preso in custodia dalla polizia e trattenuto fino a ieri mattina, il tutto a causa di un video pubblicato su TikTok.
Giancarlo Giorgetti (Ansa)
Il ministro fa cadere l’illusione dei «soldi a pioggia» da Bruxelles: «Questi prestiti non sono gratis». Il Mef avrebbe potuto fare meglio, ma abbiamo voluto legarci a un mostro burocratico che ci ha limitato.
«Questi prestiti non sono gratis, costano in questo momento […] poco sopra il 3%». Finalmente il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti fa luce, seppure parzialmente, sul grande mistero del costo dei prestiti che la Commissione ha erogato alla Repubblica italiana per finanziare il Pnrr. Su un totale inizialmente accordato di 122,6 miliardi, ad oggi abbiamo incassato complessivamente 104,6 miliardi erogati in sette rate a partire dall’aprile 2022. L’ottava rata potrebbe essere incassata entro fine anno, portando così a 118 miliardi il totale del prestito. La parte residua è legata agli obiettivi ed ai traguardi della nona e decima rata e dovrà essere richiesta entro il 31 agosto 2026.
I tagli del governo degli ultimi anni hanno favorito soprattutto le fasce di reddito più basse. Ora viene attuato un riequilibrio.
Man mano che si chiariscono i dettagli della legge di bilancio, emerge che i provvedimenti vanno in direzione di una maggiore attenzione al ceto medio. Ma è una impostazione che si spiega guardandola in prospettiva, in quanto viene dopo due manovre che si erano concentrate sui percettori di redditi più bassi e, quindi, più sfavoriti. Anche le analisi di istituti autorevoli come la Banca d’Italia e l’Ufficio parlamentare di bilancio (Upb) tengono conto dei provvedimenti varati negli anni passati.





