2024-10-17
La morale rovesciata dei progressisti: fare figli va bene solo se l’utero lo affitti
Michela Marzano (Getty Images)
Per criticare le politiche pro natalità, Michela Marzano sostiene che il bebè non si pianifica. Lo dica a chi vuole la gestazione per altri.Michela Marzano è una delle menti più interessanti della sinistra contemporanea, e spesso condivide con i suoi lettori riflessioni stimolanti come quella uscita ieri su Repubblica. Si trattava di una risposta alle affermazioni di Marco Bucci, candidato di centrodestra alla guida della regione Liguria, il quale ha pronunciato parole che hanno suscitato grande scandalo benché estremamente condivisibili e persino banali. Breve riepilogo per chi si fosse perso la polemica. Bucci ha detto che «se non si fanno figli non è solo un problema economico, ma di altro tipo. E io vorrei che tutti noi avessimo fatto figli. Fare figli fa bene alla società». E ancora: «Bisogna che ci sia un welfare che supporti le famiglie. Ma siamo di fronte a un problema sociale, educativo, che va affrontato con l’aiuto di associazioni a livello della cosiddetta società civile». Che cosa ci sia di drammatico in tali uscite non si capisce bene. Bucci ha ribadito una realtà e cioè che i figli non si fanno soltanto per sé stessi ma sono un dono anche per gli altri, pure per chi di figli non ne ha. È vero altresì che il motivo per cui la civiltà europea ha smesso di farli non riguarda soltanto l’aspetto economico della faccenda - che comunque è presente - ma pure la nostra psicologia. Esistono una serie di fattori sociali e culturali che ci dissuadono dalla riproduzione, e andrebbero affrontati con profondità. A confermare che Bucci ha ragione a insistere su questi punti sono proprio le reazioni che egli col suo discorso ha suscitato, quasi tutte scomposte. Sembra quasi che augurare a qualcuno di diventare genitore equivalga a maledirlo, a suscitargli un brutto male. Il figlio è tendenzialmente percepito come una sorta di disgrazia, una responsabilità mostruosa su cui bisogna riflettere e riflettere perché sempre si teme di non poterla sopportare.Ed è qui che entra in gioco Michela Marzano. Su Repubblica, appunto replicando a Bucci, ha scritto che «un figlio non è un oggetto che si fabbrica, né, tantomeno, un appuntamento da mettere in agenda. Ci si può provare, per carità. C’è anche chi ci riesce, certo. Ma con quali risultati a lungo termine? Anche i figli, nei discorsi di alcuni, sembrano dover rientrare all’interno del paradigma del controllo: “voglio, faccio, ottengo”. E se, invece, la genitorialità fosse uno di quegli eventi che sfuggono completamente al controllo? Qualcosa che capita, oppure no, talvolta indipendentemente da ciò che si vuole. Un sogno, che per alcuni non si realizza. Una speranza, che talvolta viene delusa. Oppure anche un incubo, perché non è il momento, non si è pronti, non ce la si fa, non si è in grado». Sono parole che colpiscono, sensibili, e che tradiscono una verità. Un figlio non è un prodotto, non è un giocattolo o un bene di consumo. E di sicuro apparirebbe abbastanza ridicolo e fuori dal tempo chi oggi invitasse a figliare per la patria. Ci sia permessa però una piccola notazione. Le giuste parole che ha scritto, Michela Marzano dovrebbe rivolgerle prima di tutto a coloro che i figli pretendono davvero di fabbricarli, per la precisione le persone che vorrebbero avvalersi della maternità surrogata, e che sono sostenute da una buona fetta della sinistra italiana. Per costoro la fabbricazione a pagamento dei bambini è un diritto dei genitori paganti, che non può e non deve essere messo in discussione, e chi se ne importa delle madri biologiche o del diritto dei piccoli a conoscere e frequentare chi li ha partoriti. Viene dunque il sospetto che tutta questa irritazione riguardo la fabbricazione di bambini a cuore leggero la sinistra la esprima soprattutto per colpire l’avversario politico, mentre si guarda bene dall’esibirla in altre circostanze, per esempio quando si rischia di urtare qualche minoranza. Torniamo però all’articolo della Marzano, che dopo le prime righe apprezzabili contiene una seconda parte avvincente ma contestabile. «Se c’è una cosa che mi infastidisce», scrive la filosofa, «è questa tendenza tutta contemporanea alla banalizzazione e alla semplificazione dei problemi più complessi. Questo modo di parlare dei bambini e dei giovani come se si trattasse di pedine da spostare sulla scacchiera della società, come pezzi di un gioco che, tanto, li esclude poi sistematicamente dalla partita. Si gioca sulla loro sorte, esattamente come si gioca sul destino del nostro Paese. Strumentalizzando al tempo stesso i genitori e i figli. Sembra che fare figli sia come sfornare pagnotte: li si deve fabbricare per far andare avanti la società. Senza mai interrogarsi su come li si cresce, sulle possibilità che si offrono loro, sul futuro incerto che gli si sta lasciando in eredità». La conclusione del ragionamento è decisamente ruvida: «Se vogliamo dirla tutta, ci sono pure persone che, forse, avrebbero dovuto pensarci due volte prima di fare un figlio, e poi disinteressarsene». Ecco affacciarsi sulla schiena una evidente contraddizione. La stessa Marzano dice che i figli sfuggono al controllo, che non li si può in qualche modo programmare o ordinare. Significa, in altri termini, che essi rientrano nel mistero, ovvero quel grande enigma chiamato Altro. Il figlio è l’Altro che viene accolto dalla madre nel suo stesso ventre, è il diverso e il perturbante con cui ci misuriamo ogni giorno in famiglia. È nostro ma non ci appartiene. Dunque per metterlo al mondo serve un potente atto di gratitudine, e di coraggio. Si sceglie il rischio, si accoglie l’imponderabile. Non è allora una forma di controllo, una pretesa assurda quella di stabilire ancora prima che nascano quali standard essi debbano rispettare? Oggi il luogo comune impone che ci si debba pensare bene, prima di fare figli. Il punto è che ci si pensa talmente bene da scegliere, alla fine, di non si farli. Perché mai? Beh perché la nostra società ha paura dell’Altro e di quel che la sfida. Ciascuno vive nella propria bolla, interessato soltanto al proprio benessere. Come si può accogliere l’altro se si è chiusi a doppia mandata dentro di sé? Come si fa a diventare genitori senza la volontà di donare e di sacrificarsi almeno un po’? E, ancora prima, come si fa a donare se si vive solo per sé stessi? Il problema culturale è tutto qui: siamo un popolo di figli che non sanno crescere, temono le difficoltà e la fatica. E dunque simbolicamente non riescono a diventare genitori, poiché preferiscono stare rinchiusi nella loro bolla infantile. Vero: i motivi per cui si hanno figli possono essere molti e non si tratta affatto di gettare la croce addosso a chi di bambini non ne ha, anche perché la faccenda ci riguarda tutti, in un modo o nell’altro. Si tratta al massimo di constatare quale sia l’impianto suicida della nostra civiltà sfiduciata, tremebonda e autoriferita. Una società che fa tutto per calcolo e rifiuta il dono. E infatti muore.
«Haunted Hotel» (Netflix)
Dal creatore di Rick & Morty arriva su Netflix Haunted Hotel, disponibile dal 19 settembre. La serie racconta le vicende della famiglia Freeling tra legami familiari, fantasmi e mostri, unendo commedia e horror in un’animazione pensata per adulti.