2021-06-20
La sinistra dei piagnoni si preoccupa della censura solo se tocca i suoi
Roberto Saviano non andrà al Ravello festival perché Vincenzo De Luca non lo vuole. Il polverone rafforza la sua immagine di «scrittore contro». Ma sono le stesse conventicole che emarginano regolarmente gli autori non allineati.Una volta tanto, viene da dare ragione a Roberto Saviano quando dice che «purtroppo i festival culturali sempre di più sono determinati dalla politica, sono una compagnia di giro, l'amico tuo l'amico mio, gettone qui gettone lì, Italia, cultura, amici amichetti, paranze». Spiace soltanto che il Grande Scrittore Impegnato (Gsi) se ne sia accorto soltanto adesso che la questione lo tocca direttamente. Saviano ha annunciato urbi et orbi che non parteciperà al Festival di Ravello. Il motivo, ha dichiarato in un video, sarebbe l'indebita ingerenza del governatore della Campania, Vincenzo De Luca. La Regione è tra i soci fondatori della storica kermesse culturale, e a quanto pare il governatore non avrebbe gradito la presenza tra gli ospiti di Saviano e di Roberto Speranza. Se ci sia stata una richiesta formale di revoca degli inviti non è dato sapere. Ciò che sappiamo è che Saviano non parteciperà («De Luca blocca la mia presenza al Ravello Festival: nessun problema don Viciè, non ci sarò»), mentre Antonio Scurati, presidente della Fondazione Ravello e compagno di scuderia di Saviano alla Bompiani, si è dimesso per protesta.La vicenda, in effetti, è piuttosto sgradevole. Se si affida a qualcuno l'incarico di dirigere un festival, si dovrebbe anche cercare di lasciarlo libero di chiamare gli ospiti che ritiene più adatti: male che vada, gli si revoca l'incarico successivamente. A far riflettere, tuttavia, è soprattutto l'attesissimo putiferio che questo scontro a sinistra ha sollevato. I maggiori quotidiani, infatti, se ne sono occupati con grande attenzione, e con il proverbiale sdegno. È facile immaginarlo: il polverone andrà a rafforzare l'immagine di «scrittore contro» che Saviano si è costruito negli anni, a dispetto del fatto che pochissimi autori godono della sua visibilità e sono stati così tanto celebrati.Sarebbe davvero interessante, tuttavia, se di libertà di espressione si discutesse, in qualche occasione, anche quando non ci sono di mezzo le stelline dell'intellighenzia progressista, le quali appunto già godono di tutti gli onori. Saviano, dicevamo, ha ragione quando dipinge i festival culturali come conventicole gestite per lo più da «amici degli amici». Il fatto è che, non da oggi bensì da decenni, queste conventicole sono sempre composte da esponenti della sinistra intellettuale. Gli stessi che incensano l'autore di Gomorra, che lisciano Scurati e che popolano le pagine culturali dei giornali su cui questi ultimi firmano i loro editoriali indignati.Queste conventicole, appunto da decenni, emarginano sistematicamente gli autori non allineati. Non soltanto quelli «di destra», pure quelli della sinistra davvero «alternativa». Solo che per questo non si sprecano articoli di giornale, non si producono video arrabbiati sui social e gli alfieri della libertà di marca progressista non proferiscono una parola, anzi di solito sono in prima linea a invocare la censura. O, peggio, sono complici del silenzio che grava sulla cancellazione sistematica dell'avversario.Volete un esempio concreto? Mentre ovunque ci si straccia le vesti per il Ravello Festival, non ci sono Gsi (come sopra, Grandi Scrittori Impegnati) che si mobilitino per ciò che è accaduto con il festival Todi città del libro. Da giorni quotidiani e siti continuano a dipingerlo come la rassegna «dell'estrema destra». Motivo? Tra gli ospiti ci sono alcuni autori non riconducibili all'area progressista (compreso il sottoscritto). Non importa che ci siano grandi nomi come Toni Capuozzo, Stefano Zecchi o Giampiero Mughini, non esattamente dei fascistoni. Non importa che il programma sia estremamente variegato (è stata chiamata un'autrice cattolica e di successo come Costanza Miriano, ma pure un libertario come Massimo Fini). Il parlamentare del Pd, Walter Verini, ha chiesto che le istituzioni umbre ritirassero il patrocinio e ha inveito contro la rassegna «sovranista», invocandone di fatto la chiusura. Contro la manifestazione si sono spesi Nicola Fratoianni, la Cgil, l'Anpi e una trentina di associazioni, che hanno persino organizzato una sorta di miserabile contro evento di protesta.Non è certo la prima volta che accadono cose di questo tipo. A dire il vero succede sempre: quando qualcuno prova a organizzare una rassegna non allineata, magari dedicata alla famiglia o ad altri temi troppo «scorretti», ecco che si scatena la buriana, si invoca la censura, oppure si passa direttamente alle vie di fatto con aggressioni, contromanifestazioni, insulti e minacce. Poco male, chi è abituato a stare dalla parte «sbagliata» non si spaventa. Tuttavia rimane sempre un vago senso di tristezza per la piccineria dell'italico culturame.Qualcuno sostiene che questa cappa di conformismo sia stata prodotta dal cosiddetto «impegno». Walter Siti, ad esempio, da qualche mese va conducendo una meritoria battaglia contro i professionisti dell'indignazione. «La versione oggi prevalente dell'engagement punta su un contenutismo tanto orientato sulla cronaca quanto angusto, con temi che non è difficile elencare: migranti, vari tipi di diversità, malattie rare, orgoglio femminile, olocausto, bambini in guerra, insegnanti eroici, giornalisti o avvocati in lotta col potere, criminalità organizzata, minoranze etniche», scrive Siti su Domani. E ha senz'altro ragione.Il punto, però, non è liberarsi dell'impegno in quanto tale, ma farla finita con questo tipo di impegno. Che non è più semplice militanza politica di sinistra, ma asservimento al discorso dominante, genuflessione al potere che infatti si traduce - per chi la pratica - in prebende, celebrità, inviti, ricchi premi e cotillons. E persino quando, come a Ravello, nella macchina del poteracchio si crea un cortocircuito e i dominanti bisticciano fra loro, il guadagno per gli intellettuali di regime (in termini di pubblicità, se non altro) è comunque assicurato. Non è cosa nuova, è vero. Ma fa schifo lo stesso.