2025-07-15
        La sinistra sui dazi non ha argomenti: per criticare Giorgia si contraddice
    
 
        Giorgia Meloni (Imagoeconomica)
    
L’opposizione non sa da che parte stare: con il Paese o con una Ue che non è in grado di difenderci Il governo prenda atto che ogni Stato del continente ha interessi diversi. E si muova per conto proprio.All’inizio la sinistra ha accusato Giorgia Meloni di essersi appiattita sulle posizioni di Donald Trump, indebolendo la capacità negoziale della Ue sul fronte dei dazi. Elly Schlein avrebbe voluto che il presidente del Consiglio fosse per la linea dura e rispondesse senza esitazioni alle provocazioni del tycoon. Poi, dato che il commissario dell’Unione per i rapporti commerciali non è riuscito a portare a casa nulla, né con le buone né con le cattive, dal Pd imputano al premier di non essersi data da fare per indurre il presidente americano a rivedere la sua posizione nei confronti della Ue. Nei fatti, che le cose vadano bene, cioè si raggiunga un accordo, o che vadano male, per i compagni la Meloni ha sempre fatto la cosa sbagliata. In realtà, la situazione era chiara fin dal principio: Trump vuole riequilibrare la sua bilancia commerciale, svalutando un po’ il dollaro per favorire le esportazioni americane, e per raggiungere l’obiettivo è pronto a tutto. A blandire e minacciare alleati e avversari. Nonostante in molti lo abbiano descritto come un pazzo (ma la maggior parte lo dipinge come uno spaccone ubriaco), in quelli che paiono comportamenti folli c’è una strategia. Può piacere o non piacere il suo modo di fare: a me personalmente non piace, anche perché purtroppo il conto lo paga anche l’economia italiana. Tuttavia, al momento è lui ad avere il coltello dalla parte del manico e le sparate di chi, come Macron, insiste per una reazione muscolare, invitando a rispondere ai dazi con altri dazi, rischiano solo di farci del male.Mi ha colpito nei giorni scorsi l’intervista che Jamie Dimon, forse il banchiere più influente del mondo, ha rilasciato a Isabella Bufacchi del Sole 24 Ore. In pratica, il gran capo di Jp Morgan dice che Trump ha suonato la «wake up call», la sveglia, per l’Europa. Se la Ue non reagisce, non si organizza, non affronta i suoi problemi e non completa il percorso che ha iniziato 75 anni fa, rischia di indebolirsi e di compromettere il proprio futuro. Per Dimon, il presidente americano non dovrebbe essere giudicato per le parole che dice, ma per ciò che fa. Soprattutto, l’amministratore delegato della più grande banca d’affari americana sostiene che «ogni Paese europeo deve essere preparato a fare compromessi per il bene comune», in cui lui vede ovviamente il bene di tutto l’Occidente. Certo, è una visione molto diversa da quella del presidente francese. Ma anche da quella della segretaria del Pd, che oscilla a seconda dei giorni tra la voglia di dichiarare guerra agli Stati Uniti e l’accusa a Meloni di non sostenere con forza la reazione dell’Europa contro gli Usa. La realtà è quella sintetizzata da Franco Bernabè in un’intervista alla Stampa. La Ue ha quasi niente da mettere in campo se il confronto con l’America è basato sulla forza. «Che può fare l’Europa? Fermare le importazioni di Harley Davidson o di burro di arachidi?». Ciò che scrivemmo fin dal 2 aprile, giorno in cui Trump annunciò i dazi, ora è confermato anche da uno dei manager più internazionali di cui disponiamo. Se si vuole andare alla guerra commerciale, «la Ue può alzare immediatamente bandiera bianca e cedere su tutto il fronte. Qualsiasi cosa faccia arrecherà danni anche a sé stessa. Fermiamo le importazioni di gas liquido dagli Stati Uniti dopo aver deciso di bloccare tutte quelle dalla Russia? Se tratti con la pistola scarica, non puoi neanche tentare un bluff…».I fatti sono evidenti: dopo mesi di tentativi di spuntare un accordo con gli Usa, la Ue non sa che cosa fare, perché non soltanto non ha armi per negoziare alla pari con l’America, ma non ha neppure un’unità d’intenti, in quanto gli interessi dei Paesi che ne fanno parte sono divergenti. Occorrerebbe prendere atto che la Germania deve difendere le proprie industrie, la Francia le sue e la Spagna pure, così come l’Italia. L’idea di un fronte comune non funziona, anche perché, se non esiste un fronte unito quando si parla di guerra e di armamenti, è difficile che ne esista uno solo quando si tratta di rapporti commerciali. L’Italia farebbe bene a fare da sola, perché forse ha argomenti per spuntare risultati migliori, ma chi non ha argomenti è la sinistra, che non sa da che parte stare, se con il Paese o con una Ue che non è in grado di difenderci. Come si vede, le contraddizioni e, soprattutto, le posizioni ideologiche alla fine emergono sempre.
        Container in arrivo al Port Jersey Container Terminal di New York (Getty Images)
    
        La maxi operazione nella favela di Rio de Janeiro. Nel riquadro, Gaetano Trivelli (Ansa)
    
        Nicolas Maduro e Hugo Chavez nel 2012. Maduro è stato ministro degli Esteri dal 2006 al 2013 (Ansa)
    
        Un disegno che ricostruisce i 16 mulini in serie del sito industriale di Barbegal, nel Sud della Francia (Getty Images)
    
Situato a circa 8 km a nord di Arelate (odierna Arles), il sito archeologico di Barbegal ha riportato alla luce una fabbrica per la macinazione del grano che, secondo gli studiosi, era in grado di servire una popolazione di circa 25.000 persone. Ma la vera meraviglia è la tecnica applicata allo stabilimento, dove le macine erano mosse da 16 mulini ad acqua in serie. Il sito di Barbegal, costruito si ritiene attorno al 2° secolo dC, si trova ai piedi di una collina rocciosa piuttosto ripida, con un gradiente del 30% circa. Le grandi ruote erano disposte all’esterno degli edifici di fabbrica centrali, 8 per lato. Erano alimentate da due acquedotti che convergevano in un canale la cui portata era regolata da chiuse che permettevano di controllare il flusso idraulico. 
Gli studi sui resti degli edifici, i cui muri perimetrali sono oggi ben visibili, hanno stabilito che l’impianto ha funzionato per almeno un secolo. La datazione è stata resa possibile dall’analisi dei resti delle ruote e dei canali di legno che portavano l’acqua alle pale. Anche questi ultimi erano stati perfettamente studiati, con la possibilità di regolarne l’inclinazione per ottimizzare la forza idraulica sulle ruote. La fabbrica era lunga 61 metri e larga 20, con una scala di passaggio tra un mulino e l’altro che la attraversava nel mezzo. Secondo le ipotesi a cui gli archeologi sono giunti studiando i resti dei mulini, il complesso di Barbegal avrebbe funzionato ciclicamente, con un’interruzione tra la fine dell’estate e l’autunno. Il fatto che questo periodo coincidesse con le partenze delle navi mercantili, ha fatto ritenere possibile che la produzione dei 16 mulini fosse dedicata alle derrate alimentari per i naviganti, che in quel periodo rifornivano le navi con scorte di pane a lunga conservazione per affrontare i lunghi mesi della navigazione commerciale.
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