
Prima sostenitori della protesta, oggi i progressisti condannano il dissenso: chi contesta le imposizioni sanitarie viene silenziato.Nulla di nuovo sotto il sole, però ogni volta sconcertano la velocità e la leggerezza con cui, per amore del potere e per interesse, politici e intellettuali sono pronti a rinnegare il proprio patrimonio culturale. Capita ogni latitudine, certo, ma questa pandemia ha avuto effetti particolarmente drammatici su liberi e progressisti, cioè coloro che dovrebbero costituzionalmente opporsi al controllo statale, alle limitazioni della libertà e alla negazione della ragione. Per anni, infatti, pensatori e attivisti di sinistra hanno teorizzato l’importanza del dubbio, della discussione, perfino della contestazione e della ribellione. E adesso guardali: tutti a sbucciarsi le ginocchia, piegati di fronte al grande occhio della Cattedrale Sanitaria.Emblematica in questo senso (e fin dal titolo «Non siamo più uguali a prima») la rubrica di Michele Serra uscita ieri su Repubblica. Emerso come dissacratore e autore satirico, affermatosi come coscienza educata ma pungente della gauche italiana (oltre che come coltivatore di lavanda), il nostro eroe è finito a tessere le lodi dello Stato forte. Si è messo a celebrare il «ritorno sulla scena dell’autorità pubblica, che stranamente sgomenta i “no vax di sinistra”, paladini improvvisati dell’individualismo in purezza».A ben vedere, questi presunti «no vax di sinistra» hanno tutto il diritto di essere sgomenti. Proprio perché provengono da una tradizione di pensiero che per decenni ha combattuto l’autoritarismo e pure l’autorità, e ora vedono i compagni di un tempo pronti a schiacciare con gioia ogni forma di dissenso. Non c’è bisogno di tirare in ballo gli incendiari del Sessantotto o del Settantasette: basta far riferimento a un autore moderato nei toni e nei modi, uno che in altri tempi sarebbe stato indicato come «liberalsocialista», ovvero il filosofo Salvatore Veca, venuto a mancare lo scorso ottobre.La Fondazione Feltrinelli, di cui Veca è stato presidente fra il 1984 e il 2001, ha appena raccolto in un libretto alcuni suoi interventi, riuniti sotto un titolo interessante: La libertà di porre domande. In un articolo del 2017 dedicato a Giulio Regeni, il filosofo rifletteva sulla libertà di ricerca e rivendicava con decisione la migliore eredità dell’illuminismo, ponendo come valore supremo «la difesa intransigente della libertà di ricerca […]. Quella libertà di ricerca che fa parte del sistema delle libertà fondamentali di cittadinanza in una forma di vita democratica».Veca citava una bella frase di Kant: «Minorità è incapacità di servirsi del proprio intelletto senza la guida d’altri». E invitava a presidiare e tutelare «la libertà di fare “pubblico uso della ragione” in tutti i campi di ricerca e indagine intellettuale su come stanno le cose, su che senso essere abbiano per noi e su come esse dovrebbero stare». Di nuovo Kant: «Il pubblico uso della ragione deve essere libero in ogni tempo, ed esso solo può attuare l’Illuminismo fra gli esseri umani». Da grande interprete del pensiero di John Rawls quale era, Veca insisteva particolarmente sull’idea di «ragione pubblica», che sarebbe «tutto ciò che odiano e temono il Faraone in Egitto e i suoi sgherri». Eppure, pensate un po’, adesso il Faraone esercita con determinazione il suo potere politico e religioso, e gli «illuministi» di sinistra si sono arruolati tra gli sgherri.Ciò che più manca, oggi, è appunto «la libertà di porre domande». Il dubbio è combattuto e demonizzato, la ragione è bandita, specie quella «pubblica». Se un cronista, un filosofo o persino un politico si permettono di far notare un problema, una contraddizione, una falla, ecco che dall’alto cala l’accusa infamante: «No vax!». In questo clima di terrore, in assenza totale di dibattito, il popolo viene ridotto a folla. Esso è guidato e stimolato – come scriveva Gustave Le Bon – dall’inconscio e dall’emotività: «I suoi atti nascono dall’influenza del midollo spinale più che dall’influenza del cervello». Di volta in volta i governanti suscitano terrore oppure odio, e la folla risponde, per lo più con odio. È diventato difficile confrontarsi non soltanto sui giornali o in televisione, ma pure in famiglia, con gli amici o i conoscenti. Solo la certezza granitica è ammessa, solo la verità di fede. Se il culto de La Scienza diviene una folle e perversa caricatura della religione, è inevitabile che emerga anche una figura satanica, cioè quella che instilla il dubbio, l’incertezza. Si giunge così alla mostrificazione del dissenso, alla dannazione della critica. Abolito il dialogo, rimane giusto la contestazione più belluina, l’unica a cui è accordato un minimo di spazio con l’unico fine di screditare le (ottime) ragioni della sfiducia nel sistema politico-sanitario. La Cattedrale Sanitaria non vuole sentire le ragioni dell’altro, vuole provocarne la reazione stizzita, metterlo in difficoltà, coglierlo in fallo per poi poterlo scomunicare.Il quadro è oggettivamente sconfortante, e costellato qua e là di episodi grotteschi, tipo quello che ieri ha avuto per protagonista Fabrizio Pregliasco, vescovo-conte del feticismo medicalizzante. Raccontano le agenzie di stampa che egli si sia presentato all’Arco della Pace, a Milano, per assistere a una manifestazione contro il green pass. «Ho voluto conoscere dal vivo e sentire quelle che possono essere le negatività e i motivi che ho visto spesso legati ai dubbi sulla comunicazione sui vaccini», ha dichiarato Pregliasco ai cronisti. Tempismo meraviglioso. Negli studi televisivi, quando qualcuno si permette di indicargli una stortura nella gestione dell’emergenza, il vescovo grida e inveisce, ride sguaiatamente o s’infuria, evitando puntualmente di rispondere nel merito. Eppure all’improvviso, in un freddo sabato d’inverno, gli è venuto l’uzzolo di ascoltare i dubbi dei dissenzienti. E dove, poi? Durante una manifestazione di piazza, e nemmeno la prima ma l’ennesima, frutto di una ormai straziante esasperazione del conflitto. Che ne ha ricavato, il nostro? Qualche urlo. Pare che qualcuno gli abbia sbraitato: «Pentiti dei tuoi peccati e delle menzogne che hai raccontato» (se non altro è stato rispettato il tema religioso). Pregliasco ha fatto sapere di esserci rimasto male: «Mi spiace», ha detto all’Ansa, «credo che ci sia la libertà di esserci, di capire, di ascoltare e di confrontarsi». Beh, la libertà di essere in piazza, a dire il vero, a molti cittadini è stata negata dal governo. Quanto alla necessità di capire, forse sarebbe stato meglio preoccuparsene diversi mesi fa.No, la verità è che la Cattedrale non vuole capire, ma esasperare e condannare. La luce dell’illuminismo, alla fine, è quella della torcia che accende il rogo.
Scontri fra pro-Pal e Polizia a Torino. Nel riquadro, Walter Mazzetti (Ansa)
La tenuità del reato vale anche se la vittima è un uomo in divisa. La Corte sconfessa il principio della sua ex presidente Cartabia.
Ennesima umiliazione per le forze dell’ordine. Sarà contenta l’eurodeputata Ilaria Salis, la quale non perde mai occasione per difendere i violenti e condannare gli agenti. La mano dello Stato contro chi aggredisce poliziotti o carabinieri non è mai stata pesante, ma da oggi potrebbe diventare una piuma. A dare il colpo di grazia ai servitori dello Stato che ogni giorno vengono aggrediti da delinquenti o facinorosi è una sentenza fresca di stampa, destinata a far discutere.
Mohamed Shahin (Ansa). Nel riquadro, il vescovo di Pinerolo Derio Olivero (Imagoeconomica)
Per il Viminale, Mohamed Shahin è una persona radicalizzata che rappresenta una minaccia per lo Stato. Sulle stragi di Hamas disse: «Non è violenza». Monsignor Olivero lo difende: «Ha solo espresso un’opinione».
Per il Viminale è un pericoloso estremista. Per la sinistra e la Chiesa un simbolo da difendere. Dalla Cgil al Pd, da Avs al Movimento 5 stelle, dal vescovo di Pinerolo ai rappresentanti della Chiesa valdese, un’alleanza trasversale e influente è scesa in campo a sostegno di un imam che è in attesa di essere espulso per «ragioni di sicurezza dello Stato e prevenzione del terrorismo». Un personaggio a cui, già l’8 novembre 2023, le autorità negarono la cittadinanza italiana per «ragioni di sicurezza dello Stato». Addirittura un nutrito gruppo di antagonisti, anche in suo nome, ha dato l’assalto alla redazione della Stampa. Una saldatura tra mondi diversi che non promette niente di buono.
Nei riquadri, Letizia Martina prima e dopo il vaccino (IStock)
Letizia Martini, oggi ventiduenne, ha già sintomi in seguito alla prima dose, ma per fiducia nel sistema li sottovaluta. Con la seconda, la situazione precipita: a causa di una malattia neurologica certificata ora non cammina più.
«Io avevo 18 anni e stavo bene. Vivevo una vita normale. Mi allenavo. Ero in forma. Mi sono vaccinata ad agosto del 2021 e dieci giorni dopo la seconda dose ho iniziato a stare malissimo e da quel momento in poi sono peggiorata sempre di più. Adesso praticamente non riesco a fare più niente, riesco a stare in piedi a malapena qualche minuto e a fare qualche passo in casa, ma poi ho bisogno della sedia a rotelle, perché se mi sforzo mi vengono dolori lancinanti. Non riesco neppure ad asciugarmi i capelli perché le braccia non mi reggono…». Letizia Martini, di Rimini, oggi ha 22 anni e la vita rovinata a causa degli effetti collaterali neurologici del vaccino Pfizer. Già subito dopo la prima dose aveva avvertito i primi sintomi della malattia, che poi si è manifestata con violenza dopo la seconda puntura, tant’è che adesso Letizia è stata riconosciuta invalida all’80%.
Maria Rita Parsi critica la gestione del caso “famiglia nel bosco”: nessun pericolo reale per i bambini, scelta brusca e dannosa, sistema dei minori da ripensare profondamente.






