2022-07-26
Sindaci e governatori dem mollano i cittadini
Abbandonato il campo largo, Enrico Letta cerca di racimolare voti mettendo in lista gli amministratori locali: pronti ad accettare Nicola Zingaretti, Dario Nardella e Giorgio Gori. Ma tanti nicchiano: per candidarsi al Parlamento devono lasciare preventivamente la poltrona.Per le elezioni del 25 settembre, pur se inseguito dai mille allegri sfottò che fioriscono sui social network, Enrico Letta continua insistentemente a ripetere che i candidati del Partito democratico devono avere «gli occhi di tigre». Più che gli occhi, in realtà, almeno a leggere i piani strategici che cominciano a emergere dal Nazareno, la principale caratteristica fisica delle donne e degli uomini che il Pd vorrebbe mettere in lista sono… le quattro chiappe. Nel senso che il segretario del Pd punta a candidare una nutrita schiera di sindaci e presidenti di Regione. Tutta gente, insomma, che oggi ha già il sedere serenamente appoggiato su un’altra poltrona politica.In due videochiamate collettive, prima con i presidenti di Regione e poi con i sindaci che hanno il mandato in scadenza da qui al 2024, Letta ha chiesto a tutti i principali amministratori locali del Pd la disponibilità a fare parte in prima persona - e in prima linea - delle liste che il partito ha deciso di intitolare «Democratici e progressisti». All’idea va riconosciuto un qualche senso logico e strategico. Dopo l’improvvisa crisi della maggioranza che sorreggeva Mario Draghi, infatti, lo scorso 20 luglio il Pd è stato costretto a rinnegare da un giorno all’altro l’abbraccio con il Movimento 5 stelle, cui rimprovera di aver spinto irresponsabilmente verso la caduta. Letta ha dovuto chiudere in fretta il «campo largo» che dal 2020 lo teneva indissolubilmente legato a Giuseppe Conte: così facendo, però, ha spinto l’avvocato del popolo a fargli concorrenza diretta, e a lanciarsi in una campagna incentrata sui temi più tipici della sinistra. All’isolamento e alla competizione con gli ex alleati grillini, oggi, il povero Letta tenta di rimediare con tutte le armi di cui dispone, e i suoi amministratori locali sono, ovviamente, la sua migliore riserva di consenso sul territorio e il più forte legame con quella che a sinistra viene definita «la società civile». Dicono che finora il segretario avrebbe incassato il sì convinto del governatore del Lazio, Nicola Zingaretti, la cui carica scadrà presto, nel marzo 2023, più la disponibilità meno entusiastica di alcuni sindaci al secondo mandato, e quindi in scadenza nel 2024: da Dario Nardella a Firenze, a Luca Vecchi a Reggio Emilia, da Giorgio Gori a Bergamo, a Matteo Biffoni a Prato. La grande operazione del «Partito degli amministratori locali», però, ha qualche grave difetto. Che pare sia già stato evidenziato anche da alcuni dei governatori dem eletti o rieletti nel 2020, come il toscano Eugenio Giani o il pugliese Michele Emiliano, tra i meno disponibili a scendere in campo per il voto del 25 settembre, visto che il loro incarico è più a lunga gittata. Perché è vero che in questo brusco avvio di campagna elettorale Letta ha scelto come mantra lessicale i termini «linearità e serietà», ma anche nel partito c’è chi si domanda se sia del tutto «serio» e se sia proprio «lineare» giocare la carta di sindaci e governatori comunque in carica, sottraendoli all’impegno che hanno assunto con i loro elettori e con le città che amministrano. L’idea del segretario, poi, mal si concilia anche con le norme elettorali in vigore. Perché un sindaco possa candidarsi al Parlamento, infatti, in generale servono le sue dimissioni almeno un mese prima del voto. Ma nel caso di elezioni anticipate - come quelle in gioco - la legge 361 del 1957, cioè la norma che da 65 anni regola i criteri dell’elezione alla Camera dei deputati, stabilisce che il sindaco che vuole candidarsi dia le dimissioni «entro i sette giorni successivi alla data di pubblicazione del decreto di scioglimento delle Camere», che Sergio Mattarella ha firmato lo scorso 21 luglio. Certo, è vero che questa causa d’ineleggibilità è sempre stata bellamente ignorata, almeno negli ultimi vent’anni, e che la Giunta per le elezioni della Camera ha sempre chiuso tutti e due gli occhi. Ma il sedicente «Partito della serietà e della legalità», per giocare fino in fondo la sua parte in scena, dovrebbe almeno fare finta di rispettare le leggi. Sulla strada del Partito dei sindaci che Letta vagheggia c’è infine un altro ostacolo, decisamente ancora più concreto. Anche ignorando la rigida tempistica stabilita dalle norme, infatti, per candidarsi alla politiche i primi cittadini del Pd dovrebbero comunque lasciare la loro poltrona, che oggi è certa, e assumersi il rischio di non essere eletti il 25 settembre. Per i Comuni oltre i 20.000 abitanti, infatti, la legge stabilisce che l’accettazione da parte del sindaco di una candidatura alla Camera o al Senato comporta comunque la decadenza dalla carica, e anche lo scioglimento del Comune. I primi cittadini del Pd, insomma, dovrebbero fare il classico salto nel buio. Ora, è vero che nelle tenebre gli occhi di tigre, proprio come quelli dei gatti, ci vedono perfettamente. Ma questo è il vero ostacolo che rischia di sabotare in partenza i progetti del segretario sui sindaci del Pd: la loro paura di perdere la fascia tricolore, e di restare a chiappe scoperte.