2024-10-10
Tutti scannerizzati negli stadi? Perde il tifo
il ministro dello Sport Andrea Abodi (Ansa)
Il ministro dello Sport, Abodi, pensa al riconoscimento facciale per eliminare le infiltrazioni mafiose. Ma sarebbe meglio restituire questo compito alla polizia. Oggi chi assiste a una partita è già totalmente schedato. Non serve cedere (e a chi?) altri dati sensibili.L’ultimo passo prima di chiudere gli stadi e passare definitivamente al calcio virtuale è introdurre il riconoscimento facciale dei tifosi. Una misura di stampo cinese e che piace al sindaco di Milano Beppe Sala, che l’ha introdotta a Linate. Invece il ministro dello Sport, Andrea Abodi, ieri ha ammesso che pensa a qualcosa di più drastico. Vuole risolvere il problema dell’illegalità e della violenza negli stadi non smettendo di appaltare, di fatto, la sicurezza alla mafia (in cambio del libero spaccio di droga) e restituendo alla polizia il proprio ruolo, ma introducendo il controllo biometrico dei tifosi ai tornelli. Una scorciatoia securitaria dagli esiti totalmente incerti e che però produrrebbe un’impressionante mole di dati personali dall’uso potenzialmente pericoloso.Abodi, uomo mite e che di professione fa l’avvocato, conosce sicuramente l’importanza delle guarentigie, ma ieri si è purtroppo accodato ai tanti, troppi, politici che traggono idee legislative e di governo dalla cronaca nera del giorno. A margine di un’iniziativa di Sky, ha affermato: «Quello che è emerso dalla cronaca dei giorni scorsi ci ha posto di fronte la responsabilità ad impegnarci in modo più efficace contro la violenza nel calcio». Per poi aggiungere, giustamente, che «non servono altre norme». Solo che anziché impegnarsi con il collega Matteo Piantedosi a riprendere il pieno controllo delle curve, Abodi ha sostenuto che dopo la retata della scorsa settimana, «serve l’applicazione dei regolamenti che ci sono come la tracciabilità del Daspo e il riconoscimento facciale in tutti gli stadi». La buona fede del ministro è assoluta, perché ha concluso il suo intervento con queste parole: «Lo dobbiamo ai nostri figli e nipoti che vogliono andare allo stadio».Il problema è che già oggi i controlli allo stadio sono asfissianti. Nessuno può più vedere una partita di calcio dal vivo se non dà le proprie generalità e addirittura il codice fiscale. Andare allo stadio, ormai, è come prendere un aereo. Una volta seduto sul proprio seggiolino nominativo, il tifoso è ripreso incessantemente dalle telecamere dello stadio e, se viola la legge, viene immediatamente pizzicato. Se invece la fa franca, c’è la possibilità di arrestarlo anche in seguito grazie all’ossimoro della «flagranza differita». Sperimentata allo stadio con successo sugli ultras, questa forma di arresto a babbo morto si sta pian piano estendendo anche ad ambiti di protesta politica o di reati che man mano creano allarme sociale. Poi, se si ha la pessima idea di andare a seguire una partita in trasferta, bisogna aspettare fino all’ultimo che il Viminale decida se il match è a rischio. In tal caso, onestamente, una persona normale e una famigliola preferiscono restare a casa. A completare lo slalom del povero calciomane c’è il calendario, disegnato sulla base delle esigenze televisive e spalmato su giorni e in orari sempre più assurdi. Insomma, da anni sembra che società, tv e governi siano di fatto alleati per disincentivare la presenza della gente allo stadio.I controlli biometrici che vorrebbe Abodi andrebbero ad aumentare il flusso di anomalie caotiche che sta uccidendo il calcio, togliendogli la poca anima rimasta. Sarebbe invece molto più logico che ognuno facesse il suo mestiere. L’inchiesta milanese sulle curve di Milan e Inter ha dimostrato che la pace che regnava da anni nei derby era una pax mafiosa. La vera domanda che dovrebbero porsi i signori del pallone, leggendo le carte dell’inchiesta che la Verità ha pubblicato nei giorni scorsi, è un’altra: che cosa hanno avuto i capi clan e i leader degli ultras in cambio del loro impegno a garantire che nessuno si facesse male? Solo biglietti gratis o anche mano libera sulla commissione di reati come lo spaccio di droga, le estorsioni, le intimidazioni? Ma la sortita del ministro dello Sport sui controlli facciali allo stadio è perdente anche dal punto di vista politico, perché la filosofia del controllo pervasivo e della schedatura di massa non appartiene alla cultura del centrodestra italiano, che è liberale da un lato e attento alla sicurezza dei cittadini dall’altro. Nel senso che la sicurezza non va appaltata agli steward o ai privati, ma va affidata alle forze di polizia per le quali tutti pagano le tasse. Infine, c’è pure questo piccolo problema: chi farà i controlli biometrici ai tornelli e chi gestirà i dati? La polizia o i privati? Dal Covid in poi, tutto il mondo ha potuto assistere alla stretta del governo di Pechino sui suoi cittadini, sottoposti a crescenti controlli biometrici con qualunque scusa. La Cina ha tutte le tecnologie necessarie e magari ce le venderà anche. Poi c’è il caso di Sala, sindaco del Pd, che ha introdotto questi controlli a Linate con la scusa che «i milanesi hanno sempre fretta». E ci sono paesi come l’Australia, o ancora il Comune di Milano, che studiano controlli biometrici per tutti i guidatori. I motivi sbandierati sono sempre nobili, dal salvare la vita ai ciclisti a proteggere i bambini allo stadio. Mica ti dicono che faranno cassa con più multe. Quand’anche fossero sinceri, partono tutti dall’idea, tipicamente di sinistra, che la vita sia più importante della libertà.
La Global Sumud Flotilla. Nel riquadro, la giornalista Francesca Del Vecchio (Ansa)
Vladimir Putin e Donald Trump (Ansa)