2020-09-21
Siamo tutti spiati
I giganti della Rete controllano ogni nostro clic e così guadagnano montagne di soldi. Gusti e preferenze sono merci sempre più preziose.Lo Stato rastrella dati personali di qualsiasi tipo sulle abitudini di consumo: l'ultima intrusione nel portafogli sarà per rimborsare le spese effettuate con carta di credito. Ma come saranno usate le informazioni? Mistero.Lo speciale contiene due articoli.Siamo tutti spiati. Ogni nostro movimento è tracciato; anche i desideri, prima che si trasformino in decisioni, sono profilati. Ci spostiamo, andiamo al ristorante, cerchiamo un abito o un elettrodomestico, sogniamo una vacanza, tutta la nostra vita è intercettata da un algoritmo che prende le misure delle nostre azioni, perfino dei nostri pensieri, li cataloga e li conserva in un enorme database, pronti per essere venduti alle aziende per la pubblicità. È una mole imponente di dati che noi offriamo su un piatto d'argento, in modo del tutto gratuito alle multinazionali del Web. Facebook, Apple News, Amazon, Twitter, Google Maps, Alibaba, TikTok, ci illudono che mettono a disposizione servizi gratuiti ma in cambio noi diamo una merce rara e preziosa, il nostro profilo che si traduce in pubblicità. Basta un solo clic per intercettarci e mettere in moto la macchina che carpisce le informazioni personali. Di noi sanno tutto, le nostre abitudini, le nostre preferenze, il tragitto casa lavoro e perfino le relazioni sentimentali.È un tesoro per aziende e gruppi di potere che se ne servono per condizionare bisogni, acquisti e comportamenti sociali. Tant'è che le figure più gettonate del web sono gli influencer, coloro che condizionano le nostre scelte, i nostri acquisti. Sono gli intellettuali del nuovo mondo digitale ma più potenti e scaltri, e soprattutto inseguiti e accettati come oracoli. Paradossalmente migliaia di persone si affidano ciecamente a loro, lasciandosi guidare e aprendo loro gli angoli più segreti della propria vita.Tutto questo patrimonio di informazioni, gli utenti di internet lo mettono a disposizione in modo gratuito nonostante valga una montagna di soldi, tanti soldi. Sono passati anni dall'introduzione del Gdpr (Regolamento generale sulla protezione dei dati), la normativa europea sulla privacy che aveva l'obiettivo di dare ai cittadini maggiori diritti e la possibilità di riprendere il controllo dei propri dati personali; ma finora gli effetti si sono fatti sentire poco. Il Web continua a essere una giungla.Secondo le ultime rilevazioni del Politecnico di Milano, il mercato della pubblicità online in Italia ha raggiunto nel 2019 investimenti per 3,3 miliardi di euro pari al 40% della raccolta complessiva, con un tasso di crescita del 9%. Nel 2018 era il 37%. La tv ha il 44% ma è un primato in discesa (nel 2018 era il 46%). Il 63% del mercato su Internet è assorbito da forme classiche di advertising come i banner e gli spazi dentro i social network. Quindi, ogni volta che navighiamo sul Web, cerchiamo un prodotto, scarichiamo una foto, prenotiamo un viaggio o semplicemente scambiamo foto, diamo informazioni in modo gratuito che valgono 400 miliardi come indica il Report Digital 2020. Questa montagna di soldi è concentrata nelle mani di pochi grandi player - Google, Facebook e Amazon - che si mangiano una quota del 76% del settore (quattro anni fa erano al 65%). E questi colossi possono contare su enormi risorse finanziarie accumulate grazie a un versamento fiscale irrisorio. Siccome gli utenti del Web mostrano una spiccata predilezione per video e audio, si stanno moltiplicando le offerte di advertising su questi canali. C'è chi, come Spotify, fornisce abbonamenti gratuiti a chi accetta interruzioni pubblicitarie. Ma è come se quegli annunci noi li pagassimo il doppio o il triplo, perché contemporaneamente forniamo informazioni gratuite sui nostri gusti.Nel 2019 gli investimenti nel digital audio sono stati 471 milioni di euro e si stima che nel 2023 raggiungeranno 1,5 miliardi. Negli Stati Uniti, un mercato più avanzato rispetto al nostro, il valore della pubblicità online ha superato i 100 miliardi di dollari, con un tasso di crescita del 22% sull'anno precedente, secondo il Mary Meeker Report 2019. Nel 2018 ogni 100 dollari spesi in advertising, 51 sono stati investiti online e 49 sui media tradizionali (tv, stampa e radio).Secondo le stime dell'Agcom, nel 2019 Google ha guadagnato 37 euro da ogni utente per quanto riguarda la pubblicità online. Facebook e Instagram hanno avuto ricavi medi per utente pari - rispettivamente - a 21 e a 11 euro. Al quarto posto c'è Youtube, piattaforma sempre più tappezzata di interruzioni, pop-up e link pubblicitari, che ha fruttato 10 euro a utente. Quindi Google, Facebook, Instagram e YouTube hanno guadagnato lo scorso anno circa 80 euro a utente per la pubblicità sul Web. Considerando che gli utenti di internet sono 4,5miliardi, come indica uno degli studi più completi sull'uso del Web, il Digital 2020, i big dell'online guadagnano in ricavi pubblicitari, con i dati degli utenti, circa 400 miliardi di euro. Una bella cifra grazie ai servizi «gratuiti» che concedono. In Italia sono quasi 50 milioni le persone online ogni giorno e 35 milioni quelle attive sui canali social.I social, avendo i dati che i propri utenti rilasciano iscrivendosi e utilizzando la piattaforma, possono vendere spazi pubblicitari alle aziende che in questo modo sono sicure di comunicare solo al pubblico a cui sono interessate e quindi di fare campagne pubblicitarie mirate. Il costo delle inserzioni è in base al numero delle visualizzazioni. Mentre ci scambiamo l'amicizia e le foto dei viaggi o degli animali domestici, Facebook guadagna miliardi. La punta più avanzata del meccanismo di raccolta di informazioni personali è rappresentata da TikTok, il social network cinese. Come spiegato dagli stessi manager, l'algoritmo di TikTok cerca subito di capire cosa piace e cosa colpisce un nuovo utente. Chi apre per la prima volta l'applicazione si trova davanti 8 video tra i più popolari e di tipologie differenti. Sulla base della reazione dell'utente, l'algoritmo continuerà a proporre contenuti in linea con i suoi gusti. Gli utenti sono poi inseriti in cluster di interesse, simile a quello che fa Netflix. Ciascuno viene collocato all'interno di un gruppo di persone che guarda e interagisce con video di un certo tipo. A costoro saranno proposti video simili. Questo meccanismo rafforza le preferenze e non espone mai gli utenti a qualcosa di inatteso. Nessuno ha la curiosità di guardare altro. Tik Tok raccoglie tutti i segnali che vengono dai comportamenti degli utenti come spettatori ma anche come produttori di contenuti. L'intelligenza artificiale del social network legge e categorizza tutto ciò che fa parte del comportamento delle persone. Pertanto, non c'è bisogno di dire ciò che si desidera vedere o fare l'elenco di gusti e interessi, perché l'algoritmo lo desume da tanti segnali che vengono lasciati, come scie, sul Web.Contro Tik Tok il presidente americano Donald Trump ha sferrato un attacco senza precedenti, per il pericolo di spionaggio che rappresenta. Da ieri ha predisposto il blocco dell'app e di un'altra, sempre cinese, WeChat, che sono state rimosse dagli store americani. La decisione è stata presa «per salvaguardare la sicurezza nazionale degli Stati Uniti», ha precisato il Dipartimento del commercio statunitense. Per avere un'idea di quanto valgono i nostri clic su internet, secondo la Instagram Rich List 2018, un solo post della prima influencer del mondo, Kylie Jenner, vale 1 milione di dollari. Per Chiara Ferragni, che si colloca al ventinovesimo posto, ogni fotografia vale quasi 20 mila dollari. Più noi clicchiamo, più informazioni cediamo gratuitamente e più loro guadagnano. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/siamo-tutti-spiati-2647724153.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="dallo-spesometro-al-nuovo-cashback-il-fisco-e-sempre-piu-grande-fratello" data-post-id="2647724153" data-published-at="1600631572" data-use-pagination="False"> Dallo spesometro al nuovo cashback. Il fisco è sempre più Grande Fratello