
Nicola Zingaretti promette: «Arriverà non un nuovo partito, ma un partito nuovo». Luigi Di Maio si accoda e annuncia «un comitato». Sono le ultime cartucce di politici senza idee.Aiuto, c'è un'invasione in corso. Sulla scena politica italiana, da qualche giorno a questa parte, stanno sbarcando indefinibili soggetti alieni. «Cose», le chiamano, come la Cosa dallo spazio profondo, solo che queste giungono sulla Terra dal vuoto pneumatico. Mattia Santori, settimane fa, ha dichiarato con la consueta modestia che le sardine sono gli «anticorpi» della politica. E invece, guarda un po', adesso arrivano gli ultracorpi. Attenti: in parte questi bizzarri organismi sono già in mezzo a noi, e ci hanno dato prova di essere ostili. Per prima si è manifestata la Cosa piddina. Essendo Lourdes troppo affollata, il Partito democratico giorni fa si è riunito nella gelida abbazia di Consigliano, e il segretario Nicola Zingaretti ha annunciato: dopo le elezioni in Emilia Romagna «cambio tutto, sciolgo il Pd e lancio il nuovo partito».Poi ha precisato: «Convoco il congresso, con una proposta politica e organizzativa di radicale innovazione e apertura. Non penso a un nuovo partito, ma a un partito nuovo, un partito che fa contare le persone ed è organizzato in ogni angolo del Paese». Una nuova Cosa, dunque. Aperta a tutti: vecchi catenacci e nuovi arrivisti. Il terreno politico? Sarà delimitato da cinque pilastri: «Rivoluzione verde per tornare a crescere, Italia semplice per sburocratizzare a favore di imprese e cittadini, Equity act per parità salariale uomo-donna ed equilibrio Nord-Sud, aumento della spesa per l'educazione, piano per la salute e l'assistenza». Già gli elettori si stanno strappando le mutande. Se quello fa la Cosa, deve aver pensato Luigi Di Maio, allora la voglio fare anche io. Ed ecco che ieri Repubblica ha annunciato la nascita della «Cosa» pentastellata. L'articolo che annunciava il grande evento era firmato «hlgnflnkhdf». Proprio così, testuale. Visto? Un nome chiaramente alieno. Si stanno già sottomettendo ai nuovi padroni da un altra galassia. Nel pezzo si spiegava che la Cosa grillina nascerà da un'evoluzione, una nuova visione: si vede che, superate le 5 stelle, si può intravvedere il pianeta da cui originano gli esseri in procinto di approdare sul nostro mondo. La Cosa si concretizzerà a marzo. Prima si formerà un collegio che, dice Repubblica, «coinvolgerà la maggior parte dei colonnelli a 5 stelle e tutte le anime della galassia grillina». Ci risiamo con la galassia. Finirà che avremo Jabba al posto di Dibba e Spock a sostituire Danilo Toninelli: sarebbe comunque un guadagno. Di Maio spiega che non lascerà il posto da ministro degli Esteri né il ruolo di capo politico. Ha già parlato con Beppe Grillo e Davide Casaleggio, sono tutti d'accordo. Si ripartirà con la guida di un «comitato», tipo quello dei Fatti vostri di Giancarlo Magalli. Resterà in piedi l'alleanza con il Pd che, dice Di Maio, «è meglio di quel che pensassi», del resto fra Cose ci si intende. Verranno partorite nuove parole d'ordine, nuovi temi saranno squadernati. E indovinate quali saranno... Ecologia, sostenibilità socio economica, rinnovato europeismo. Come il Pd insomma. L'ecologismo, in fondo, è la malattia senile del progressismo. Quando non si hanno più idee, ci si aggrappa all'ambiente, all'Europa, a parole generiche ormai svuotate di significato. Perché, al netto dell'ironia, il dramma della sinistra italiana è proprio questo: non ha radici, sta avvizzendo, e allora ha sempre bisogno di qualche fertilizzante chimico da bere a garganella. Nella foga di farla finita con le ideologie, di andare oltre gli steccati, Pd e 5 stelle hanno perso l'anima. E non è che altri siano messi meglio... Le sardine hanno dovuto portare avanti per mesi la farsa dell'apoliticità, e ancora adesso si raggrumano soltanto attorno all'odio per i sovranisti. Come blob mollicci si rassodano in presenza di un avversario solido. Non parliamo poi di Italia viva, dell'oggetto di Carlo Calenda o di altri fantomatici partiti novelli. Alla mancanza di identità e di tradizione si aggiunge il fatto che tutti costoro sono costretti a stare assieme dalla paura delle elezioni. Divisi su tutto, non possono che condensarsi su temi vaghi, fumosi: scoregge spaziali, per citare Umberto Bossi. A destra resistono e crescono i partiti che affondano i piedi in una cultura antica, in valori certi e chiari. Dall'altra parte proliferano le Cose, i Fratelli di Marte. Hanno sepolto Karl Marx e il pantheon di un tempo, e adesso si trovano loro malgrado ad avere come riferimento l'orrore cosmico di H. P. Lovecraft. I 5 stelle, poi, sono nati già solubili, e svanita la foga anti poteri forti, tocca accontentarsi delle trovare fantascientifiche: «E.T. telefono Casta...». Oh, certo, tutti millantano aperture agli elettori, spiegano che sarà la società civile a guidare ogni processo. Sintomatico: i leader chiedono alla folla dove dirigersi, perché incapaci di scegliere una direzione. I capi delle Cose da mesi rimandano, temporeggiano, si muovono a tentoni. Ma il popolo sa bene che, nelle guerre stellari, vale solo una regola, quella di Yoda: «Fare o non fare. Non c'è provare».
Elly Schlein (Ansa)
Corteo a Messina per dire no all’opera. Salvini: «Nessuna nuova gara. Si parte nel 2026».
I cantieri per il Ponte sullo Stretto «saranno aperti nel 2026». Il vicepremier e ministro dei Trasporti, Matteo Salvini, snocciola dati certi e sgombera il campo da illazioni e dubbi proprio nel giorno in cui migliaia di persone (gli organizzatori parlano di 15.000) sono scese in piazza a Messina per dire no al Ponte sullo Stretto. Il «no» vede schierati Pd e Cgil in corteo per opporsi a un’opera che offre «comunque oltre 37.000 posti di lavoro». Nonostante lo stop arrivato dalla Corte dei Conti al progetto, Salvini ha illustrato i prossimi step e ha rassicurato gli italiani: «Non è vero che bisognerà rifare una gara. La gara c’è stata. Ovviamente i costi del 2025 dei materiali, dell’acciaio, del cemento, dell’energia, non sono i costi di dieci anni fa. Questo non perché è cambiato il progetto, ma perché è cambiato il mondo».
Luigi Lovaglio (Ansa)
A Milano si indaga su concerto e ostacolo alla vigilanza nella scalata a Mediobanca. Gli interessati smentiscono. Lovaglio intercettato critica l’ad di Generali Donnet.
La scalata di Mps su Mediobanca continua a produrre scosse giudiziarie. La Procura di Milano indaga sull’Ops. I pm ipotizzano manipolazione del mercato e ostacolo alla vigilanza, ritenendo possibile un coordinamento occulto tra alcuni nuovi soci di Mps e il vertice allora guidato dall’ad Luigi Lovaglio. Gli indagati sono l’imprenditore Francesco Gaetano Caltagirone; Francesco Milleri, presidente della holding Delfin; Romolo Bardin, ad di Delfin; Enrico Cavatorta, dirigente della stessa holding; e lo stesso Lovaglio.
Leone XIV (Ansa)
- La missione di Prevost in Turchia aiuta ad abbattere il «muro» del Mediterraneo tra cristianità e Islam. Considerando anche l’estensione degli Accordi di Abramo, c’è fiducia per una florida regione multireligiosa.
- Leone XIV visita il tempio musulmano di Istanbul ma si limita a togliere le scarpe. Oggi la partenza per il Libano con il rebus Airbus: pure il suo velivolo va aggiornato.
Lo speciale contiene due articoli.
Pier Carlo Padoan (Ansa)
Schlein chiede al governo di riferire sull’inchiesta. Ma sono i democratici che hanno rovinato il Monte. E il loro Padoan al Tesoro ha messo miliardi pubblici per salvarlo per poi farsi eleggere proprio a Siena...
Quando Elly Schlein parla di «opacità del governo nella scalata Mps su Mediobanca», è difficile trattenere un sorriso. Amaro, s’intende. Perché è difficile ascoltare un appello alla trasparenza proprio dalla segretaria del partito che ha portato il Monte dei Paschi di Siena dall’essere la banca più antica del mondo a un cimitero di esperimenti politici e clientelari. Una rimozione selettiva che, se non fosse pronunciata con serietà, sembrerebbe il copione di una satira. Schlein tuona contro «il ruolo opaco del governo e del Mef», chiede a Giorgetti di presentarsi immediatamente in Parlamento, sventola richieste di trasparenza come fossero trofei morali. Ma evita accuratamente di ricordare che l’opacità vera, quella strutturale, quella che ha devastato la banca, porta un marchio indelebile: il Pci e i suoi eredi. Un marchio inciso nella pietra di Rocca Salimbeni, dove negli anni si è consumato uno dei più grandi scempi finanziari della storia repubblicana. Un conto finale da 8,2 miliardi pagato dallo Stato, cioè dai contribuenti, mentre i signori del «buon governo» locale si dilettavano con le loro clientele.






