
Il ghiaccio alimentare muove un mercato da 5 miliardi l'anno e lussuose confezioni da 40 pezzi costano fino a 300 euro. La prima macchina per produrlo fu ideata per i malati di febbre gialla. Oggi la scienza conferma che per farlo è meglio usare l'acqua calda.Il ghiaccio si fa con l'acqua calda. Meglio se filtrata. Lo diceva Aristotele 2.300 anni fa nei Meteorologica e oggi uno studio canadese condotto alla British Columbia conferma: per avere il ghiaccio fresco in poco tempo è meglio partire dall'acqua bollente, il liquido si solidifica prima per via dell'evaporazione. È questa transizione di fase, ovvero il passaggio da uno stato all'altro, che rende la procedura più veloce. Il fenomeno è stato studiato più volte nel corso della storia. Dopo Aristotele anche Cartesio lo annotò nelle Meteore: «Si può vedere per esperienza che l'acqua che è stata tenuta sul fuoco per molto tempo si congela più velocemente di altre, perché quelle tra le sue particelle che sono meno in grado di smettere di piegarsi evaporano mentre l'acqua viene riscaldata». Ma fu Erasto Mpemba, uno studente di terza media della città di Magamba, in Tanzania, che nel 1963 s'accorse che il suo impasto, inserito nel congelatore con gli ingredienti ancora caldi, si era raffreddato in un'ora e mezza, molto prima rispetto alle preparazioni dei suoi compagni. Qualche anno dopo Mpemba chiese lumi al suo professore delle superiori e questi non poté che confermare il fenomeno. Mpemba, con il suo professore, ha pubblicato nel 1969 uno studio su quell'esperienza. Nessuno però finora aveva trovato una spiegazione scientifica. Qualcuno supponeva che ciò fosse dovuto al contenitore che conduceva meglio la temperatura, altri pensavano che fosse tutto dovuto ai legami di idrogeno che uniscono le molecole dell'acqua.Prima di tutto: per ottenere il cubetto di ghiaccio perfetto, trasparente e puro come quello che i bartender mettono nei cocktail, bisogna usare acqua oligominerale oppure lasciar decantare l'acqua del rubinetto in una caraffa. Altrimenti le impurità - pare che in ogni cubetto ottenuto con l'acqua di rubinetto ce ne siano ben 150 - si concentreranno tutte all'interno del cubetto che non sarà trasparente, ma bianco come la neve. Chi non ha voglia di perdere tempo può optare, con minimo 300 euro, su una macchina per fare il ghiaccio, una discendente di quelle basate sull'espansione dell'aria compressa e brevettate per la prima volta il 6 maggio del 1851 dall'americano John Gorrie, giudice di pace e sindaco di Apalachicolam, cittadina della Florida. Serviva non per rinfrescare i cocktail, ma per abbassare la temperatura agli ammalati di febbre gialla. Nel secolo successivo l'idea fu ripresa da Albert Einstein che di brevetti nel campo del freddo, insieme al collega Leo Szilard, ne registrò 45. Nel 1866, poi, l'americano Thaddeus Lowe creò l'antesignano dei moderni «ice maker», un marchingegno che produceva ghiaccio grazie al raffreddamento dei gas. Altra invenzione, che all'epoca sembrava impossibile, è quella di Augustin Mouchot. Nel 1878, il fisico francese dimostrò che il sole non solo scioglieva il ghiaccio ma poteva anche generarlo. Mouchot creò la prima macchina per il ghiaccio a energia solare, una trovata geniale che gli valse anche un premio all'Expo di Parigi. Oggi il mercato del ghiaccio alimentare vale, nel mondo, 4,2 miliardi di euro. A livello europeo, si stima un mercato da 500/600 milioni di euro. La Spagna ne detiene la fetta più ampia, di circa 140 milioni, con un consumo annuo pari a 400 milioni di chili. In Italia, nel triennio 2015-2018, il settore è cresciuto del 200 per cento. Gli esperti stimano che entro i prossimi due anni arriveremo a consumarne 500.000 tonnellate ogni anno. Di queste, 180.000 verranno autoprodotte in bar, ristoranti e discoteche. Negli ultimi anni, la passione per i cocktail ha riportato gli italiani a comprare ghiaccio. Oggi al supermercato per un chilo e duecentocinquanta grammi di acqua congelata ci vogliono circa 2 euro. La Ice cube vende ghiaccio di lusso purissimo e certificato proveniente dalle sorgenti del gruppo montuoso delle Madonie a 4,90 euro la confezione da quattro cubetti da cinque centimetri per lato. Per le sfere, formato ideale per i distillati come il whisky on the rocks, di euro ce ne vogliono 8,90. Frank Sinatra però il Jack Daniel's lo preferiva con tre cubetti da tre centimetri per lato. Al supermercato si trovano anche buste di ghiaccio già tritato per i pestati come mojito, anche se Ernest Hemingway, considerato il papà di questo drink, alla Bodeguita del Medio lo degustava con due cubetti di ghiaccio. In America, la Gläce luxury ice co. vende cubetti extralusso che si sciolgono in 30 minuti, insapori, trasparenti e intagliati a mano per 325 dollari (275 euro circa) la confezione, 8 dollari a cubetto (quasi 7 euro). Poco o nulla se paragonato al giacchio nel Martini da 10.000 dollari servito al bar dell'Hotel Algonquin di New York: vodka Belvedere, vermouth Martini rosso e, al posto del ghiaccio, un diamante.Il primo che ebbe l'idea di commercializzare il ghiaccio fu l'americano Frederic Tudor (1783-1864). La sua ossessione era quella di venderlo ai ricchi signori che risiedevano ai tropici. Dopo vari tentativi andati male Tudor riuscì a trasportare ghiaccio in mezzo mondo: dalla Martinica a Manila, fino a Sydney. Se ben isolato, il ghiaccio era in grado di resistere agli oltre 25.000 chilometri e ai 130 giorni di viaggio da Boston a Bombay. O almeno lo erano i due terzi del carico, una quota sufficiente a rendere redditizia la spedizione. Per diversi decenni il ghiaccio fu, in termini di peso, il secondo prodotto americano. La segatura, fino a quel momento priva di valore, si rivelò un eccellente isolante. Anche le segherie del Maine aumentarono i profitti. Un business che durò fino al 1877 quando la prima nave frigorifero trasportò alcune tonnellate di carne dall'Argentina alla Francia.Il bisogno di ghiaccio per rinfrescare le torride estati si faceva sentire già ai tempi degli antichi romani. L'imperatore Eliogabalo (203-222) d'estate pretendeva che il suo cortile fosse riempito di neve. Il condottiero curdo Saladino (1138-1193) la esigeva nel suo yogurt. Il cardinale Giulio Raimondo Mazzarino (1602-1661), ministro di Re Luigi XIV durante le trattative per la pace dei Pirenei, regalò al generale spagnolo don Luis de Haro una balena. In cambio ricevette una fornitura di ghiaccio, due volte la settimana, a dorso di mulo. Lo consumava anche la regina Vittoria che provò un brivido di refrigerio quando nel settembre del 1837 un cubetto le scivolò nella scollatura. Il ghiaccio è protagonista indiscusso della scena più sexy della storia del cinema, quella di Nove settimane e mezzo in cui un giovane Mickey Rourke fa sciogliere un cubetto sul corpo di una bellissimaKim Basinger bendata. Più pratica la modella Gisele Bündchen che del ghiaccio fa un trucco di bellezza: non va a dormire se prima non s'è «passata due cubetti di ghiaccio sugli occhi. È un segreto che mi ha tramandato mia madre: non so se ti conserva bella… però funziona». Molte pop star come Madonna e Lady Gaga, per recuperare le forze dopo uno show, si immergono in vasche di ghiaccio a 41 gradi Fahrenheit, 5 gradi Celsius. Questa pratica facilita il recupero muscolare e riduce le infiammazioni e le conseguenze dei traumi di gioco, è usata anche da molti sportivi. Tecnica, che stando ad Anton Čechov, potrebbe aiutare anche gli scrittori: «Bisogna mettersi a scrivere solo quando ci si sente freddi come il ghiaccio».
Francobollo sovietico commemorativo delle missioni Mars del 1971 (Getty Images)
Nel 1971 la sonda sovietica fu il primo oggetto terrestre a toccare il suolo di Marte. Voleva essere la risposta alla conquista americana della Luna, ma si guastò dopo soli 20 secondi. Riuscì tuttavia ad inviare la prima immagine del suolo marziano, anche se buia e sfocata.
Dopo il 20 luglio 1969 gli americani furono considerati universalmente come i vincitori della corsa allo spazio, quella «space race» che portò l’Uomo sulla Luna e che fu uno dei «fronti» principali della Guerra fredda. I sovietici, consapevoli del vantaggio della Nasa sulle missioni lunari, pianificarono un programma segreto che avrebbe dovuto superare la conquista del satellite terrestre.
Mosca pareva in vantaggio alla fine degli anni Cinquanta, quando lo «Sputnik» portò per la prima volta l’astronauta sovietico Yuri Gagarin in orbita. Nel decennio successivo, tuttavia, le missioni «Apollo» evidenziarono il sorpasso di Washington su Mosca, al quale i sovietici risposero con un programma all’epoca tecnologicamente difficilissimo se non impossibile: la conquista del «pianeta rosso».
Il programma iniziò nel 1960, vale a dire un anno prima del lancio del progetto «Gemini» da parte della Nasa, che sarebbe poi evoluto nelle missioni Apollo. Dalla base di Baikonur in Kazakhistan partiranno tutte le sonde dirette verso Marte, per un totale di 9 lanci dal 1960 al 1973. I primi tentativi furono del tutto fallimentari. Le sonde della prima generazione «Marshnik» non raggiunsero mai l’orbita terrestre, esplodendo poco dopo il lancio. La prima a raggiungere l’orbita fu la Mars 1 lanciata nel 1962, che perse i contatti con la base terrestre in Crimea quando aveva percorso oltre 100 milioni di chilometri, inviando preziosi dati sull’atmosfera interplanetaria. Nel 1963 sorvolò Marte per poi perdersi in un’orbita eliocentrica. Fino al 1969 i lanci successivi furono caratterizzati dall’insuccesso, causato principalmente da lanci errati e esplosioni in volo. Nel 1971 la sonda Mars 2 fu la prima sonda terrestre a raggiungere la superficie del pianeta rosso, anche se si schiantò in fase di atterraggio. Il primo successo (ancorché parziale) fu raggiunto da Mars 3, lanciato il 28 maggio 1971 da Baikonur. La sonda era costituita da un orbiter (che avrebbe compiuto orbitazioni attorno a Marte) e da un Lander, modulo che avrebbe dovuto compiere l’atterraggio sulla superficie del pianeta liberando il Rover Prop-M che avrebbe dovuto esplorare il terreno e l’atmosfera marziani. Il viaggio durò circa sei mesi, durante i quali Mars 3 inviò in Urss preziosi dati. Atterrò su Marte senza danni il 2 dicembre 1971. Il successo tuttavia fu vanificato dalla brusca interruzione delle trasmissioni con la terra dopo soli 20 secondi a causa, secondo le ipotesi più accreditate, dell’effetto di una violenta tempesta marziana che danneggiò l’equipaggiamento di bordo. Solo un’immagine buia e sfocata fu tutto quello che i sovietici ebbero dall’attività di Mars 3. L’orbiter invece proseguì la sua missione continuando l’invio di dati e immagini, dalle quali fu possibile identificare la superficie montagnosa del pianeta e la composizione della sua atmosfera, fino al 22 agosto 1972.
Sui giornali occidentali furono riportate poche notizie, imprecise e incomplete a causa della difficoltà di reperire notizie oltre la Cortina di ferro così la certezza dell’atterraggio di Mars 3 arrivò solamente dopo il crollo dell’Unione Sovietica nel 1991. Gli americani ripresero le redini del successo anche su Marte, e nel 1976 la sonda Viking atterrò sul pianeta rosso. L’Urss abbandonò invece le missioni Mars nel 1973 a causa degli elevatissimi costi e della scarsa influenza sull’opinione pubblica, avviandosi verso la lunga e sanguinosa guerra in Afghanistan alla fine del decennio.
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Il presidente torna dal giro in Francia, Grecia e Spagna con altri missili, caccia, radar, fondi energetici. Festeggiano i produttori di armi e gli Stati: dopo gli Usa, la Francia è la seconda nazione per export globale.
Il recente tour diplomatico di Volodymyr Zelensky tra Atene, Parigi e Madrid ha mostrato, più che mai, come il sostegno all’Ucraina sia divenuto anche una vetrina privilegiata per l’industria bellica europea. Missili antiaerei, caccia di nuova generazione, radar modernizzati, fondi energetici e contratti pluriennali: ciò che appare come normale cooperazione militare è in realtà la struttura portante di un enorme mercato che non conosce pause. La Grecia garantirà oltre mezzo miliardo di euro in forniture e gas, definendosi «hub energetico» della regione. La Francia consegnerà 100 Rafale F4, sistemi Samp-T e nuove armi guidate, con un ulteriore pacchetto entro fine anno. La Spagna aggiungerà circa 500 milioni tra programmi Purl e Safe, includendo missili Iris-T e aiuti emergenziali. Una catena di accordi che rivela l’intreccio sempre più solido tra geopolitica e fatturati industriali. Secondo il SIPRI, le importazioni europee di sistemi militari pesanti sono aumentate del 155% tra il 2015-19 e il 2020-24.
Imagoeconomica
Altoforno 1 sequestrato dopo un rogo frutto però di valutazioni inesatte, non di carenze all’impianto. Intanto 4.550 operai in Cig.
La crisi dell’ex Ilva di Taranto dilaga nelle piazze e fra i palazzi della politica, con i sindacati in mobilitazione. Tutto nasce dalla chiusura dovuta al sequestro probatorio dell’altoforno 1 del sito pugliese dopo un incendio scoppiato il 7 maggio. Mesi e mesi di stop produttivo che hanno costretto Acciaierie d’Italia, d’accordo con il governo, a portare da 3.000 a 4.450 i lavoratori in cassa integrazione, dato che l’altoforno 2 è in manutenzione in vista di una futura produzione di acciaio green, e a produrre è rimasto solamente l’altoforno 4. In oltre sei mesi non sono stati prodotti 1,5 milioni di tonnellate di acciaio. Una botta per l’ex Ilva ma in generale per la siderurgia italiana.
2025-11-20
Mondiali 2026, il cammino dell'Italia: Irlanda del Nord in semifinale e Galles o Bosnia in finale
True
Getty Images
Gli azzurri affronteranno in casa l’Irlanda del Nord nella semifinale playoff del 26 marzo, con eventuale finale in trasferta contro Galles o Bosnia. A Zurigo definiti percorso e accoppiamenti per gli spareggi che assegnano gli ultimi posti al Mondiale 2026.





