2025-10-15
Si rafforza il peso di Al Sisi sulla Striscia
Mentre crescono i dubbi Usa su Blair, il leader egiziano è sempre più centrale. Anche per i rapporti con l’Iran.Cresce la stella di Fattah al Sisi. Tra i principali artefici dell’accordo di pace tra Israele e Hamas, il presidente egiziano sta rafforzando la sua storica sponda con Donald Trump. Non a caso, l’altro ieri, in apertura del summit di Sharm el-Sheikh, l’inquilino della Casa Bianca ha avuto parole particolarmente calorose nei confronti del faraone. Non solo. Sempre l’altro ieri, Sisi ha annunciato che l’Egitto, in stretto coordinamento con Washington, ospiterà presto una conferenza dedicata alla ricostruzione di Gaza. «L’Egitto collaborerà con gli Stati Uniti, in coordinamento con i partner, nei prossimi giorni per gettare le basi della ricostruzione di Gaza. E intendiamo organizzare una conferenza tempestiva sulla ripresa, la ricostruzione e lo sviluppo», ha dichiarato.È inoltre significativo che la figura del presidente egiziano si sta rafforzando proprio mentre scendono le quotazioni di Tony Blair come membro di quel Board of Peace che, stando al piano di pace elaborato dalla Casa Bianca, dovrebbe supervisionare il post Hamas a Gaza. «Mi è sempre piaciuto Tony, ma voglio scoprire se è una scelta accettabile per tutti», ha dichiarato, domenica, Trump, avanzando qualche dubbio sul futuro ruolo dell’ex premier britannico. È stato inoltre il ministro degli Esteri egiziano, Badr Abdelatty, ad annunciare che sono già stati selezionati i 15 tecnocrati che, in base al piano di pace della Casa Bianca, dovranno amministrare la Striscia.Certo, non è che il presidente americano e il leader egiziano si intendano proprio su tutto: se il secondo ha esplicitamente invocato una soluzione a due Stati nella questione israelo-palestinese, Trump, su questo punto, ha fatto sapere di non aver ancora preso una decisione. «A un certo punto, deciderò cosa ritengo giusto, ma lo farò in coordinamento con gli altri Stati», ha dichiarato l’inquilino della Casa Bianca lunedì sera, mentre ieri annunciava l’inizio della «fase due» dell’accordo tra Israele e Hamas. Resta comunque il fatto che i legami tra il presidente americano e quello egiziano risultano particolarmente solidi. Non solo. Da settembre dell’anno scorso, Sisi, nonostante gli storici dissapori sulla Fratellanza musulmana, ha migliorato le sue relazioni anche con Recep Tayyip Erdogan: un altro dei firmatari, lunedì, della «Trump Declaration for Enduring Peace and Prosperity», assieme all’emiro del Qatar, Tamim bin Hamad Al-Thani, e allo stesso faraone.Ma non è tutto. Sisi potrebbe giocare un ruolo anche sulla partita geopolitica del futuro: quella del nucleare iraniano. Non è un mistero che, per rilanciare gli Accordi di Abramo, Trump abbia bisogno di concludere un nuovo accordo sull’energia atomica con Teheran: un’intesa che, cioè, impedisca agli ayatollah di acquisire la bomba nucleare, rassicurando così israeliani e sauditi. Certo: ieri Teheran è tornata a fare la voce grossa. «Il desiderio di pace e dialogo espresso dal presidente degli Stati Uniti è in contrasto con il comportamento ostile e criminale degli Stati Uniti nei confronti del popolo iraniano», ha dichiarato il ministero degli Esteri iraniano, riferendosi alla mano tesa da Trump a Teheran durante il suo discorso alla Knesset di lunedì. Ciò detto, va rilevato che il vertice di Sharm el-Sheikh ha certificato l’isolamento regionale dell’Iran: il che potrebbe spingere a breve gli ayatollah a risedersi al tavolo delle trattative con Washington. Ed è qui che Sisi potrebbe avere un ruolo. Negli ultimi mesi, i rapporti tra l’Egitto e l’Iran si sono rasserenati. A giugno, il faraone aveva ricevuto al Cairo il ministro degli Esteri iraniano, Abbas Araghchi. Non solo. Sisi aveva anche invitato, sebbene senza successo, una rappresentanza di Teheran al vertice di Sharm el-Sheikh.Nel frattempo, se la logica degli Accordi di Abramo sembra iniziare a prevalere, c’è chi lavora per smontarla. «La pace non può significare l’oblio, non può significare l’impunità. Ci sono processi aperti davanti alla Corte internazionale di Giustizia. Gli attori principali del genocidio che è stato perpetrato a Gaza dovranno rispondere davanti alla giustizia», ha affermato, ieri, il premier spagnolo, Pedro Sánchez. Si tratta di dichiarazioni dure, che di certo non favoriscono lo spirito di convergenza, promosso dal piano di pace americano, tra Israele e i Paesi arabi: un piano di pace che, per inciso, è stato benaccolto sia dai palestinesi di Gaza che dall’Anp. Tra l’altro, Il Cairo è, in un certo senso, un precursore degli Accordi di Abramo che, firmati nel 2020, Trump ha intenzione adesso di espandere. Era infatti il 1979, quando l’Egitto normalizzò le relazioni con Israele.Ma le dinamiche mediorientali non si arrestano alla questione di Gaza. Oggi, il presidente siriano, Ahmed al Sharaa, si recherà a Mosca, dove chiederà l’estradizione di Bashar al Assad. Spalleggiato dalla Turchia, l’attuale governo di Damasco ha un rapporto complicato con la Russia, che era una storica alleata dell’ex presidente baathista. Il Cremlino, vistasi ridotta la propria influenza mediorientale, vuole rientrare in partita. Che cosa farà?
Giorgia Meloni e Donald Trump (Ansa)
Il valico di Rafah (Getty Images)